Pubblichiamo un contributo a cura dell’Avv. Aurora D’Agostino, che difende alcuni degli imputati nel processo No Tav. Tratto da www.globalproject.info

Questo, dal punto di vista tecnico, pare l’unico commento possibile alla sentenza che ha concluso, in primo grado, lo spettacolare processo No Tav: condanne per quasi tutti gli imputati, a pene veramente spropositate, sia in termini di pena che di “risarcimento danni” (ai Ministeri costituiti parte civile, in particolare).

Un dato, innanzitutto: gli imputati di questo procedimento, così come purtroppo avviene negli ultimi tempi in modo massiccio nei processi che interessano i movimenti, non sono chiamati a rispondere delle proprie condotte, ma del “concorso” nelle condotte di tutti, imputati e non.

Così, se sei stato individuato (a ragione o a torto) per aver tirato un sasso il 3 luglio 2011 in Val di Susa, non sei imputato per quel sasso e per la tua condotta, e le (eventuali ) lesioni di chi da quel sasso è stato colpito (o, al limite, poteva essere colpito), ma vieni chiamato a rispondere di tutti i sassi e di tutte le lesioni che agenti di polizia hanno subito quel giorno (indipendentemente dal fatto che le lesioni derivino dai sassi, oppure o no).

Così è nata l’imputazione nei confronti di tutti gli imputati per tutti gli episodi avvenuti in un arco temporale di ore e ore il 3 luglio nell’area della Maddalena; così è proseguita e così è rimasta, anche a seguito dell’istruttoria dibattimentale.

Un’istruttoria che il Tribunale ha volutamente mantenuto avulsa dal contesto della legittima protesta in Val di Susa, negando ostinatamente l’ingresso ad ogni testimonianza e prova della palese illegittimità delle scelte che hanno investito quel territorio, negando ogni istanza della difesa, di sopralluogo, di ingresso di documentazione, di testimonianza, ogni volta che ci si avvicinava pericolosamente alla verità di quello scempio che resterà per sempre un cantiere aperto di un’opera inutile e voluta solo da chi ne trae profitto.

Un processo blindato, non solo nell’“estetica” (lo svolgimento nell’aula bunker delle Vallette, un posto indegno, sporco, umiliante, rappresentazione visiva della militarizzazione), nei continui interventi di polizia nei confronti di pubblico ed imputati, in cui la Procura l’ha fatta ovviamente da padrona, senza che nessuno fermasse l’evidente ostilità con cui sono stati trattati non solo gli imputati ed i valligiani che hanno meritoriamente mantenuto una presenza costante in aula, ma persino gli avvocati della difesa.

Un processo con regole speciali, in cui anche l’attività difensiva è stata costantemente osteggiata e resa più complessa di quanto già lo fosse in quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini, al punto da negare la possibilità di contro esaminare i testi dell’accusa se non su quanto richiesto in aula dai PM.  Altro che parità delle parti processuali…

Non poteva che finire così, dati i presupposti e la procedura utilizzata.

Ovviamente, non è finita qui. Le violazioni costanti del diritto alla difesa non potranno essere sottaciuti anche oltre le gabbie dell’aula bunker, nei successivi gradi di giudizio, e quasi certamente anche in sede di Corte Europea. Con la scommessa che, al termine del procedimento, la Tav in Val di Susa continuerà ad essere un cantiere (militarizzato o in disuso) per cui si saranno sperperati miliardi in opere inutili, eserciti e processi. Un’opera inutile, che genera ingiustizia. Ovunque.