ferma-trivelle-quadratoDomenica 17 aprile: votiamo SI contro le lobby petrolifere e contro il governo Renzi

15 / 4 / 2016

 Nonostante una campagna governativa che ha tentato in ogni modo di sabotarlo, domenica si terrà il referendum cosiddetto “NoTriv”. I cittadini sono chiamati ad esprimersi sull’abrogazione di una parte della Legge di Stabilità 2016, ossia su quel passaggio che toglie i limiti di tempo alle concessioni di estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa. Ciò che qui ci preme segnalare è la caratura politica della consultazione di domenica.

Ci sono tre livelli di lettura. Dal punto di vista della misura del consenso e della legittimazione popolare, per la prima volta nella sua carriera a livello nazionale, Renzi sarà costretto a confrontarsi con un voto il cui risultato non lascia margini di gestione. La logica binaria è secca: approvato o respinto. La portata politica è cosa diversa dalla vittoria elettorale. Che venga raggiunto o meno il quorum, una fetta consistente di cittadini si esprimerà contro Renzi, questo era chiaro da mesi, ma si è reso particolarmente evidente nelle ultime settimane. Il secondo punto riguarda la tenuta degli equilibri su cui il premier basa la sua forza e l’azione del suo governo: i rapporti con le lobby da un lato, dall’altro la tenuta stessa di partito e sindacato, PD e CGIL. L’argomento petrolifero è infatti profondamente divisivo nelle segreterie di entrambi, tra le diverse categorie del sindacato e tra sindacati stessi. Il terzo punto su cui riflettere è l’uso politico fatto dal premier nelle ultime settimane all’interno del dibattito sul referendum, proprio al fine di destabilizzare una campagna elettorale che aveva necessità di radicarsi socialmente.Iniziamo proprio da qui, dall’esortazione al non voto fatta dal capo del governo proprio mentre veniva messo alle strette dall’affaire “Tempa Rossa”. Quanto sia grave che chi governa un Paese inviti a disertare le urne è valutazione che lasciamo ad altri. Qui vogliamo focalizzare il divenire-Bonaparte di Renzi, giunto a palazzo Chigi grazie a congiure di partito e di palazzo, e che ora sta esprimendo con la forza più grande possibile il suo programma di installazione di un’autocrazia. Bisogna leggere le parole di Renzi per quello che sono: un invito al popolo a dismettere la propria sovranità. Fine, il sovrano è lui. Il messaggio è chiaro, e giunge nel tempo d’avvio della campagna dei “referendum sociali”, che metterà a verifica tanto la Buona scuola quanto i piani energetici ed ambientali del governo, richiamandolo inoltre al rispetto della volontà di 27 milioni di italiani che nel 2011 si espressero in maniera inequivocabile sulla gestione idrica pubblica.

A partire dalle trivelle si può aprire un dibattito che può mettere profondamente in discussione l’operato di Renzi, fino ad ora mago della produzione di consenso. Fonti energetiche, gestione dei rifiuti, infrastrutture sono temi che richiedono davvero la Politica come arte della prefigurazione di scenari possibili. Di questi temi dovrebbe nutrirsi un sano dibattito politico oggi, discutendo di come reperire ed allocare risorse per costruire realmente un comune energetico. Invece, subiamo l’empasse delle segreterie di apparato, incapaci di uscire dalla logica dell’autoriproduzione: e così il punto scade nello sbloccare l’industria del cemento, vera anima del decreto “Sblocca Italia”. Allora non resta che la demagogia, la generazione artificiale del consenso nelle alchimie dei piccoli cabotaggi elettorali e di corto respiro. Siamo a un bivio: da una parte l’assunzione della crisi di un modello economico, produttivo e politico, che ne pregifuri il superamento; dall’altra la folle difesa dello status quo.

Renzi percepisce il pericolo che sia minato alla base il castello incantato entro cui sta il suo trono. Un trono eretto e sorretto dalle lobby, come ad esempio Federutility, ovvero le ex municipalizzate che si spartiscono appalti miliardari e che hanno materialmente in mano il governo dei territori, i gruppi energetici (Eni, Enel) le  grandi imprese di costruzioni e di servizi. E’ a loro che il premier deve rendere conto¸favorire questi colossi dell’economia è il suo mandato.
Chiaro quindi come il primo tassello della visione di un modello di sviluppo, lo stop alla forsennata ricerca di idrocarburi, sia molto peggio di un pugno nello stomaco per il governo. Chiaro, allo stesso modo, come al segretario di un partito in forte difficoltà il solo pensiero di affrontare nell’agorà questi temi tolga il sonno. Sia chiaro, non crediamo certo che la green economy sia la soluzione al problema dello sviluppo globale: ciò che ribadiamo è che la scelta di immaginare o meno un mondo senza  idrocarburi è un nodo di primo piano anche a livello geopolitico globale, e sviare il discorso è un atteggiamento irresponsabile e deleterio.

Certo, i dibattiti si animano laddove ci siano interlocutori con proposte reali. A questo livello entra la seconda faccia del problema: cosa sanno davvero proporre le gambe dello scranno imperiale di Renzi, PD e CGIL? Nulla.
 Anzi, non sanno nemmeno come discutere. La CGIL in particolare è spaccata, le fazioni rappresentate dai cavalli di razza: i metalmeccanici, forse più per coerenza con la linea avuta da Landini negli ultimi anni, si sono espressi per il superamento degli idrocarburi; i chimici, come ha avuto modo di esprimere chiaramente il segretario Enrico Miceli poco più di un mese fa, sono per il mantenimento delle trivellazioni e delle ricerche di petrolio e gas.

Serve uno scossone, uno strattone, un pugno sul tavolo. C’è da sbloccare la capacità immaginativa di un popolo, noi, che con la creatività ha segnato la Storia. Le indicazioni come sempre attraversano le piazze e vengono dal corpo vivo della società. Da quei sessantamila, ad esempio, che a Lanciano un anno fa irruppero nel panorama dei movimenti, bloccarono di fatto il progetto Ombrina ed aprirono quello spazio di possibilità infine sfociato nella campagna contro la devastazione e saccheggio dei territori. Chi vive un territorio, chi lotta per strapparlo dalle mani di speculatori e devastatori è il solo a poter decidere a quali risorse attingere ed al modo in cui gestirle. Principio ispiratore esattamente opposto al dettato dello Sblocca Italia, che contiene in sé tutti gli elementi per ridurre impianti produttivi ed infrastrutture (o meglio i loro cantieri) ad enclavi militarizzate, dichiarando i siti “di interesse strategico” per il bene della Nazione.

L’altra faccia della medaglia è dichiarare nemico pubblico (id est terrorista) chiunque si opponga anche solo verbalmente alla distruzione del proprio ambiente, ma questo lo stanno già facendo i tribunali. Il modello Val di Susa, e non solo, esportato e riprodotto a scala nazionale. Dal referendum di domenica può venire una spinta propulsiva per rilanciare, attraverso la campagna contro la devastazione e saccheggio dei territori, tutto il processo che si sta aprendo attorno ai “referendum sociali”, ovvero proprio ciò che Renzi non vuole.

Il capo del governo ha cercato in tutti i modi di evitare che i cittadini potessero esprimersi direttamente su un provvedimento del suo governo, e quando si è trovato costretto alla verifica delle urne ha giocato l’ultima carta, imponendo la consultazione nei tempi più brevi possibili, in modo da impedire ogni campagna di informazione e propaganda. Va da sé che questo esplicito tentativo di boicottaggio costa svariate centinaia di milioni alle casse pubbliche. Quello che maggiormente ci interessa è il salto di qualità che il novello autocrate ha deciso di compiere. Imbavagliare le voci referendarie di questa consultazione è funzionale e strutturale alla prosecuzione della linea Monti-Letta, che ha bloccato l’esecuzione materiale di una volontà popolare espressasi a favore della gestione pubblica del servizio idrico 5 anni fa. Insomma, il sapore nettamente politico del voto referendario di domenica ci impone di prendere posizione, e di mettere la croce sul “sì”. Al di là dell’esito tecnico che daranno le urne, lunedì mattina il monolite del consenso potrebbe mostrare qualche crepa profonda e potrebbero aprirsi nuovi spazi dove intrecciare produzione di discorso ed azione dal basso. Siamo agli albori di una stagione di lotte e mobilitazioni, di certo non sarà un momento formale a scatenare le forze vive della società ma abbiamo a disposizione un’occasione di rilancio senza dubbio da cogliere.

centri sociali del Nord-Est