Dopo 134 giorni di assedio da parte dell’Isis, i combattenti curdi dello YPG7YPJ hanno liberato la città.

Kobane è libera. E’ la frase che da tanto tempo avremmo voluto sentire, a cui abbiamo sperato e che finalmente possiamo dire ad alta voce. Ieri, dopo 134 giorni di assedio da parte delle milizie dell’Isis, la città curda sul confine turco-siriano è tornata nelle mani dei combattenti dello YPG/YPJ. Una grande bandiera della libertà sventola sulla collina di Kanyan Kurdan, l’ultimo avamposto dei del califfato nero che nonostante la superiorità di equipaggiamento ha dovuto soccombere di fronte alla determinazione e alla forza degli ideali dei combattenti curdi. La strada verso la completa liberazione è ancora lunga perché trecento villaggi sono tutt’ora in mano all’isis ma la notizia di ieri ha un valore simbolico e politico straordinario.

Tra novembre e dicembre dell’anno appena passato anche da Vicenza siamo andati al confine tra la Siria e la Turchia, a due passi da Kobane. Abbiamo visto con i nostri occhi i campi profughi di Suruc dove decine di migliaia di persone vivono dopo che hanno dovuto abbandonare le loro case per l’arrivo dei tagliagole. Abbiamo visitato i villaggi lungo il confine, abbiamo dato una mano nella distribuzione degli aiuti ma soprattutto abbiamo vissuto dieci giorni con i curdi, cosa che ci ha permesso di conoscere la loro straordinaria esperienza di autogoverno e di democrazia. Ci siamo anche resi conto con i nostri occhi della complicità dell’esercito turco nei confronti dell’Isis e della totale chiusura e ostilità rispetto ai combattenti curdi che vorrebbero entrare per sostenere la lotta armata o uscire perchè feriti. Inoltre proprio negli ultimi giorni in cui i curdi stavano ormai liberando le ultime strade di Kobane, i militari turchi hanno aiutato i miliziani islamici a scappare da Kobane accompagnandoli oltre il confine. Oggi invece hanno attaccato migliaia di persone che volevano arrivare nella città liberata per unirsi ai combattenti dello YPG/YPG, tornare alle proprie case e festeggiare la vittoria.

Noi che come comunità vicentina abbiamo vissuto una straordinaria esperienza di un movimento contro la guerra non possiamo che riconoscerci nei principi di autonomia, indipendenza, autodeterminazione e democrazia dal basso che fanno parte dell’esperienza curda della Rojava. Essere contro la guerra vuol dire sostenere le donne e gli uomini che combattono nelle terre aride del Kurdistan siriano perché ci indicano la possibilità di costruire un altro mondo, diverso sia da quello neoliberista che con l’esportazione della democrazia ha causato distruzione e morti nel Medioriente sia da quello medievale, barbaro e fascista del nuovo Stato Islamico. Non dimentichiamo che quella stessa coalizione occidentale che ora dovrebbe fare la guerra al terrorismo ha alimentato e portato alla nascita di gruppi estremisti islamici tra cui appunto l’Isis. Il modello del confederalismo democratico che viene applicato nei tre cantoni della Rojava, nel nord della Siria non piace a entrambe le fazioni in gioco, Occidente e Isis appunto, e per questo dobbiamo assumerci fino in fondo l’eroica resistenza di Kobane.