Dopo la vittoria di Syriza, il problema del governo nazionale ed europeo. Un’opportunità per i movimenti nella nuova onda di speranza sprigionata?

L’euro mediterraneo ha urlato democrazia. La regione del Medioriente e dell’area più orientale del Mediterraneo hanno ottenuto due vittorie, tra quella di Syriza in Grecia e la conquista di Kobane da parte dei guerriglieri e delle guerrigliere dell’YPG e YPJ. Certo, non sono due fenomeni che hanno la stessa origine e gli stessi effetti, tanto meno sono paragonabili nelle modalità politiche. Ma come non vedere una rinata speranza, partita proprio da quelle aree geografiche “più antiche del mondo”?

Veniva detto negli scorsi giorni che in Grecia si è ritrovato materialmente il concetto di democrazia, proprio laddove i filosofi e i politici ellenici l’hanno praticata soprattutto nell’Atene democratica del V secolo. Ora, al di là delle giuste precisazioni che ci sarebbe da fare su cosa fosse la democrazia nella Grecia antica (autoctonia, cittadinanza, ecc), ci sembra che un fatto si ponga con estremo interesse anche alla contemporanea Syriza. E’ il problema del governo, della conduzione del timone di una nave che è una comunità politica organizzata. Riuscirà Tsipras a guidare con il suo 36,34% (all’incirca) il veliero ellenico fuori dalla marea dell’austerità e del rigore?

La questione delle alleanze e dell’equilibrio rispetto alle forze politiche locali così come europee sta su questo piano. L’alleanza con ANEL può essere tattica, serve per non unirsi a coloro che non hanno una posizione determinata contro i memoranda della troika. Eppure, la domanda spontanea che non possiamo evitare si rivolge alla stabilità del governo e del programma politico. Syriza sarà in grado di attuare anche le riforme sociali che estendono la cittadinanza e i diritti civili? La natura indipendentista e identitaria dell’ANEL è un ostacolo che si frappone all’attuazione di alcuni punti programmatici della sinistra radicale. E nel caso di opposizione parlamentare e di mancanza di una convergenza su di una legge con gli altri partiti di sinistra, si nasconde l’incrinatura del governo guidato da Tsipras. Per non parlare del livello simbolico, dell’entusiasmo dichiarato dall’estrema destra europea che vede nell’alleanza di governo greco, e nella vittoria di Syriza, una possibilità per la ritrovata sovranità dello Stato nazione contro l’Europa.

Siamo consapevoli, comunque, dell’orizzonte di speranza e di cambiamento che ha segnato la mattinata di lunedì nell’immaginario europeo. E’ stato sancito che c’è un’alternativa possibile al ricatto del debito, all’impoverimento di massa e alla privazione dei diritti. Rendere questa speranza attuale, effettiva, starà certo a Syriza, ma soprattutto ai movimenti che hanno animato e praticato l’alternativa nella loro quotidianità e nelle loro istituzioni autonome e che hanno costituito una coalizione politica con il partito vincitore. Come sapevano bene i greci dell’antichità, il compito del governato è evidenziare le responsabilità del governante, metterlo in contraddizione laddove rompe la fiducia con la sua città. In questo senso, comunque vada, la vittoria di Syriza potenzialmente rivitalizza uno spazio di movimento nella penisola ellenica.

C’è tuttavia qualcuno che cerca di smorzare l’ondata nuova di speranza. La governance europea si è ritrovata solertemente per rispondere ai risultati elettorali, nell’arduo compito di non apparire con la sua faccia autoritaria – che ben conosciamo – e di mantenere ben oliata la macchina del rigore monetario. In un modo del tutto anti-ellenico, le condizioni di base per mantenere un rapporto con l’Unione Europea sono: pacta sunt servanda. La rigidità  del diktat latino del diktat vuole continuare a imporre il rispetto dei patti, dei vincoli che caratterizzano l’assetto istituzionale europeo. Soltanto con queste premesse si può parlare di dilazione del pagamento del debito e di inserimento nelle misure “riformiste” della BCE, con abbassamento dei tassi di interesse sui titoli di Stato. Già si diffondono i moniti, tra i premier conservatori e la troika, sull’impensabile cancellazione del debito greco.

E’ abbastanza ironico che, nonostante i moniti delle istituzioni europee (Commissione, BCE) e globali (Fmi), i leader della vetusta sinistra social-democratica europea strizzino l’occhio a Syriza. Da Renzi fino a Hollande piovono congratulazioni a Tsipras perché può aiutare l’impresa di quei Paesi nel cambiare le regole europee: di tutti quei Paesi che, coerentemente, hanno sempre portato avanti e ratificato il pensiero ordoliberale a casa propria. Il PD del Jobs Act, del piano casa, delle grandi opere e della Legge di stabilità ultima, dovrebbe imbarazzarsi di fronte alla ricca esperienza legata alle elezioni greche; il PS di Hollande, reduce di una delle peggiori riforme del mercato del lavoro, dovrebbe guardare al rifinanziamento di alcune forme di previdenza sociale che vuole fare Syriza. Per non parlare dei tentativi malconci e velleitari di Renzi di imporre un addolcimento dell’austerità, per poi rimanerne sempre supino (vogliamo parlare della concessione dello 0,5% sul PIL??). Insomma, una reazione tra il tentativo di riabilitarsi agli occhi del proprio elettorato e di attenuare l’innovazione che invece rappresenta la vittoria di Tsipras.

Un’innovazione che ha spinto molti partiti e organizzazioni di sinistra nostrani (SEL, Altra Europa, ma anche dissidenti del PD) a interrogarsi e ad esprimere entusiasmo. Segno che anche in Italia potrebbe arrivare l’ondata di rinnovamento veramente a sinistra? Già iniziamo a vedere dallo Human Factor alcuni quotidiani che parlano di una nuova alleanza tra associazionismo, partiti e movimenti per riprodurre un percorso politico simil-greco. Il problema è che ciò che manca, per adesso, sono le condizioni materiali per avviarlo: di quale sinistra stiamo parlando? Quali personalità politiche, tra Cofferati, Civati e Vendola, possono ambire a tutto questo? Inoltre, c’è stato un movimento che ha trasformato in maniera incisiva le relazioni sociali e anche la modalità stessa della partecipazione civica e del rapportarsi alla rappresentanza in un altro modo? Le risposte a tali interrogativi sono preliminari a qualsiasi interlocuzione. Da parte di alcuni esponenti di questa sinistra vediamo soltanto un atteggiamento da “tifoseria italica”, che acclama le vittorie altrui (sicuramente importanti per l’Europa) e non comprende le radici di questi avvenimenti che hanno animato la Grecia in anni di lavoro e attivismo politico diretto. Senza spinta dal basso verso l’altro, senza un momento costituente che investe le forme di vita, il tutto rischia di essere velleitario, in particolare nell’Italia attraversata da un sfiducia nei confronti della rappresentanza. Non è uno dei punti fondamentali, del resto, dell’insegnamento greco (e spagnolo)?

Per provare a rimetter in moto i movimenti in Italia e in Europa, non possiamo che amplificare il grido di speranza che esce dalla Grecia. Un’alternativa futura alla governance europea e ai fondamentalismi vari esiste. Va diffusa nella ribellione alla dittatura finanziaria, alla precarietà e al ricatto del debito. Un processo certamente difficile, ma che accompagnerà chi veramente vuole approfittare di questa trasformazione verso il 18 marzo di Blockupy e oltre.