L’economia della promessa e cosa abbiamo da imparare dalla Leopolda

da huffingtonpost.it

 

Il giradischi per far suonare il vinile con attacco Usb esiste, da un pezzo. Come la macchina fotografica digitale reflex, dove si continua a mettere il rullino. Bisognerebbe che qualcuno degli hipster della Leopolda lo avesse fatto presente a Renzi, ma forse erano tutti intenti ad assaporare il profumo del suo ragù, più buono come ha detto qualcuno dei suoi cortigiani, “perfino di quello che fa mamma”. In ogni caso queste metafore sul vintage tecnologico, vengono in soccorso a noi, a quelli che erano in quella piazza così antica secondo il Premier, da risultare come un’illusione ottica (definizione della Moretti), un ologramma, un niente.

Ci è utile intanto dire che il nuovo e il vecchio stanno sempre insieme. Gli iPhone della Apple, oggetti “erotici” per la generazione Leopolda, sono assemblati dalla Foxxcon, un gigante da 600.000 dipendenti, con sede principale a Taiwan. Gli operai, sottoposti a un regime militare di lavoro, come lo definisce la BBC, firmano una clausola al momento dell’assunzione che recita così: “In caso di infortuni (fra cui il suicidio o il ferimento volontario, etc.) sottoscrivo che la compagnia ha seguito leggi e regolamenti e né io né i miei familiari faremo causa”. Come immagine per dire quanto quelli della piazza siano vecchi, il nostro Premier ha utilizzato l’immagine del gettone, che dentro il sottilissimo smartphone non entra. Ma le condizioni di vita alle quali sono sottoposti quei lavoratori e lavoratrici, vita che è lì dentro, tra lo schermo, i chip, i nanocircuiti integrati, l’oscillometro, ed è fatta a brandelli, compressa fino a farli ammazzare, non ricordano tempi più antichi e terribili di quelli evocati dalle cabine telefoniche?

Il nuovissimo e il vecchissimo dunque. L’ipertecnologico strumento dell’information society, e il lavoro semischiavistico prefordista. Non è una stranezza, è ciò che accade nel mondo del mercato globale, quello che piace tanto agli amici del Premier come il finanziere Serra. Massimi profitti, e minimi costi. La dignità delle persone, delle donne, degli uomini, dei bambini, e anche il rispetto per il vivente, come ci direbbe il Papa, ha un costo, e questo è un impedimento per chi ha come unico obiettivo quello di aumentare all’infinito la propria ricchezza personale. È una cosa vecchissima questa di fissarsi sulla dignità di tutti, vecchia come Spartaco, ha le sembianze di Rosa Parks, oppure quelle di Thoreau. Eppure, come si vede alla Foxxcon e a Pomigliano, non è mai superata.

Volere l’iPhone e la dignità è come cercare di infilarci dentro il gettone? Per l’Ad della multinazionale di Taiwan si. Come farebbe ad essere il 117 esimo uomo più potente della Terra altrimenti? Se gli schiavi pretendessero diritti, come farebbe lui ad accaparrarsi gli appalti al massimo ribasso da Nokia, HD, Apple e un’altra infinità di marche “smart” e “wired” del nostro tempo? La lezione che si deve trarre dalla Leopolda dunque, per noi che eravamo a Roma, è che solo se saremo capaci di “smontare” l’iPhone, e di mettere in luce le sue parti vecchie che sono ben nascoste, solo allora lo trasformeremo in qualcosa di utile, che non è né vecchio né nuovo. Ma la Leopolda è ricca anche di altre lezioni, a volerle vedere.

Sbaglia chi pensa che non ci serva. Il posto fisso non esiste più, è verissimo. L’unico posto fisso lo possiede chi vive di rendita o attraverso l’attività speculativa, legale/illegale perché il confine è sempre più indefinito, accumula enormi ricchezze nella crisi. Quando il Premier parla di posto fisso in realtà compie un piccolo artificio retorico: è la garanzia e continuità di reddito per la stragrande maggioranza della popolazione che non è più garantita, non tanto il “posto”, che della sua caducità se ne erano accorti tutti negli ultimi vent’anni. Garantiti sono solo i ricchi, tremendamente pochi e tremendamente ricchi, e continuano ad arricchirsi. Gli altri, tutti gli altri, sono intermittenti. O working poor, lavoratori poveri. È questa la condizione di quel milione e passa che erano in piazza sabato 15 ottobre, pensionati compresi. Si, anche chi ha la pensione, che serve a mantenere l’acquisto di servizi di welfare che oggi sono privatizzati, o a distribuire un po’ di reddito ai figli e nipoti, che non ne hanno tutti i mesi. Chi ha un contratto a tempo indeterminato, dopo il Jobs Act è di fatto nella stessa condizione di chiunque altro. Ed è il salario, il suo livello, che definisce la condizione di intermittenza di chi lo percepisce. Il salario è basso, e tenderà a scendere. E quando se ne va interamente per pagare rate del debito privato composte da acquisti a credito e mutui, il lavoratore povero non è altro che un precario che cerca lavoro senza alcun reddito. Anche in questo caso il vecchio e il nuovo si abbracciano mortalmente. Flessibili e poveri, internet e miseria, Prada e pezze al culo.

Quindi imbocchiamola davvero questa modernità della Leopolda: al modificarsi del mercato del lavoro, non possiamo rispondere semplicemente che si stava meglio prima. Dobbiamo fino in fondo percepirci tutti nella stessa condizione e puntare sulle moderne forme di recupero della dignità e della possibilità di vita dignitosa. La battaglia per un reddito minimo è all’ordine del giorno, e molti esempi in europa possono aiutarci. A fianco naturalmente di quella per tassare le rendite sul serio: se lo sgravio dell’Irap premia le imprese che licenziano, e se nel 90% dei casi licenziano perché gli interessa di più la “reputazione” dei loro titoli in borsa piuttosto che la produzione sulla quale sono impegnati, allora questo equivale a de-tassare la rendita, a premiare la speculazione. La Thissen Krupp, con 560 operai licenziati a Terni, avrà un premio dal governo di circa 7 milioni di euro.

Ma la Leopolda ci dice tante altre cose. Ad esempio ci parla di quella che Marco Bascetta ha recentemente definito “l’economia della promessa”. La crisi è anche, per tutti quelli che erano in piazza e per molti che erano all’interno del Truman Show di Renzi, crisi di identità, di status, di qualificazione sociale. Perché migliaia di giovani offrono il proprio lavoro gratuitamente all’Expo, negli stage, in tutti i campi del lavoro cognitivo? Per poterlo scrivere, ad esempio, nel curriculum. Per dire che fanno, e sanno fare, quello, almeno in quel momento. Perché questo sistema competitivo alla base della piramide sociale e monopolistico nel suo vertice, vive sulla promessa, che un giorno, se sei bravo, se sei stato strategico nell’investire il tuo tempo di vita, avrai successo. Solo tu, non quello accanto a te. Solo Steve Jobs, non quelli che lavorano come operai alla Foxxcon. L’ossimoro dell’imprenditore di se stesso corrompe l’idea di una comunità sociale, a favore invece della società competitiva degli individui. La Big Society di Cameron, “start up for your right”, con buona pace del vecchio, e superato, Bob Marley. Lo Start up, l’investimento si fa barattando la vita, la dignità, i diritti. Si mettono sul piatto quando non si hanno soldi per partire, e si spera. Otto start up americane su dieci falliscono, ci hanno insegnato, e anche nel caso delle vite sturt up, otto su dieci falliscono.

Solo che di vita ce ne abbiamo solo una. Economia della promessa, ovvero dal credito al consumo al lavoro a credito. Forse tutto questo, il vecchio e il nuovo, non si possono affrontare semplicemente “a sinistra” di Renzi. Che il Pd abbia una sinistra al suo interno è auspicabile. Come dire che è meglio Al Gore come vice, che Dick Cheney. Ma non potrà rispondere a tutto questo se non si crea qualcos’altro, un altrove da Renzi. Il campo è quello che quella piazza ha mostrato. È ampio, non ristretto all’opposizione ideologica, identitaria, rancorosa. Ci parla dell’esigenza di dotare le nostre proposte di alternativa economica e sociale di una pratica politica all’altezza della sfida. La Leopolda ci dimostra come lo spazio pubblico e politico ibrido, comunicativo, che produce l’opinione, che considera la comunicazione un agire e non uno strumento, funziona eccome. Abbiamo molto da imparare dalla Leopolda, guardando da quella piazza dove eravamo sabato 25 ottobre. Anche se non siamo disposti a vendere nostra madre per compiacere il re. Il ragù buono come quello che fa lei non lo fa nessuno. “Chesta è carne c’a pummarola”.