Maestre, maestri, che ne pensate?

di Gianluca Gabrielli

Un’appendice all’Appello per la scuola pubblica, sulla scuola primaria e dell’infanzia

Nei giorni scorsi ho letto con interesse e firmato l’Appello per la scuola pubblica. L’iniziativa mi pare importante, mi sto impegnando a farla girare tra amici e a scuola, nonché a sostenerla. Credo che stante l’attuale fase di affaticamento che stanno patendo le istanze in difesa della scuola pubblica, l’ottica adottata di limitare l’analisi ad alcuni punti critici e di concentrare le “richieste” verso tre soli elementi (moratoria del sistema invalsi, dell’alternanza scuola-lavoro e dell’obbligo della didattica clil) sia utile alla ricerca di minimi comuni denominatori che possano aprire una nuova fase di confronto e, se possibile, riunificare una parte del corpo docente per ridare forza alla critica della legge 107.

Tuttavia, leggendo l’appello e i nomi degli estensori, salta immediatamente all’occhio che si tratta nella quasi totalità di docenti della scuola secondaria di secondo grado, che nella stesura hanno pensato più a lasciare finestre aperte in direzione delle consonanze con le problematiche della didattica universitaria che non verso la scuola “di base”, in particolar modo scuola elementare e dell’infanzia. È naturale e giusto che riflessioni e appelli nascano dalla propria esperienza quotidiana in classe e di quell’esperienza conservino le tracce. D’altra parte leggendo i punti mi sono sorti parecchi dubbi sulla capacità di presa e di “riconoscimento” che possono scattare (o non scattare) nelle colleghe e nei colleghi di altri cicli (io insegno alla scuola elementare). Inoltre credo che se alcuni punti possono essere condivisi in toto anche scendendo di ciclo scolastico, altri sarebbero almeno da articolare diversamente per non rischiare di risultare lontani dalle problematiche che si vivono in questi settori specifici della scuola pubblica.

È il caso, ad esempio, dell’opposizione del punto 1: “conoscenze-competenze”; infatti la rivendicazione della didattica “disciplinare” è comprensibile con studenti e studentesse di quindici o diciotto anni, mentre appare meno opportuna in cicli scolastici nei quali le discipline devono ancora emergere e questa lenta emersione deve conservare le forti connessioni con ambiti più ampi che sono alla base dell’ottica interdisciplinare. Nel contesto della scuola primaria quindi l’opposizione conoscenza-competenza rischia di venire letta come un richiamo ad una precoce rivendicazione dei saperi codificati, e il rischio di leggere tale riflessione combinandola con la rivendicazione della “lezione” (punto 3) produce – almeno in me che insegno ora in una classe terza – non tanto l’impressione della difesa della dimensione relazionale nella didattica, quanto il timore che all’operatività e all’attivismo si preferiscano la frontalità docente. So che non è questa l’intenzione degli estensori dell’appello, mi pare di capire che l’opposizione “lezione-laboratorio” miri a smascherare la finta e alienata operatività digitale dei social; ma per chi insegna a bambine e bambini in un’età che per ora è ancora “pre-social, parole come “frontale”, “dialogata” e “laboratoriale” non sono “rifiniture burocratiche”, ma elementi fondanti il discrimine tra la buona e la cattiva didattica.

Ma questo è solo un esempio. D’altronde il sistema di istruzione, dalla scuola dell’infanzia all’università, è un ambito talmente ampio che è impossibile trovare elementi da rivendicare per tutto il percorso senza opportune declinazioni. Da una parte quindi è giusto cercare, come hanno fatto coloro che hanno steso l’appello, i comuni denominatori (e quelli dell’ossessione misuratrice, della panacea informatica e della svendita di importanti fette di didattica alle pratiche di alternanza scuola-lavoro mi paiono pienamente condivisibili). Dall’altra però, se l’appello ha anche il fine di riattivare una discussione che negli ultimi tempi ha patito un po’ di fatica, allora può essere utile aprire quel medesimo dibattito guardandolo però da un punto di vista differente, quello dei cicli inferiori, infanzia e primaria.

Perciò ho pensato di scrivere questo breve intervento. Mi sono chiesto: se avessi provato a sintetizzare insieme a colleghe e colleghi una lista di punti, da mettere all’ordine del giorno di una serie minima di richieste rivolta ai decisori politici, cosa avrei scelto? So che sembra velleitario, ma riflettere sulle priorità serve anche a costruirsi una mappa da tenere bene presente nei prossimi anni per orientare il proprio impegno civico, o per dotarsi di elementi di giudizio aggiornati per osservarsi nella didattica quotidiana. Quali elementi individuare come primari?

Non sono risposte che sia facile dare da soli; ma stante la temporanea assenza di momenti comuni durante i quali ritrovarsi per “problematizzare insieme”, ho pensato che valesse la pena di provare a buttare giù idee parziali, iniziali, oltremodo sintetiche, che amiche e amici potrebbero avere voglia di chiosare, correggere, cambiare, integrare… insomma, che potrebbero divenire occasione di confronto.

Ecco i miei punti (sei):

  1. Voto vs commento. Il voto stravolge il senso dell’operare didattico innestando dinamiche agonistiche. Va limitato ai documenti ufficiali (strategia di resilienza) e ne va richiesta l’abolizione.
  2. Test invalsi. Sono un condensato di cattive abitudini didattiche: culto della rapidità, divieto di discussione, risposte preformulate, esclusione della scrittura e dell’oralità… Non si può andare avanti con questi modelli perniciosi. Moratoria!
  3. Tempo pieno: va assegnato dove richiesto dai genitori e auspicato dai collegi docenti (tanto più oggi che siamo in un periodo di crisi economica cronica); vanno ripristinate le compresenze, sia nel tempo pieno che nei modelli a meno ore, che andrebbero uniformati un po’.
  4. Scuola dell’infanzia garantita e gratuita, davvero è così difficile? Ripeto, la crisi economica è cronica, non si può rispondere mettendo a pagamento (vedi comune di Bologna) questa scuola ancora non garantita a tutte e tutti.
  5. Interventi edilizi per dotare le scuole dell’infanzia e elementari di spazi all’aperto, per concedere qualcosa ai corpi, anche per consentire una ripresa di contatto delle future generazioni con quegli elementi naturali che nel prossimo futuro minacciano di prendersi una dura rivincita su noi ominidi…
  6. Ci serviva lo ius soli, anzi, ci servirebbe uno ius soli globale; nell’attesa avremmo però almeno voglia – nella scuola primaria – di tornare a insegnare la geografia a partire dal mondo, e di ritornare alla storia del Novecento, uscendo dal ghetto della storia antica e dal baricentro sull’Italia.

Maestre, maestri, che ne pensate?

da:  http://comune-info.net