Medio Oriente due anni dopo, se la primavera è ancora donna

Il ruolo delle donne arabe nelle sollevazioni è stato centrale. E lo è ancora. Una conferenza, a Roma, ospita le voci di alcune protagoniste della primavera. Ed è l’occasione per presentare la ‘Relazione Costa’, che chiede al Parlamento europeo l’assunzione di responsabilità per sostenere i diritti di genere nei processi di transizione democratica.

 

 

di Cecilia Dalla Negra

 

Che le donne abbiano giocato un ruolo di primo piano nelle rivolte che hanno attraversato i loro paesi – in Tunisia come in Egitto, passando per la primavera negata del Bahrein, dove hanno sfidato a mani nude la repressione dei regimi – è un fatto noto.

E probabilmente scontato, considerando che rappresentano la metà di quelle società civili che, due anni fa, si sono sollevate per rivendicare giustizia e libertà.

Come scontato è – o dovrebbe essere – che la lotta delle donne passi per quella verso l’affermazione di diritti umani universali. Che ne sia parte integrante, sfaccettatura, declinazione possibile: laddove le libertà e i diritti di genere rappresentano un indicatore capace di raccontare la salute di una democrazia.

Ed è quindi ai due anni appena trascorsi che bisogna guardare: ai testi costituzionali scritti, agli articoli di legge proposti, alle assemblee formate, ai Parlamenti composti.

E alle piazze, dove le donne continuano a resistere a nuovi poteri – o a vecchi sistemi celati da cambiamenti di facciata – e alle rinnovate violenze, per ribadire ancora una volta l’importanza della loro presenza nei processi di transizione che attraversano la regione. 

Se dopo 24 mesi la primavera sia ‘ancora donna’ se lo è domandato il nutrito tavolo di relatrici riunite a Roma, il 7 marzo scorso, in una partecipata conferenza promossa dalla europarlamentare Silvia Costa (Pd) e dall’Institute of European Democrats (IED), che ha ospitato le importanti testimonianze di chi quelle rivoluzioni le ha vissute sul proprio corpo, ed oggi affronta la dura fase della transizione democratica.

Un’occasione per tirare le somme, alla luce di elezioni che hanno portato al potere nuovi partiti, disegnando scenari forse inattesi ma che, come spesso accade, hanno proposto nuove sfide da affrontare per le libertà e i diritti di genere.

Tra le relatrici, voci importanti del panorama intellettuale egiziano – come la giornalista Sarah Sirgany e l’attivista Sally Toma – e della società civile tunisina, con la preziosa testimonianza di Sihem Bensedrine, fondatrice della piattaforma multimediale Kalima.

E voci nostrane come quella di Paola Caridi, blogger di Invisblearabs, e Renata Pepiccelli, tra le massime esperte italiane di femminismo e Islam.

Un incontro, svolto alla vigilia della Giornata internazionale della donna, che ha preceduto di poco la discussione e il voto sulla ‘Relazione Costa’, voluta dall’europarlamentare per indagare l’attuale condizione femminile in Nord Africa.

Già approvata il 19 febbraio a larghissima maggioranza in Commissione FEMM (l’organismo europeo per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere), aprirà questa settimana la plenaria di Strasburgo.

Si tratta del primo pronunciamento specifico con cui, se approvato, il Parlamento europeo evidenzierà il ruolo attivo delle donne nelle sollevazioni nordafricane, e che richiede alla stessa Europa un impegno preciso: un forte rilancio del partenariato euromediterraneo, declinato secondo una nuova lettura; e soprattutto un’assunzione di responsabilità, rivendicata anche dalle testimonianze ascoltate.

Perché se i paesi della sponda Nord hanno avuto un ruolo nel sostenere quei regimi oggi fortemente condannati, dovrebbero averne anche nel supportare il cammino verso la democrazia di Stati che hanno conquistato sul campo la propria auto-determinazione, e non necessitano di ulteriori interferenze che non siano di sostegno attivo, capaci di lasciare definitivamente da parte ogni ammiccamento neocoloniale.

“L’Unione Europea ha un ruolo da svolgere attraverso la sua politica di vicinato, rivista. Sostenendo la costruzione di regimi democratici e lo sviluppo socio-economico, l’Unione può essere decisiva per aiutare i suoi vicini meridionali a raggiungere ciò che i sollevamenti popolari chiedevano: più democrazia, più libertà e più giustizia” sostiene Costa, che aggiunge come l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne debbano essere, per l’Europa, una “priorità assoluta”.

 

I PUNTI-CHIAVE DELLA RELAZIONE

Incentrata sui quattro paesi del Nord Africa (Egitto, Libia, Marocco e Tunisia) interessati da cambiamento di regime, elezioni e scrittura di nuove Costituzioni, la Relazione è il risultato di un lungo lavoro collettivo, che ha visto una missione sul campo, un’audizione pubblica e diverse consultazioni con le donne elette nei paesi interessati, esperti e organizzazioni della società civile.

Partendo dall’assunto che le donne, in queste regioni, abbiamo “partecipato attivamente come manifestanti, organizzatrici e leader dei movimenti, diventando fautrici fondamentali del cambiamento”, il documento passa a domandarsi quali saranno gli scenari futuri, cos’ come lo stato dell’arte dei diritti conquistati e le eventuali nuove sfide imposte dal presente.

“Oggi le donne continuano a lottare per la rappresentanza nei parlamenti e nei governi, ma anche per il riconoscimento della parità dei diritti nelle nuove Costituzioni”, si legge nel testo.

Per questa ragione, l’obiettivo è di “evidenziare problematicità e successi ottenuti, e porre in evidenza l’impegno che le donne hanno messo a sostegno della transizione democratica nella società civile, nelle Ong, nei mezzi di comunicazione e all’interno dei partiti politici”.

Se le condizioni socio-economiche che hanno portato all’esplosione delle rivolte – fatte di disoccupazione giovanile e femminile, capace di incoraggiare l’emarginazione – sono state tra le cause principali dei sollevamenti regionali, allora le rivendicazioni di genere si inseriscono in questa lotta, e i diritti delle donne vanno letti come parte di una più vasta richiesta di giustizia. E il loro riconoscimento come precondizione e struttura fondante delle nuove democrazie.

Le donne, secondo Costa, hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo fondamentale: proprio per questo, è necessario “evidenziare le difficoltà ancora presenti e le potenziali insidie cui devono far fronte nella ricerca della parità nei loro paesi”.

Per sventare, insomma, lo spettro di quello ‘scenario algerino’ sempre presente: una partecipazione attiva alla lotta per la liberazione nazionale da parte delle donne, costrette poi a far ritorno ai ‘focolari domestici’ una volta ottenuta l’indipendenza.

Ecco allora che la discussione e il voto sulla Relazione si incentreranno su quale possa e debba essere il ruolo dell’Europa, in virtù di quella politica di vicinato che è necessario rivedere, impostata su una nuova declinazione di parità tra nord e sud del Mediterraneo, che lanci l’approccio del ‘more for more’: maggiori aiuti, a fronte di maggiori impegni.

Se approvata, la Relazione chiederà a nome del Parlamento alle autorità dei quattro paesi presi in esame di inserire irrevocabilmente nelle proprie Costituzioni il principio di uguaglianza tra uomini e donne; di garantirne la parità anche nei codici penali, nei sistemi di sicurezza sociale, nell’accesso all’istruzione, alla cultura, al mondo del lavoro e dell’imprenditoria; di assicurare adeguate penalizzazioni della violenza, e di eliminare esplicitamente ogni forma di discriminazione.

Viene presa in esame la questione della partecipazione femminile ai processi decisionali, che non esclude l’inserimento di misure e normative specifiche – “tra cui l’adozione di quote rosa” – e l’incoraggiamento alla creazione di commissioni per l’uguaglianza di genere sul modello europeo e delle Nazioni Unite.

Si propone chiaramente, poi, di utilizzare lo strumento ENPI per “porre i diritti delle donne al centro dei programmi, inserendo l’uguaglianza di genere come priorità in ogni documento strategico nazionale”, rafforzando dove necessario la dotazione finanziaria, prendendo “seriamente in considerazione i diritti delle donne negli impegni assunti dai partner, in conformità del principio ‘more for more’.

E, infine, invitando i governi e le autorità degli stati membri dell’Ue a porre i diritti di genere al centro delle loro relazioni bilaterali diplomatiche e commerciali con i paesi del Nord Africa.

Perché, conclude Costa, “quando svolge le sue azioni l’Ue non deve dimenticare che non esiste una vera democrazia che non tenga conto di metà della popolazione”.