Sulle periferie di Stoccolma in fiamme

Cosa sta accadendo in Svezia?

di Mathias Wåg
da GlobalProject.info
26 / 5 / 2013

 

Il contesto in cui è maturata la rivolta

Dall’estero la Svezia gode ancora di un’immagine positiva come la terra promessa del welfare. Ma come le termiti, la politica neoliberale consuma il welfare dall’interno, lasciandolo come un guscio vuoto, pronto a cadere con il primo soffio di vento.

Gli ospedali sono ancora li, i grattacieli nelle periferie hanno nuove facciate, gli studenti vanno a scuola. Sotto le facciate, belle e pulite, la sanità sta per crollare sotto un sovraccarico provocato dai tagli, i grattacieli hanno bisogno di essere restaurati, le scuole sono spostate dalle periferie e sempre meno studenti portano a termine il loro percorso scolastico.

Il sistema del welfare è stato saccheggiato, i finanziamenti sono stati tolti dal welfare e nel settore pubblico si è aperto la porta agli interessi del mercato. Ma formalmente tutto è ancora lì.

I cambiamenti non si notano se ci si sofferma al primo sguardo.

Le periferie di Stoccolma, i quartieri del cosiddetto “miljonprogrammet” (un programma con lo scopo di costruire un milione di abitazioni a basso costo), sono nate durante gli anno 60 e 70 per rispondere alla crescente esigenza di forza lavoro nella produzione fordista: all’inizio lavoratori svedesi e finlandesi, poi turchi, iraniani, latinoamericani e somali. Oggi Stoccolma continua a crescere ma la costruzione edile è ferma, i sobborghi sono in uno stato di abbandono con una grande esigenze di essere restaurati.

I figli della migrazione, la generazione delle persone nate nelle periferie del cemento, ormai sono cresciuti. La maggior parte è rimasta nelle periferie, altri si sono laureati e iniziano a prendere un posto nella società. Oggi in Svezia, a differenza degli altri paesi scandinavi, ci sono tanti svedesi con genitori nati in altri paesi, che hanno studiato all’università, che lavorano come giornalisti o che sono per esempio musicisti apprezzati.

Le periferie hanno i propri intellettuali, che possono raccontare con la propria voce le esperienze di razzismo strutturale, discriminazione e di che cosa significa crescere in quartieri svantaggiati. Hanno alzato la voce nei dibattiti culturali, criticato stereotipi razzisti, reclamato una propria rappresentanza. Dalle ultime elezioni politiche nel 2010, quando la Svezia ha avuto per la prima volta un partito di estrema destra nel parlamento, i dibattiti culturali intorno a temi come etnicità, colore e cultura sono aumentate, ma non secondo l’agenda dei razzisti. Tante personalità della cultura, del lavoro, dell’università, attraverso la loro critica antirazzista, sono diventati una voce cosi alta che Timbro – il thinktank della Confindustria svedese – ha dichiarato che “la grande minaccia da sinistra ormai è diventata il post colonialismo”.

Una questione che nell’ultimo periodo è diventata esplosiva, così sono nate le proteste contro il progetto REVA, un progetto che aveva un obiettivo. La polizia e il Ministero dell’Immigrazione potevano arrestare migranti senza documenti attraverso controlli nelle metropolitane. La polizia ha utilizzato una strategia nominata “rasprofiliering”, strategia che consisteva nell’autorizzazione a fermare tutte le persone con unapparenza “non-svedese”, per chiedergli i documenti.

Queste azioni razziste e poliziesche hanno provocato grande proteste, un’onda di azione dirette e manifestazioni durante tutta la primavera. Il Ministro della Giustizia e il Ministro dell’Immigrazione hanno fatto commenti nei media molto infelici, che hanno alimentato le proteste ancora di più e si è aperto uno spazio comunicativo in cui alcuni personaggi della cultura – che hanno vissuto esperienze di razzismo sulla propria pelle – hanno raccontato questi episodi.

Il dibattito pubblico in questo modo è cambiato in modo irreversibile, e fortunatamente, in una direzione antirazzista. Per appronfondire un articolo di Jonas Hassan Khemeri (scrittore svedese):

 

 

I sobborghi delle città: politiche del comune contro le politiche del profitto e dell’esclusione

Gli intellettuali che provengono nelle periferie sono solo l’espressione più visibile di una nuova consapevolezza dei sobborghi. Ma ancora più importante è l’organizzazione territoriale delle periferie che è cresciuta al di fuori dell’attenzione dei media. A Göteborg, Malmö e Stoccolma, parallelamente è cresciuta un’organizzazione sociale di abitanti della periferia per gli abitanti della periferia. A Göteborg l’organizzazione Pantrarna (le pantere) è nata nel 2011 nel sobborgo Lindängen, e poco dopo è nata una sezione di Malmö. A Stoccolma nel 2008 è nata l’organizzazione Megafonen (il megafono) nel sobborgo Husby. Come si può cogliere dal nome, l’ispirazione deriva dalle Pantere Nere. L’organizzazione lavora intorno ad alcune questioni sociali dirompenti, cerca di costituire un programma sociale per riqualificare le periferie, simile ai dieci punti delle Pantere Nere. Organizzano aiuti per fare i compiti a ragazzi che abitano in appartamenti troppo piccoli per avere la pace per studiare, propongono attività formative, gruppi di scrittura e di arti marziali, e cercano di aprire luoghi d’incontro nei quartieri.

Le Pantere Nere non sono solo una fonte d’ispirazione ma le organizzazioni della periferia hanno costruito una vera collaborazione con i vecchi attivisti degli Stati Uniti. Il Primo Maggio 2011 Bobby Seal ha parlato all’incontro di Pantrarna a Göteborg, e al Primo Maggio di quest’anno si è organizzato il festival Speak Your Mind, con diversi rappresentanti delle Pantere Nere e concerti con i Dead Prez e la scena hiphop svedese.

Il quartiere Husby di Stoccolma, dove gli incendi delle periferie hanno avuto inizio, non è la periferia più povera o svantaggiata. Piuttosto è la periferia dove le lotte sociali sono state sul livello più alto, e sono andate avanti per più tempo e portando a più vittorie e conquiste.

Il quartiere conta solo 11.000 abitanti, ma si trova di fianco alla Silicon Valley svedese, “Kista Science City”. Quindi i processi di gentrificazione e segregazione sono particolarmente visibili in questo territorio.

I politici di Stoccolma vorrebbero espandere “Kista Science City” anche sopra Husby. Per questo motivo è stato lanciato un piano per Husby, con demolizioni di grandi edifici, privatizzazione della piscina e l’ambulatorio sanitario, la chiusura del luogo d’incontro Husby träff, ristrutturazioni di lusso e conseguente enorme aumento degli affitti. Tutto per sostituire la composizione degli abitanti e aumentare lo status sociale degli abitanti del quartiere.

“Megafonen” ha lavorato contro il piano di “privatizzazione” del quartiere Husby con successo, e insieme ad altri movimenti sociali locali sono riusciti a bloccare cambiamenti nel traffico, demolizioni di case, fermare restauri di lusso e salvare la piscina comunale. L’anno scorso hanno occupato Husby träff, è sono riusciti a difendere questo luogo d’incontro dalla chiusura.

 

Stato di Polizia e criminalizzazione dei sobborghi

La situazione nelle periferie di Stoccolma è diventata più conflittuale a causa degli interventi della polizia. Oltre ai controlli di REVA, che sono stati portati avanti soprattutto nelle periferie molti anni prima che arrivassero nel centro della città, la polizia ha condotta una politica di tolleranza zero nelle periferie. Ha avviato programmi contro la “radicalizzazione politica” e ha bloccato concerti hiphop con i gruppi più noti della periferia con la scusa di combattere l’uso di droghe. Di conseguenza l’odio contro la polizia è aumentata nelle periferie.

Cinque anni fa una grande onda di proteste dei sobborghi ha attraversato la Svezia, con macchine incendiate nelle zone più svantaggiate di Malmö e Göteborg. Ma questa onda non raggiunse mai Stoccolma. Adesso le periferie di Stoccolma sono diventate l’epicentro di un nuovo ciclo di incendi. I primi incendi ci sono stati già in aprile a Tensta, vicino a Husby, e hanno colpito le agenzie che erano responsabili dell’aumento degli affitti. Queste agenzie hanno preferito per i loro interessi mantenere la vicenda nel silenzio e l’avvenimento è stato così silenziato anche dai media.

 

Gli scontri di maggio

La scintilla degli ultimi scontri è, invece, stata l’omicidio di un uomo di 69 anni da parte della polizia in Husby il 13 maggio. Sono due le versioni che si sono diffuse.

Secondo la prima versione l’uomo poi ucciso, originario del Portogallo, era uscito con sua moglie. Quando la moglie è stata minacciata da un gruppo di giovani sarebbe andato a casa per prendere un coltello per difenderla, e per poi tornare nell’appartamento con la lei. Quando la polizia ha citofonato presso la loro abitazione, la coppia era troppo spaventata per aprire e la polizia ha forzato la porta e ha sparato all’uomo nella testa.

Secondo l’altra versione la polizia ha ricevuto l’allarme di un uomo che con un machete girava nel quartiere, per poi rinchiudersi dentro un’abitazione con una donna. La polizia sarebbe entrata per difendere la donna sparando all’uomo, che sarebbe morto nell’ambulanza durante il tragitto verso l’ospedale.

Ma questa seconda versione della polizia contiene tante inesattezze. Megafonen ha, infatti, documentato come il corpo senza vita dell’uomo è stato diverse ore nell’appartamento prima di essere stato portato fuori. Per protestare contro la violenza della polizia e chiedere un’inchiesta indipendente, Megafonen ha organizzato una manifestazione. Invece di cercare il dialogo, l’atteggiamento da parte della polizia verso Megafonen è stato di sostenere che diffondono odio verso la polizia e danneggiano la fiducia nella polizia da parte della popolazione della periferia.

Lunedì 20 maggio sono state incendiate le prime macchine a Husby. Quando la polizia è arrivata è stata accolta con sassate da un gruppo di giovani. Il fumo è le sirene hanno attirato tanti abitanti di Husby a scendere nella piazza per vedere cosa stava succedendo. La polizia ha risposto chiamando rinforzi e attaccando tutte le persone radunate sulla piazza per mandarli via a colpi di manganello.

Ecco alcune testimonianze:

Quando siamo arrivati sul posto abbiamo chiesto alla polizia cose stesse accadendo e se potevamo essere utili!. Ma siamo stati accolti con manganellate, con i cani della polizia puntati contro di noi e le parolacce. Dopo qualche ora abbiamo ricevuto una telefonata dove ci chiedevano di partecipare – racconta Daniel Ghirmai che lavoro come custode nel quartiere assunto dal Comune – alla conferenza stampa di Megafonen”.

Ci hanno chiamato con nomi terribili, come topi e barboni. Hanno attaccato tutti quelli che si trovavano davanti sul loro percorso, signore anziane inermi e all’oscuro dei fatti, sono state spintonate. Anche io sono stata buttata per terra dalla polizia”, ha detto Quena Soruco, abitante di Husby attiva in Megafonen.

Quella notte ci sono stati i primi incendi, mentre i media erano occupati a raccontare della vittoria svedese nei mondiali di hockey. La notte dopo gli incendi si sono sparsi alle periferie vicine e Husby è stata assediata da polizia e giornalisti che mandavano notizie in diretta dalla “zona del conflitto”. La terza notte quindici periferie di Stoccolma erano in fiamme, e la quarta notte gli incendi si sono sparsi anche fuori da Stoccolma.

L’incendio delle macchine ormai è diventata un’epidemia, i media hanno reagito con panico e condanne morali mentre l’establishment politico ha fatto a gara tra chi poteva condannare di più e con più forza.

 

Le reazioni e le prospettive

Le posizioni politiche hanno seguito vecchi schemi: la destra chiedeva un intervento più forte e repressivo mentre la sinistra voleva discutere delle cause strutturali che hanno prodotto questi fatti. La destra razzista voleva un intervento militare, nello stesso tempo cercava di “etnicizzare” il conflitto e narrarlo come una rivolta degli immigrati. I media internazionali avevano la lettura già pronta, “il fallimento multiculturale ha raggiunto anche la Svezia”.

Il giornale di sinistra Arbetaren nel suo editoriale ha affermato: “Gli scontri da South Central LA, attraverso Clischy-Sous-Bois, Tottenham e Husby erano quasi prevedibili. Il ruolo della polizia come catalizzatore e provocatore è come sempre evidente.”

Il collettivo Megafonen è stato identificato come l’agitatore e il fomentatore della rivolta di questi giorni. La responsabilità di Megafonen è quella di aver denunciato pubblicamente gli abusi della polizia, per fermare ed impedire che altri fossero compiuti. In un loro comunicato hanno scritto: “Megafonen non ha iniziato gli incendi. Noi pensiamo che questi non sono i metodi per un cambiamento lungimirante che apra a nuovi diritti e conquiste. Ma sappiamo che la rivolta è una reazione alle mancanze della politica nella nostra società. Disoccupazione, scuole carenti, razzismo strutturale e distruzione del welfare sono le cause sottostanti”.

 

(*) Mathias Mathias Wåg, attivista e giornalista del giornale Brand, Stoccolma

Traduzione di Simon Armini – Casa Bettola Reggio Emilia