Al villaggio di Misaynter con i combattenti del PKK.

Villaggio di Misaynter. Sopra al tavolino fuori dalla porta di casa c’è una teiera; sotto, un paio di scarpe. Di scarpe se ne aggiungono molte altre, ad aspettare lì fuori per cortesia; la teiera entra con noi: il çay bollente accompagna sempre le conversazioni nei villaggi. Oggi siamo qui per incontrare alcuni vecchi combattenti del PKK. Hanno sguardi fieri e tesi, ma sorridono nell’accoglierci e quando gli chiediamo di poter scattare una fotografia ci dicono “qui siete liberi di fare quel che volete”. Liberi come Kobane, nella giornata in cui è arrivata anche l’ufficialità di questa notizia da parte dell’Isis, che per la prima volta – tramite un video diffuso da Aamaq news e ripreso da molte agenzie – riconoscono di essere stati sconfitti nella battaglia per la conquista della città curda. “Kobane è libera per ciascuno, anche per voi”.

Ce lo dice chi ha ancora dei figli in combattimento nei villaggi limitrofi; i più anziani diventano così i portavoce delle storie di chi ancora non possiamo incontrare: i giovani YPG e YPJ che vivono il conflitto, che ancora durerà a lungo, come ci dicono i rumori dei bombardamenti in lontananza. Aidin, ad esempio, ci racconta di suo fratello, soldato in Turchia che ha scelto all’inizio del conflitto di disertare per unirsi a YPG: “Non potrebbe tornare; rischierebbe la prigione per almeno 20 anni”.

Sono i cantoni della Rojava il simbolo di questa libertà: “Tutto quello che sta succedendo a Kobane è responsabilità del governo turco, ma non si possono distruggere i cantoni: rappresentano il cuore del confederalismo democratico, nel quale si realizza l’idea di un paese democratico, dove le persone vivono insieme in libertà”, ci dice Amin. La ricerca della pace per la Rojava passa attraverso la figura di Apo, Abdullah Öcalan, leader del PKK. “Avremo raggiunto la pace quando Apo sarà libero”.

Sono in tanti disposti a impegnarsi per questo processo, in diversi modi: quando usciamo dalla casa un pullman sta entrando nel villaggio. Sono 45 persone arrivate da Istanbul per portare viveri e portare solidarietà ai villaggi, si fermeranno per la notte.

Intanto, si discute della ricostruzione di Kobane. Un processo che, adesso che la città è stata praticamente rasa al suolo, sarebbe troppo costoso e lungo, insostenibile: per questo sono in molti a sostenere che Kobane potrebbe essere costruita ex novo in un altro sito vicino. Se ne discuterà a lungo nelle prossime settimane. “Per ora, la cosa più importante è che voi continuiate a raccontare a tanti della resistenza curda, di cosa stiamo facendo qui”. Il nostro compito è riassunto in un cartello appeso sopra la porta d’uscita, che dice: “Supporta chi vuole volare, o diventerai cenere”.

Chiara, Fano, Marco e Momo da Misaynter (Centri sociali del Nord est – Rojava Calling)