“In Brasile chi protesta rifiuta la rappresentanza politica e sogna una democrazia reale”, intervista a Michael Hardt

Intervista a Michael Hardt

Tratto da “Folha de Sao Paulo”

3 / 7 / 2013

 

Spesso considerate dei punti di debolezza delle manifestazioni lanciate dal Movimento Passe Livre(MPL), delle rivendicazioni diffuse e l’assenza di un leader possono essere invece viste come punti di forza di queste proteste.

“Lo Stato non può quindi semplicemente arrestare i capi e facendo ciò distruggere il movimento. Né può cooptare i leader che andrebbero perciò a disciplinare le masse .”

La “moltitudine”, in questo senso, non può essere contenuta.”

L’affermazione è di Michael Hardt, professore alla Duke University (USA) e autore, con Antonio Negri, dei libri “Impero” (2000) e “Moltitudine” (2004).

Di ispirazione marxista, “Impero” è diventato rapidamente una sorta di Bibbia dei movimenti che cercano alternative alla globalizzazione. Considerato una delle produzioni accademiche più influenti e controverse degli ultimi dieci anni.

In “Moltitudine”, gli autori hanno sviluppato il concetto di una forma di organizzazione politica plurale, democratica e orizzontale, non governata da leader o comitati centrali.

Inoltre, questa forma di organizzazione politica non cerca di rappresentarsi per forza come un gruppo unito e omogeneo, anche se non è vero che è del tutto spontanea o disorganizzata.
Inutile dire che il MPL e le manifestazioni scoppiate in tutto il Brasile nelle ultime settimane sembrano possedere queste caratteristiche.

Per questo motivo, Hardt afferma di seguire le proteste “con grande interesse ed entusiasmo.”
Secondo lui, questo tipo di manifestazione – la moltitudine – rifiuta sempre, come fa il MPL, i canali politici tradizionali.

Entra in una piccola fetta di tempo e di spazio, per creare relazioni più democratiche. Tuttavia essa è stata finora in grado di apportare trasformazioni durature all’interno della società.
“Questa è la prossima sfida”, dice Hardt.

Lei nota delle analogie tra le mobilitazioni in Brasile e quelle che si sono verificate di recente in altri Paesi?

Il legame più evidente è che le richieste provengano dalla città.

In molti casi ha preso la forma di rendere uno spazio pubblico comune, come una piazza o un parco, ma in Brasile, almeno in principio, la scintilla è stata determinata dall’aumento del costo dei trasporti.
Ma, dal mio punto di vista, il fattore più importante che collega queste esperienze è il rifiuto della rappresentanza politica e la domanda di “democrazia reale”, come lo chiamavano gli Indignados in Spagna. Vale a dire, un piano di azione politica democratico più pieno e più partecipativo.

Vi è una differenza significativa, però. Mentre in altri paesi c’è stata una situazione di crisi economica, in Brasile (e forse Turchia), le proteste si sono verificate in un contesto di espansione economica.

L’idea di “folla” è stata delineata in “Impero” e sviluppata in “Moltitudine”. Dopo di che ci sono state molte altre mobilitazioni. Hanno avuto un impatto sulla sua teoria?

Sì , Io e Toni Negri abbiamo seguito da vicino questi potenti movimenti sociali degli ultimi anni. E’ notevole come il numero crescente di rivolte e proteste abbiano preso la forma di “moltitudine”.

Siamo consapevoli, tuttavia, che questi movimenti sono di fronte a grandi sfide che li attendono.
Ancora più importante, per me, è la necessità per loro di creare forze politiche durevoli ed efficaci.
Questa moltitudine, in altre parole, è riuscita a creare belle relazioni democratiche all’interno dei confini di una piazza per un paio di mesi. Tuttavia, non sono ancora state in grado di espandersi nello spazio e nel tempo per trasformare la società in un modo duraturo.
La folla ha bisogno di migliorare la sua organizzazione. Questa è la prossima sfida.

Questi due libri sono stati scritti prima dell’era dei social media. Adesso è cambiato qualcosa?

I social media – Facebook, Twitter e altre piattaforme – sono state utilizzati in modo efficace dai movimenti negli ultimi anni perchè il decentramento di questi mezzi di comunicazione corrisponde all’agire di questi movimenti nella rete. Ma la tecnologia è solo uno strumento. Quello che rimane centrale è l’organizzazione sociale e politica.

Le proteste in Brasile non hanno leaders né dimostrano unitarietà. Come si possono interpretare istanze così diverse, a volte anche contraddittorie?

Pluralità e differenza sono le condizioni di base di qualsiasi processo democratico. La democrazia non esige che tutti siano d’accordo, o men che meno, seguano un leader. Piuttosto, la democrazia ci impone di creare relazioni orizzontali tra pari e una cooperazione anche e soprattutto nelle diversità.

Dovremmo tutti imparare dalle esperienze di questi movimenti, in termini di relazioni democratiche e di forme orizzontali di autogoverno.

In che termini questa moltitudine può rappresentare un agente politico?

Questi movimenti esercitano certamente un potere “destituente”, vale a dire che hanno il potere di rovesciare i governi e indebolire le strutture tradizionali di governance, anche i governi di sinistra.

Ma hanno anche bisogno di sviluppare elementi costituenti capaci di generare nuove e durature forme di vita.
La scommessa o l’ipotesi che pone il concetto di moltitudine è che per agire politicamente non è necessario avere un’unità e un’organizzazione gerarchica.
I movimenti devono dimostrare, in altre parole, che una soggettività politica variegata e democratica è in grado di trasformare radicalmente il processo politico e creare nuove relazioni sociali.

Come potrebbe succedere ciò?

In Brasile, la rivendicazione iniziale si è trasformata in qualcosa di completamente diverso, e queste richieste considerate facenti parte di agende politiche di sinistra sono state sostituite da altre considerate perlopiù di destra.
Il prezzo del trasporto pubblico è stato solo l’innesco per una più ampia serie di rivendicazioni che non sono solo economiche, ma anche politiche. Adesso i movimenti hanno bisogno di acquisire potere e la maturità di combattere le provocazioni e gli interventi della destra.
Ora, un outsider, come me, non può analizzare questo aspetto in maniera adeguata. È necessario essere all’interno del movimento per poterne parlare di più.

Come si può negoziare con un movimento senza leader e con rivendicazioni così ampie?

Il rapporto tra lo Stato e la moltitudine è asimmetrico. Lo Stato, ovviamente, è infinitamente più forte, anche se i due soggetti hanno diverse forme, essendo lo stato centralizzato, e la moltitudine, distribuita.
In un certo senso, questo può essere un vantaggio per la moltitudine.

Lo Stato non può quindi semplicemente arrestare i capi e facendo ciò distruggere il movimento. Né può cooptare i leader che andrebbero perciò a disciplinare le masse .

La moltitudine, in questo senso, non può essere contenuta.
Ma, come ho detto, per essere efficace ed avere effetti permanenti, la moltitudine ha bisogno di trovare il modo di organizzare le differenti parti che la compongono e creare nuove forme di cooperazione.

Le manifestazioni del Brasile si avvicinano di più all’idea di moltitudine rispetto ai movimenti su cui vi siete basati per sviluppare la vostra teoria?

Il concetto di ‘moltitudine’ è stato sviluppato negli ultimi dieci anni attraverso la pratica e la teoria dei movimenti. Dal movimento no global (come le proteste di Seattle negli Stati Uniti nel 1999) a Piazza Tahrir (Egitto), attraverso gli Indignados (Spagna ) e Occupy Wall Street (USA), hanno vissuto uno sforzo progressivo per formare strutture di autogoverno,come l’assemblea generale, che consentirebbe ad una folla molto più diversificata di prendere decisioni politiche.
Particolarmente interessante per me sono state le esperienze dei movimenti sociali indigeni in Bolivia nel 2000 e nel 2003 (le cosiddette guerre di acqua e gas), che sono state teorizzate da intellettuali boliviani, mentre la moltitudine ha lottato per trovare all’interno di una rete orizzontale che univano soggetti diversi, andando dai lavoratori alle questioni riguardanti le minoranze.
Le mobilitazioni in Brasile si pongono in linea con questa tradizione emergente, e che io spero si possa espandere ulteriormente.

In Brasile, si è registrato un record di depredazione e tentativi di invasione di edifici pubblici, come palazzi dei governi e delle assemblee legislative. Anche questo è un elemento ricorrente?

Molti dei movimenti più forti degli ultimi anni sono stati diretti contro la natura non democratica di tutto il sistema politico attuale, sostenendo che le loro affermazioni di rappresentanza sono false. Nelle piazze occupate a Madrid e Barcellona nel 2011, per esempio, hanno cantato “non ci rappresentano”.
E ‘abbastanza logico, quindi, che i movimenti in Brasile si concentrano sulle forme locali di governo pubblico. Essi esprimono una critica alla politica come esiste oggi e denunciano quanto essa li escluda. I movimenti cercano di concepire la politica futura, una politica più democratica.

Ci sono prove che questi movimenti non verranno catturati dalla politica tradizionale? Questo è successo più volte in passato.

Naturalmente non vi è alcuna garanzia che tali movimenti non saranno recuperati dalle forze politiche tradizionali. Gli occupanti sono stati spazzati via da piazza Tahrir, da Puerta del Sol (Madrid) da Zuccotti Park (New York), dal parco Gezi (Istanbul) – ma gli effetti delle loro proteste sono vivi e, come abbiamo visto, movimenti simili continuano a nascere.
Mi auguro che le recenti proteste possano servire per aprire nuove possibilità democratiche in Brasile. E ho la certezza che, anche se può sembrare che questi movimenti siano rifluiti e gli attivisti non siano più per le strade, ci riusciranno.

Traduzione a cura di Anna Irma Battino e Teresa Gregorin