Alluvione metafora perfetta
Nei prossimi giorni torneremo, ancora una volta, a discutere per qualche ora di dissesto idrogeologico; ci interrogheremo sull’uso che, negli ultimi decenni, abbiamo fatto del territorio; faremo ipotesi, immagineremo interventi, abbozzeremo qualche progetto. Poi l’onda di piena lascerà i giornali e gli studi televisivi, si ritirerà dei discorsi da bar, abbandonerà le discussioni a tavola delle famiglie e l’alluvione – divenuta ormai cronica – sarà solo un altro album fotografico nelle gallery dei nostri social-network.
E, come per l’acqua che invade case e strade, avviene per tante altre questioni che caratterizzano la nostra vita quotidiana. Il dramma dei giovani senza lavoro ha bisogno di urgenti soluzioni soltanto il giorno dopo che l’Istat pubblica le sue allarmanti statistiche sulla disoccupazione giovanile sopra al 40%; i profughi diventano esseri umani – e non uno strano concetto metafisico – quando si cuciono la bocca con ago e filo; i senza casa individui che hanno bisogno di solidarietà quando il gelo invernale ne fredderà uno.
E’ in questo calderone dei problemi importanti a cui non diamo importanza che si fa strada la superficialità. Che, per esempio, trova negli infami grandi roditori – e non qualche in strada, capannone, base militare, rotatoria, cantina, centro commerciale di troppo – i responsabili del cedimento di un argine. Che le nutrie possano aver scavato bunker atomici in riva al fiume Retrone è sempre possibile, ma è pur vero che, da quando il mondo è mondo, il loro sporco lavoro è proprio questo. Eppure, non abbiamo memoria e testimonianze, nei secoli passati, della palude padana nella quale ci stiamo abituando a vivere.
Oppure, che individua nelle poche decine di migliaia di euro stanziati a favore dei nomadi le risorse mancanti per mettere in sicurezza il territorio, quasi fosse qualche bolletta pagata – e non i miliardi sprecati in autostrade, cacciabombardieri, palazzi faraonici, … – ad aver reso così debole il territorio che viviamo.
Di alluvione in alluvione, l’acqua mette a nudo l’insostenibile peso dei nostri stili di vita, legati a doppia mandata a un sistema socio-economico che fa del consumo – di prodotti, di persone, di tempo libero, di territorio – il nodo intorno al quale garantire e ridefinire il profitto di alcuni. Rinnovando all’infinito un meccanismo che – in questi anni di crisi – ha messo nelle mani del 10% delle famiglie italiane il 47% della ricchezza di quel che fu, un tempo, chiamato il Belpaese.
Del resto, in passato i nostri fiumi non hanno avuto bisogno di mille invasi o vasche di laminazione per essere controllati; piuttosto, con le croniche esondazioni degli ultimi anni, ci dicono di cambiare sistema, punto di vista, stile di vita. Se non ci va, possiamo pur sempre comprarci degli stivali, costruire paratie, riempire milioni di sacchi di sabbia, riparare, ricostruire, sostituire: qualcuno potrebbe pure dirci che, in fondo, anche questo è un modo di far girare l’economia. Magari, accontentandoci di qualche slogan che, anticipato da un #cancelletto, ci farà credere d’aver trovato il nuovo colpevole dell’allagamento in corso: zingaro o roditore che sia, l’importante è che non è colpa mia.
da: http://marcopalma83.wordpress.com