Tratto da Altreconomia

3 / 3 / 2016

 

Nella notte è stata uccisa, in Honduras, la leader indigena che nel 2015 aveva vinto il “Nobel alternativo” per l’ambiente. Secondo la Ong Global Witness, il Paese centroamericano è il più pericoloso per essere un attivista ambientale negli ultimi 5 anni, con 101 assassinii registrati tra il 2010 e il 2014.

Nell’ultima intervista con Altreconomia diceva: “Dopo il Colpo di Stato del 2009 si sono dimenticati di noi”

Ripubblichiamo l’intervista con cui raccontavamo, meno di un anno fa, le lotte che avevano portato Berta Cáceres, attivista ambientale e per i diritti dei popoli indigeni dell’Honduras, leader del COPINH, al riconoscimento del Goldman Environmental Prize. Berta è stata assassinata questa notte nella sua casa, a La Esperanza, nel dipartimento di Intibucá. 

“In un Paese caratterizzato dalla crescita delle disuguaglianze socio-economica e violazioni dei diritti umani, Berta Caceres (a destra nella foto) ha fatto scendere in piazza gli indigeni Lenca e ha organizzato una campagna della società civile contro l’impresa costruttrice di dighe più grande al mondo, che ha poi rinunciato alla costruzione dell’impianto denominato di Agua Zarca”. Con queste motivazioni, Berta Cáceres è stata insignita del Goldman Environmental Prize, il “Nobel alternativo” per l’ambiente assegnato ogni anno a 6 ambientalisti di tutti i continenti.

La cerimonia di premiazione si terrà a Washington, mercoledì 22 aprile. Il 20 aprile è stato diffuso il comunicato stampa che annunciava i nomi dei 6 “Goldman Prize” (vedi sotto),

la Ong Global Witness ha pubblicato il suo nuovo rapporto sugli omicidi consumati nel mondo ai danni di attivisti ambientali e per i diritti umani, dal titolo eloquente: “How Many More?”.

Secondo la Ong, l’Honduras è il “Paese più pericoloso per essere un attivista ambientale negli ultimi 5 anni, con 101 assassinii registrati tra il 2010 e il 2014”. Per raccontare che cosa accade in Honduras, Global Witness cita proprio il caso e le parole di Berta Cáceres: “Mi hanno seguita, hanno cercato di uccidermi, di rapirmi. Hanno minacciato la mia famiglia. Questo è ciò che dobbiamo affrontare”.

Le minacce riguardano -in particolare- le proteste che il COPINH (Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras), l’organizzazione indigena di cui la Cáceres è leader, ha realizzato contro la costruzione della diga di Agua Zarca, la mobilitazione che le è valso il Goldman Prize. Secondo Global Witness, “si tratta di un caso emblematico degli attacchi sistematici nei confronti dei difensori dell’ambiente in Honduras”.

Dal 2013, tre membri del COPINH sono stati uccisi, ricorda l’organizzazione statunitense. Oltre agli attacchi personali, lei ha invece subito un processo, dopo esser stata falsamente accusata di detenzione illegale di armi (Altreconomia ne aveva dato conto qui).

A fine ottobre, la Cáceres è stata in Italia. Ha partecipato, a Roma, all’incontro di Papa Francesco con i movimenti sociali di tutto il mondo. In quei giorni, Altreconomia l’ha incontrata, raccogliendo le sue riflessioni: “Ho potuto parlare a tu per tu con lui per quattro volte, e gli ho chiesto di prendere posizione sull’Honduras, sulla situazione di terrorismo permanente e sulla persecuzione che il governo e parti del potere ecclesiale portano avanti anche contro i settori più progressisti della gerarchia cattolica, come i gesuiti -ci ha spiegato-. Chi mi ha introdotto, durante l’incontro, ha presentato il mio caso come esempio di criminalizzazione, delle persecuzioni e delle minacce. Per me è stato importante che Papa Francesco si rendesse conto che coloro che erano presenti a quell’incontro non sono persone che siedono a una scrivania, ma attivisti che affrontano e vivono la repressione. Ho consegnato anche una lettera a nome di tutto il COPINH, che racconta l’Honduras, oggi diventato nuovamente un ‘Paese coloniale’, il problema della militarizzazione, e ho chiesto che faccia pressione per la libertà  dei prigionieri politici. Abbiamo bisogno di una Chiesa che accompagna i più poveri e le più povere, e non una Chiesa che benedice il Colpo di Stato”.

Dopo il Colpo di Stato, Berta Cáceres è stata in prima fila nel movimento di resistenza alla dittatura, e per la rinascita democratica del Paese: “L’opinione pubblica mondiale si è dimenticata di noi. Per molti, tutto è finito con le elezioni, è tornata la democrazia, ma non è così”.

La Cáceres ha riconosciuto l’importanza del “messaggio del Papa sui temi dell’accesso alla terra, a una casa degna e a un lavoro, ma senz’altro queste affermazioni preoccupano la parte più retrograda della Chiesa. È per questo che è importante che il suo messaggio arrivi nel nostro Paese”, dove la Chiesa è guidata dal Cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, che non ha mai preso distanza dagli autori del Colpo di Stato che nel giugno 2009 ha deposto l’allora presidente dell’Honduras, e -ricorda- ha sempre “fatto campagna elettorale per il Partito Nazionale, per i conservatori”.

Perché la spinta e il messaggio di Papa Francesco non cadano nel vuoto, però, “sarebbe necessario istituire dei meccanismi di monitoraggio dell’effettiva implementazione dei principi”, ricordava già in ottobre Berta Cáceres. Una riflessione lucida, e capace di cogliere (probabilmente) la debolezza di un incontro epocale il cui portato di cambiamento rischia però di perdersi con troppa facilità. Fine intelligenza e capacità di vedere oltre rappresentano, del resto, due delle principali caratteristiche di Berta Caceres: oltre dieci anni fa, nel 2003, è stata tra i promotori di una campagna internazionale contro le istituzioni finanziarie internazionali, World Bank, Fondo monetario internazionale e Banca inter-americana di sviluppo. Nello stesso anno, intanto, i “copinhes”, contadini e indigeni proveniente dalle montagne del Dipartimento di Intibucá, nella zona Sud-occidentale dell’Honduras, erano in prima fila durante le protesta a Cancun contro il vertice dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Negli stessi anni, il COPINH era tra i promotori degli incontri sociali mesoamericani, per mettere in rete tutte le esperienza di resistenza indigena e contadina degli Stati del Sud-est messicano e dei Paesi dell’America centrale .

La grandezza di Berta Caceres, però, è anche quella di essere oltre a un’attivista, una donna e una madre. A fine ottobre, lasciando Milano si sarebbe imbarcata per l’Argentina: dopo il Colpo di Stato, due dei suoi 4 figli sono stati costretti, per ragioni di sicurezza, a trasferirsi nel Paese sudamericano. E lei, che aveva appena incontrato il Papa, si preoccupava solo di non aver potuto stampare in anticipo il biglietto che, in seguito, l’avrebbe riportata da Buenos Aires a Tegucigalpa, aveva paura di essere rispedita indietro. Nata in un Paese povero, sa che lei non può viaggiare; che è, potenzialmente, un’emigrante. Che davanti al suo viso trova molte porte chiuse. Ed è anche per questo che, insieme al COPINH, lotta. Così si chiudono tutti i comunicati dell’organizzazione: “Con la forze ancestrale di Iselaca, Lempira, Mota ed Etempica si alzano le nostre voci piene di vita, giustizia, libertà e pace!”.

Gli altri cinque del Goldman

Oltre a Bertha Caceres, leader indigena honduregna, il Goldman Environmental Prize  è stato assegnato al birmano Myint Zaw, che ha guidato il movimento che è riuscito a frenare la costruzione di uno sbarramento sull’Irrawaddy, a Phyllis Omido (Kenya) per aver guidato una comunità che chiedeva la chiusura di un impianto industriale altamente inquinante; all’attivista canadese Marilyn Baptiste, che ha guidato la propria comunità fino a bloccare una delle più grandi miniere d’oro e rame della British Columbia; a Jean Wiener (Haiti) e Howard Wood (Scozia) che hanno lottato per l’istituzione “dal basso” di aree marine protette nei rispettivi Paesi.