La diffusione dello Stato islamico e la risposta delle comunità in Medio Oriente e in Nord Africa
La situazione in Libia è pericolosa e in evoluzione ma ancora una volta è fondamentale rimarcare l’importanza e i risultati di chi lo Stato Islamico lo sta attaccando e lo sta sconfiggendo. E’ di stanotte la notizia, riportata da molti media internazionali, che i combattenti dello Ypg/Ypj sono entrati per la prima volta nel territorio della provincia siriana di Raqqa, capitale de-facto, dello Stato Islamico. Si tratta di una notizia estremamente positiva per il fatto che nella Rojava, la spinta distruttrice dei “tagliagole” non solo è stata arrestata ma sono stati messi sulla difensiva, cedendo ampie porzioni di territorio che avevano conquistato durante la scorsa estate.
Le fonti curde riportano che i combattimenti nella zona di Tel Baghdaq, all’interno della provincia di Raqqa, sono stati tra i più violenti da quando è stato rotto l’assedio della città di Kobane. L’osservatorio siriano afferma che vi siano stati 35 morti nelle file degli jihadisti mentre registriamo, purtroppo, anche la morte di 4 combattenti dello Ypg. Sempre secondo fonti curde, sono 163 i villaggi riconquistati in seguito alla liberazione di Kobane.
Se la situazione è positiva nella Rojava, notizie diverse giungono invece dall’Iraq. Attorno alle città di Kirkuk e Mosul si combatte pesantemente e si continua a morire. Di certo la situazione sul campo non viene aiutata dalle parole del Primo Ministro iracheno Haidar al-Abadi che in un’intervista dichiara di sperare di riconquistare Mosul entro la fine dell’anno. Essendo oggi il 17 febbraio si prospettano ancora pesanti combattimenti in quella zona. Se le speranze politiche non sono buone, non lo sono neanche i fatti sul campo. I media del Governo Regionale Curdo riportano la notizia di 17 Peshmerga presi prigionieri presso Kirkuk, fatti sfilare in città entro gabbie, come bestie, e infine barbaramente uccisi dai miliziani dello Stato Islamico. Nelle aree dove è ancora forte il loro controllo militare è evidente che i comportamenti di cui sono tristemente, e purtroppo, famosi non cessano.
Anche dal Kurdistan turco non giungono buone notizie. Nella giornata del 15 febbraio si sono svolte grandi manifestazioni di protesta in molte città per ricordare l’arresto di Abdullah Ocalan avvenuto nel 1999 e da allora rinchiuso in carcere sull’isola di Imrali, e per la sua liberazione. Pesanti scontri tra manifestanti e forze di sicurezza si sono svolti nelle città di Diyarbakir e Sirnak, dove ci sono stati anche 17 arresti, mentre a Cizre solo nell’ultimo mese sono state uccise dalle forze di sicurezza turche 6 persone, di cui l’ultima vittima è un ragazzo di 17 anni. Insomma, la morsa repressiva turca non tende a diminuire.
Nella lotta mondiale al terrorismo e allo jihadismo sembra che solo la resistenza di Kobane e della rivoluzione della Rojava rappresentino una soluzione. Per questo è ancora più importante mantenere alta l’attenzione e l’informazione su quello che succede nel deserto siro-iracheno perché ci può dare una chiave di lettura e, soprattutto, una soluzione a quello che sta succedendo sull’altra sponda del Mediterraneo.
Essere Rojava per essere liberi.