Secondo uno studio dell’Ocse l’Italia è l’unico paese in Europa ad avere i salari più bassi del 1990. Trent’anni buttati, mentre la crescita dei salari tedeschi e francesi è stata nell’ordine del 30%, noi abbiamo perso il 2,9%. Questo è l’esito infausto di trentennali politiche di precarizzazione del lavoro, di privatizzazioni e di una totale e assordante assenza di politica industriale. Secondo un recente studio commissionato dal Ministero dell’Interno si scopre che il 24% dei lavoratori italiani, quasi uno su quattro, pur lavorando è povero. La Costituzione è stata profondamente tradita. Basterebbe ricordare l’articolo 36, per il quale la remunerazione del lavoratore deve assicurare un’esistenza libera e dignitosa.
Il lavoro povero è uno dei segnali di allarme di un paese, il nostro, in cui la diseguaglianza aumenta, e gli spazi per un’ascesa socio-economica sono sempre più legati a dove una persona nasce a soprattutto da chi sono i suoi genitori.
L’ultimo report di Oxfam ci ricorda che i 40 miliardari italiani possiedono un patrimonio pari quello di 18 milioni di italiani meno fortunati, e, nel frattempo il numero dei nostri concittadini in povertà assoluta è aumentato di un milione.
L’aumento della diseguaglianza è sempre più intollerabile. è intollerabile perché nel silenzio della politica e dei media si trasforma un tessuto sociale e produttivo in cui c’è sempre meno spazio per la crescita inclusiva, per una politica industriale assennata, che consideri dove vogliamo andare come paese. Le due crisi che abbiamo vissuto, quella finanziaria e quella da Covid, hanno dimostrato che non possiamo dipendere solo dalle esportazioni, dobbiamo ripartire dalla domanda interna, dai consumi, dai salari, dallo Stato come generatore di domanda, di ricchezza e di lavoro.
Nel frattempo le politiche di austerità hanno colpito al cuore il Welfare State. Solo tra il 2009 e il 2015 abbiamo assistito ad un taglio della spesa corrente del 20% nell’istruzione e dell’8% nella sanità. La popolazione invecchia, aumentano i bisogni sanitari e, contemporaneamente, si assiste ad un definanziamento del sistema sanitario nazionale, che ha portato alla perdita di 40mila posti di lavoro in 10 anni. Più bisogni, più malati cronici, meno risorse. Ci stiamo giocando il sistema sanitario nazionale, il più bel regalo della Repubblica.
L’ Italia sembra segnata da salari da fame, povertà e uno Stato sociale sempre più fragile. È possibile uscirne? Crediamo di sì, ma solo se sapremo abbandonare le politiche liberiste e cieche che hanno creato questo declino..

Ne parliamo con:

-Simone Fana, autore di “Basta salari da Fame!”
-Guendalina Anzolin, Ricercatrice in Economia Politica al King’s College London, attivista di Paese Reale
-Carlo Cunegato, Portavoce del Veneto che Vogliamo, attivista di Paese Reale