Giustizia, mezza tortura e nessuna amnistia
- di Valerio Renzi
- da dinamopress
La Commissione giustizia del Senato ha approvato un disegno di legge che introduce nel nostro ordinamento penale il reato di tortura. Sarebbe da dire finalmente. Dopo i richiami internazionali, la mobilitazione dei movimenti sociali e di una parte significativa dell’opinione pubblica, i rapporti delle organizzazioni in difesa dei diritti umani. Dopo che la tortura contro militanti della sinistra extraparlamentare e i prigionieri della lotta armata tra gli anni ’70 e ‘80 è diventata verità giudiziaria. Ma soprattutto dopo Bolzaneto, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Marcello Lonzi, Giuseppe Uva e tanti altri.
E invece siamo in Italia e c’è sempre un “ma”. E’ vero infatti che il Senato ha licenziato un provvedimento che istituisce il reato di tortura, ma ha di fatto stravolto il testo presentato da Luigi Manconi. Alla fine il provvedimento risulta annacquato. Il reato di tortura viene configurato come un reato generico e non specifico. Nella fattispecie ciò vuol dire che il reato non è riferito specificatamente alle azioni di un pubblico ufficiale verso una persona privata della propria libertà. La maggioranza ha ceduto alle pressioni degli ambienti di polizia e del Viminale per non far passare una legge che i rappresentanti dei tutori dell’ordine avrebbero giudicato punitiva, il segnale che l’impunità sostanziale per i loro uomini fosse finita. C’è da dire che neanche le opposizioni, Sel e 5 stelle, hanno fatto le barricate per difendere il testo originale di Manconi. Vedremo ora che fine farà il testo alla Camera.
Le carceri italiane intanto, sovraffollate e disumane, sono state nuovamente condannate dalla giustizia europea, che sanzionerà il nostro paese se qualcosa non cambia. Una situazione che imporrebbe alle camere l’utilizzo di strumenti straordinari e d’emergenza contemplati dal nostro ordinamento, come l’indulto e l’amnistia, oltre che la depenalizzazione di molti reati a cominciare da quello di clandestinità. Lo scorso martedì la Camera ha infatti approvato con 325 sì, 107 no e 42 astenuti una relazione della Commissione giustizia che, in poche righe e in maniera sbrigativa, descrive le conseguenze di un provvedimento di grazia come inefficaci. Il no ad indulto ed amnistia, tutto politico e conseguenza di vent’anni di retoriche securitarie e giustizialiste , è motivato dai democratici con la necessità di “riforme strutturali” in tema di giustizia. Ma intanto le carceri continuano ad esplodere, decine di migliaia di uomini e donne soffrono, e all’orizzonte non sembra esserci nessun cambiamento strutturale e che porti a un repentino processo di decarcerizzazione. Certo, qualcosa nei flussi in entrata cambierà grazie alla sentenza che ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, ma di certo non basta.
Ora più che mai è necessario rilanciare una mobilitazione politica e culturale su questi temi, perché il problema non è solo il “palazzo”, ma anche la società. Perché, anche se in tanti non lo ammetteranno mai, le politiche securitarie e legaliste, forche e chiavi di cioccolato, hanno plasmato gli schemi di riferimento culturali in Italia. L’idea di giustizia si avvicina sempre di più a quella di vendetta, punizione e difesa della proprietà . Sinonimo di rispetto delle regole, qualsiasi esse siano. Giustizia invece, al di là dell’accezione giudiziaria, in fondo dovrebbe essere un sinonimo di uguaglianza.
Una prima occasione per rilanciare una battaglia per un nuovo garantismo ce l’abbiamo di fronte. Il prossimo 15 marzo a Roma infatti sfilerà una manifestazione da Piramide fino al Ministero di Giustizia. Per dire che di fronte a leggi ingiuste e all’arroganza dei poteri che impongono le politiche d’austerità ribellarsi è giusto. Per difendere le decine di attivisti dei movimenti sociali inquisiti, in carcere con accuse gravissime o sottoposti a misure cauterlari sproporzionate e inaccettabili.
da dinamopress