GRECIA: A SEI ANNI DI DISTANZA, LA MORTE INGIUSTA DI SCATENA ANCORA LA RIVOLTA
(Gianni Sartori)
In molti sostenevano che ormai in Grecia il movimento era defunto e che la ribellione aveva ceduto il passo alla stanchezza e alla disillusione. Ma evidentemente non è così. Una notte di guerriglia urbana ha attraversato Atene dopo il corteo (circa 10mila persone) in memoria di Alexis Grigoropoulos (il quindicenne assassinato sei anni fa dalla polizia) e di Nikos Romanos, anarchico, prigioniero politico, in sciopero della fame da quasi 30 giorni. Già il 17 novembre (anniversario della rivolta del Politecnico contro la dittatura dei colonnelli) la polizia aveva caricato molto duramente i manifestanti e la cosa si è ripetuta durante la manifestazione per Alexis e Nikos. Da parte loro i manifestanti hanno reagito con barricate e lanci di pietre. Altri scontri a Salonicco (corteo di 6mila persone) e manifestazioni in gran parte della Grecia e anche a Creta.
“Buon viaggio, Alexis. Forse era necessario che tu te ne andassi affinché potessimo svegliarci. Resterai sempre nei nostri cuori, l’ultimo sangue innocente”.
C’era anche questo epitaffio tra le decine di frasi lasciate appese nel 2008 a Exarchia, il quartiere di Atene dove il quindicenne ateniese era stato ucciso da un colpo di pistola dell’agente Epaminonda Korkoneas. I giovani che allora avevano trasformato le strade della Grecia in quelle di una Belfast (o Donosti) anni ottanta, protestavano per l’uccisione di uno di loro, ma la rabbia covava da tempo. Negli ultimi mesi vi erano già state numerose manifestazioni per esprimere il malcontento popolare e anche scontri di piazza. Nei giorni della ribellione il Politecnico di Atene, circa 13mila iscritti, era diventato la roccaforte del movimento. Non solo studenti, ma anche giovani disoccupati, precari, militanti dei gruppi della sinistra radicale (soprattutto anarchici) e molti altri che magari fino al giorno prima non si erano mai occupati di politica. L’età dei rivoltosi variava dai 15 ai 35 anni. Alcuni avevano scelto di protestare pacificamente, altri (i “kukulofori”, incappucciati) si spingevano oltre, lanciando pietre e molotov. Dopo la manifestazione pomeridiana di lunedì 8 dicembre 2008 il centro di Atene appariva saccheggiato: un intero cinema dato alle fiamme, decine di negozi e banche incendiati, innumerevoli le vetrine infrante e le barricate. Anche il grande albero di Natale di piazza Sintagma, di fronte al Parlamento, era stato bruciato. Per tutta la notte, dopo che i cortei erano stati dispersi dalle cariche, gli scontri tra i giovani e le unità antisommossa (MAT) erano proseguiti nella città invasa dall’odore acre dei lacrimogeni e degli incendi. Le manifestazioni continuavano poi nei giorni successivi, sia per il funerale di Alexis che durante lo sciopero generale di mercoledì 10 dicembre 2008. A Patrasso, Atene, Ioannina, Komotinis, Kavala, Tessalonica, Salonicco, Trikala e anche nelle isole: Creta, Rodi, Corfù, Samo…
Scriveva il quotidiano Eleftheros Typos “Atene e Salonicco sono state messe sotto assedio”. M. A. Sanchez, corrispondente di “El Pais” informava che “ad Atene sono stati attaccati tredici (13!) commissariati di polizia”. Stessa situazione a Salonicco dove si registravano gli scontri più violenti. Altre manifestazioni di protesta venivano organizzate dai partiti di opposizione, il Pasok (socialista) e il Kke (comunista). Gli scontri del dicembre 2008 venivano considerati i “più gravi dal 1973”. Contemporaneamente numerose iniziative di solidarietà con gli studenti greci si erano svolte davanti a consolati e ambasciate di Londra, Parigi, Milano, Berlino e Nicosia. Anche Amnesty International aveva stigmatizzato il comportamento della polizia greca, accusandola di usare la forza in maniera “sproporzionata e illegale” nella repressione delle manifestazioni. Ieri come oggi il Politecnico di Atene ha un grande valore simbolico. Da qui nel 1973 era partita la sollevazione destinata a dare il colpo di grazia alla dittatura militare dei colonnelli. Più di quaranta studenti rimasero uccisi e da allora la legge proibisce alla polizia di mettervi piede. Intervistato da Elise Vincent, il vice-presidente dell’Università, Gerasimos Spathis, aveva mostrato comprensione e anche una certa simpatia per i giovani di questa intifada greca che nella facoltà trovavano rifugio tra una manifestazione e l’altra. Molti docenti si opponevano apertamente alle politiche governative di privatizzazione dell’università, soprattutto dopo che il governo aveva approvato una riforma per “rendere più flessibile il sistema universitario”. In realtà, com’era prevedibile, i tagli all’istruzione pubblica sono serviti a favorire la nascita di atenei privati. Già allora la radiografia economica della Grecia appariva contraddittoria. Ufficialmente dal 1998 al 2008 la disoccupazione era passata dal 12% al 7,6%, ma le cose cambiavano se si considerava la situazione dei giovani. Infatti nel 2007 la disoccupazione tra i giovani greci arrivava al 22,9%, il peggior dato di tutta l’Ue, subito dopo Italia (20,3%) e Polonia (21,7%). Percentuali lontanissime (sempre in riferimento al 2007 nda) non solo da quelle dell’Olanda (5,9%), ma anche da Cipro (10%), dalla Slovenia (10,1%) o dalla Repubblica Ceca (10,7%). Inoltre il sistema universitario greco era generalmente definito “molto inefficiente” e non in grado di garantire il passaggio al mercato del lavoro. E la distribuzione delle risorse pubbliche era a dir poco “scarsamente favorevole alla gioventù”. Ieri la mancanza di prospettive, il timore per un futuro incerto alimentavano il rancore sociale, sia contro le forze dell’ordine (accusate di “usare metodi brutali”) che contro il governo (nel 2008 di centro-destra, con Costas Caramanlis). E anche oggi l’attuale governo viene giudicato direttamente responsabile sia della repressione che delle sempre più accentuate disuguaglianze sociali.
Gianni Sartori