95f74d8e-ac0f-4003-eb9d-db25b453c37dIl lavoro secondo Matteo: colpirne milioni, educare tutti
di Francesco Raparelli

Ebbene sì, il “grande innovatore”, Matteo Renzi, ha colpito a morte il professionismo atipico (che non fa riferimento a ordini), i freelance, le partite Iva.

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Ma come, dirà qualche imbecille stupito, non aveva promesso felicità per il “nuovo” (le figure del lavoro intermittente e/o indipendente) e rottamazione per il “vecchio” (articolo 18 in primis)? Non era facile, nessuno ci era riuscito prima di lui, eppure Renzi ce l’ha fatta: nello stesso tempo, ha eliminato lo Statuto dei lavoratori, istituzionalizzato la precarietà (senza causale), affondato gli autonomi. Un piccolo grande miracolo che subito ha raccolto l’applauso dei più “deboli”: Confindustria, FMI, Merkel, McDonald’s, Manpower, ecc.

Vediamo più nel dettaglio l’ultima opera, da molti definita il «tradimento delle partite Iva». In primo luogo il Jobs Act. Per settimane si è parlato – e lo ha fatto Renzi a ogni piè sospinto – di estensione universale degli ammortizzatori sociali, con riferimento ai parasubordinati (collaboratori a progetto) e agli autonomi. Al dunque si è capito, come d’altronde era chiaro fin dall’inizio, che le risorse erano insufficienti (2 miliardi di euro), zelante e immediata la sforbiciata: niente Naspi per le partite Iva. Un primo colpo, ben assestato, di cui si è parlato poco, come se fosse cosa di poco conto che un autonomo, nel periodo di transizione da una commissione all’altra, debba vivere di stenti.

Poi la Legge di stabilità, appena approvata, e la riforma del regime dei minimi. Per un verso l’innalzamento dell’imposta sostitutiva (di Irpef, Irap e Iva), dal 5 al 15%. Per l’altro la ridefinizione dei limiti (per accedere al regime dei minimi): se prima, per tutti, valeva quello di 30.000 euro di fatturato annuo, ora i limiti sono stati diversificati; “morbidi” (35.000/40.000) per commercianti e ristoratori, bassissimi (15.000) per i freelance, il lavoro creativo, della comunicazione, cognitivo. Altrettanto diversificato, a danno dei freelance, il «coefficiente di redditività» su cui, in modo forfettario, si calcolerà l’imponibile. Nulla si è fatto, infine, per fermare la mannaia della Legge Fornero che prevede l’innalzamento dell’aliquota INPS, meglio, della gestione separata, fino al 33% (entro il 2018); già al 29% a partire dal prossimo anno. Un accanimento sistematico, di certo non una svista, come vuole far credere il Primo ministro.

Quale lezione impariamo da questo ultimo atto del violento autunno renziano?

Due fra tutte. La prima: in continuità con i governi che l’hanno preceduto, da Berlusconi a Letta, Renzi sta conducendo una guerra contro la forza-lavoro qualificata. La guerra risponde a un’esigenza molto chiara: imporre una nuova ondata di migrazione di massa. Nella contemporanea divisione continentale e globale del lavoro, l’Italia crolla verso i gradini più bassi: non esistono, da almeno un ventennio, politiche pubbliche e private a sostegno dell’innovazione e della ricerca, non c’è un mercato delle competenze, non c’è un welfare universale, ecc. Per chi ha ancora in mente di studiare, e in attesa di decretare il trionfo assoluto di apprendistato duale e politecnici, l’unica strada possibile è la fuga, l’esodo, la migrazione.

La seconda: fiscalità e accesso selettivo al welfare sono le forme neoliberali di controllo e ricatto nei confronti del lavoro autonomo. So, si tratta di un’affermazione che lascia molti freelance, miei “colleghi”, perplessi. Recita l’adagio: se sono una partita Iva, sono un’impresa individuale, dunque salta la distinzione tra impresa e lavoro, non serve il conflitto sociale, basta ridurre al minimo la burocrazia. Sì, peccato che le corporation transnazionali o le holding bancarie, in combinazione con la governance europea, impongono le scelte economiche di fondo, le «riforme strutturali» (riduzione della spesa pubblica, privatizzazioni delle public utilities, precarietà generalizzata, sotto-retribuzioni, ecc.), tassi di interessi e regimi fiscali. Il committente non è un padrone, indubbiamente, ma il mercato non è un fatto di natura, a maggior ragione nella scena ordoliberale, e nel mercato non tutti contano alla stessa maniera.

Sergio Bologna, storico e sociologo del lavoro, ma anche animatore di ACTA (associazione dei freelance), in una lettera scritta al seguito dell’approvazione della Legge di stabilità, vista la disfatta, avanza due proposte: rafforzare il mutualismo, con uno sguardo all’esperienza dei coworking; costruire la coalizione tra i freelance e gli altri segmenti del lavoro. Citando i precari, pensa al NIdiL, e si scoraggia. Eppure nell’autunno trascorso si sono addensati momenti di lotta, in primo luogo lo Sciopero sociale del 14 novembre, segnati da un robusto protagonismo dei precari e delle tante figure del lavoro senza tutele. Certo solo un inizio, ma l’inizio virtuoso a cui anche i freelance dovrebbero guardare con maggiore attenzione.