Nel giorno di Santo Stefano 2016 ci ha lasciati Andrea Bellini, protagonista milanese del collettivo del Casoretto e della stagione politica degli anni Settanta, dalla fondazione dei primi movimenti studenteschi nel ’68 all’”assalto al cielo” del ’77. Ci piace ricordarlo con alcuni estratti della sua storia, raccolta nel libro di Marco Philopat, “La Banda Bellini”. Lo vediamo, è ancora lì, ancora seduto a un tavolino del Bar Rattazzo, in Ticinese, con un bicchiere in mano, a parlare con tutti, con la sua voce inconfondibile, comunque mai domo
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Storia #1
Dall’interno di un’insospettabile ambulanza, il fascista Giusva puntava la sua carabina di precisione sul portone di casa mia. Avevano deciso di farmi la pelle. Il rampollo della buona borghesia romana era posteggiato al di là della strada da più di una settimana. Mi aspettava all’uscita… Ma io non mi muovevo, i nostri servizi segreti funzionavano ancora e, quindi, da più di un mese, ero barricato in un monolocale… Se io non superavo i 25 anni, lui era molto più giovane. Però non avrebbe faticato a riconoscermi, ero sempre vestito con il solito trench verde, lo spolverino militare che mi arrivava sino ai piedi nonostante il mio metro e novanta di altezza, gli stivali di cuoio a punta e gli immancabili Ray-Ban a lenti azzurrate. Non potevo indossare altro, il trench era il simbolo del mio gruppo e i Ray-Ban una delle cause di quell’appostamento. […] La telefonata del via libera mi arrivò solo dopo l’omicidio di Fausto e Iaio. Ancora una volta la perfetta organizzazione della banda, anche se sciolta da un pezzo, mi aveva salvato.
La banda Bellini era stata per alcuni anni la più attrezzata per la difesa delle tante manifestazioni, nulla passava, come un muro di cemento armato, non c’era problema, quando ci schieravamo noi il resto del corteo poteva stare tranquillo, in ogni caso si sarebbe arrivati alla meta con pochi danni. Ma i fasci ci conoscevano per ben altro. Se fossi uscito di casa, il Giusva, dopo avermi freddato, mi avrebbe sicuramente sciacallato i Ray-Ban, ma lo spolverino non lo avrebbe nemmeno toccato, quello no, faceva parte di una storia che non lo riguardava. Quel trench rappresentava la determinazione di un gruppo di giovani proletari milanesi, che proprio come i quattro protagonisti del film Il mucchio selvaggio, si scagliarono da soli contro un esercito intero, per fare la cosa giusta.
Non l’ho mai raccontata per intero questa storia, solo a episodi da Rattazzo, al Giamaica o in qualche altro bar milanese, all’ora dell’aperitivo, quindi aprite bene il cervello e quando alla fine vi chiederò: “Andiamo?” Voi dovete rispondermi senza esitazioni: “Sì, andiamo!”.
Storia #2
I primi “cucchini” – così li abbiamo chiamati – sono andati alla perfezione – nessun problema – qualche schiaffo e le confische… Una volta mi sono preso da un tipo losco e aristocratico un paio di costosissimi Ray-Ban tecnici con le lenti azzurrate – e siccome dobbiamo travestirci – ho pensato che potevo portarli io – per il disorientamento con la doppia giravolta… insomma questi occhiali azzurrati hanno fatto furore in Statale – perché ribaltavano completamente il senso delle cose – “Ooohhh hai visto il Bellini – si porta i Ray-Ban azzurri che ha pigliato a un fascio in Babila”… Siamo andati avanti ogni sabato per tre mesi – alla fine i neri non venivano più… Di solito, scaricata l’adrenalina, torniamo in università – oramai c’è un folto gruppo ad aspettarci per sentir narrare la caccia – un sacco di riccastre giovani studentesse ci ascoltano con gli occhioni spalancati – la Frikkia e la Betty le due staffette coraggiose la raccontano ad altrettanti studenti debosciati – ci facciamo tutti un figurone – tipo sfilata d’alta moda – i tailleur e le cravatte del travestimento sono quasi quasi giusti… La voce ha fatto il giro – gli statalini hanno capito che la nostra mossa ha fatto gol – siccome siamo diventati una realtà in qualche modo collegata a Lotta Continua perché facciamo la vendita militante del giornale – hanno pensato di contattarci ufficialmente…
È arrivato il gran capo, il Tafani, a parlare a me e al Jack – “Bene – sono azioni politicamente vincenti – ottimo lavoro ragazzi – un giorno dobbiamo parlare di questiii… Come li chiamate?” “Cucchini” – gli abbiamo risposto fieri… È stata la sua maniera di dire che si poteva venire a patti – seppellendo il passato – entrare insomma nelle loro file con il grado un po’ più alto che semplici soldati – ma noi non ci siamo lasciati abbindolare – abbiamo continuato per la nostra strada…
Oggi siamo tornati da veri trionfatori – ne abbiamo messi a segno nove – con ben quattro Ray-Ban confiscati e appoggiati sulla cattedra in aula 101 – e la platea ammutolita a venerarli – sembrava quasi un altarino.
Storia #3
Stasera ci siamo infilati dentro il furgoncino del Franza – in dieci – stretti stipati – siamo andati a cinema – il film scelto è Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah – ce ne avevano parlato tutti da una vita – “Voi del Casoretto dovreste proprio andarlo a vedere quel film – sono una banda di fuori di testa che vivono tra Messico e Texas – “è un western – ma non c’entra un cazzo con John Wayne – è un film della madonna” … Siamo entrati in una sala in via Montenero come dei ragazzini eccitati – ne siamo usciti come dei cowboy ribelli pronti a tutto … Non ci s può credere come un film possa gasarti a quei livelli… Risaliti sul furgone abbiamo iniziato a urlare fuori dai finestrini le frasi dei protagonisti – “Andiamo ? Sì, andiamo!” […]
I commenti su Il mucchio selvaggio non ci hanno lasciato più – le giornate e le nottate trascorse ad analizzare i risvolti storici – i significati – i particolari – mio fratello è affascinato dai perfetti piani di rapina attuati da Pike il protagonista – io contino a esaltarmi – “…è un film che fa a pezzi il ruolo dell’eroe buono senza macchia – loro sono dei selvaggi con tutte le contraddizioni possibili – ma non sono peggio di quelli che pretendono di governare il mondo…” Anche il Jack non è da meno – “Si è vero sono dei banditi – ma odiano l’ipocrisia dell’Amerika – mal sopportano il tedesco esperto di armi che pure gli offre la grana – e alla fine fanno fuori quel bastardo di Mapeche… Grandeee” Il Rosso è l’unico un po’ critico – “Nel film tutte le donne appaiono come delle traditrici” – è vero – ma lui è prevenuto – sta sempre più con le sue amiche – gliel’hanno menata tanto su questa pellicola di maschi per soli maschi – che ora fa il broncioso – ma si gasa anche lui dopo qualche battuta a proposito delle donne – “Andiamoci a parlare… Con diplomazia…”.
Storia #4
“Bellini, ma tu come vorresti crepare?”
Mi sembra chiaro, non lo avete ancora capito?
“No!”
Davanti al plotone di esecuzione per salvare cento, mille giovani cafoni. Si proprio così. Chiederei una poltrona e l’ultima sigaretta, Pall Mall senza filtro, poi un bicchiere colmo di whisky torbato… Comodamente seduto direi al capo: “Lasciatemi finire branco di maiali e non sbagliate mira, beccate solo me! Quelli dietro non c’entrano!”
Guarderei con calma in faccia l’ufficiale, quel povero cristo, lo guarderei negli occhi nel momento in cui sta per dare l’ordine.
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Brani estratti dal libro di Marco Philopat, La Banda Bellini, AgenziaX, Milano, 2015. Ringraziamo l’autore e la casa editrice per la gentile concessione della pubblicazione
da http://effimera.org