14da9223158aa5ea6fb03724efd9893f_LKiev, fascisti al potere: attacchi a comunisti ed ebrei. Che pensano all’evacuazione In evidenza

 

A Kiev si discute del nuovo governo, che nelle dichiarazioni dei nuovi padroni dovrebbe essere di ‘unità nazionale’, in attesa dei risultati delle elezioni del 25 maggio che si preannunciano fortemente condizionate dalla spaccatura del paese in due e dallo strapotere delle milizie di estrema destra che controllano gli edifici istituzionali e continuano le loro scorribande contro sedi politiche, sindacali e culturali. Dopo aver abolito il bilinguismo concedendo solo all’ucraino lo status di lingua ufficiale in un paese dove per metà della popolazione il russo è lingua madre, ora i deputati nazionalsocialisti (è una definizione che danno di sé stessi, non una nostra forzatura) di Svoboda pretendono la chiusura di tutti i canali televisivi che emettono in russo, ed hanno presentato già una proposta di legge in questo senso mentre alcune emittenti hanno già dovuto cessare le trasmissioni a causa delle minacce. Svoboda e alcune frange dei partiti più ‘moderati’ – Udar e Patria – insistono anche sulla messa fuori legge del Partito delle Regioni e del Partito Comunista.

Finora sono stati proprio i comunisti gli obiettivi preferiti degli squadristi del partito di Tyagnibok e delle milizie di Pravyi Sektor, che continuano ad occupare piazza Maidan e soprattutto ad assaltare e distruggere le sedi dei propri nemici politici.
L’ultima azione quadristica ha preso di mira la casa del segretario del Partito Comunista Ucraino, Petro Simonenko, nel villaggio di Gorenka, vicino a Kiev. Una squadraccia delle cosiddette ‘autodifese di Maidan’, col volto coperto, ha sfondato la porta dell’abitazione di Simonenko ed ha appiccato il fuoco lanciando alcune bottiglie molotov al suo interno.
Ma nel mirino di una estrema destra che sempre spadroneggiare, forte della protezione e della complicità della nuova maggioranza parlamentare, non ci sono solo i comunisti e i sindacati. Anche la consistente comunità ebraica è diventata oggetto di minacce e aggressioni, iniziate del resto già nei mesi scorsi quando numerosi ebrei di Kiev sono stati aggrediti e pestati.

L’ultimo episodio risale a ieri, quando alcune bottiglie molotov sono state lanciate contro la sinagoga di Zaporozhie, località a sud est della capitale, dove nei giorni scorsi i fascisti avevano attaccato la sede del consiglio regionale e poi la sede del partito comunista. La sinagoga – che si chiama Gymat Rosa ed é stata aperta nel 2012 – ha riportato danni limitati.
Ma nella comunità ebraica ucraina si sta diffondendo un forte timore, tanto che uno dei due rabbini capi del paese, Moshe Reuven Azman , ha invitato gli ebrei di Kiev a lasciare la città e se possibile anche il Paese, temendo l’inizio di una vera e propria persecuzione di massa. Azman ha chiuso le scuole della comunità ebraica e si limita ora a guidare tre preghiere quotidiane ed anche l’ambasciata israeliana ha raccomandato ai membri della comunità ebraica di limitare al massimo le uscite dalle loro case.
Scrive l’inviato della Stampa Maurizio Molinari: “Le preoccupazioni di Gerusalemme riguardano il fatto che «Svoboda» (Libertà) oltre ad avere il 10 per cento dei seggi nel Parlamento ha alle spalle una ventina di formazioni di estrema destra che, nel complesso, arrivano a rappresentare circa il 20 per cento di una popolazione di 46 milioni di abitanti”.
Le autorità israeliane non hanno perso tempo e nel tentativo di sfruttare a proprio vantaggio la situazione determinata dall’ascesa al potere di partiti razzisti e antisemiti hanno inviato a Kiev un ‘team di emergenza’ con l’obiettivo di convincere gli ebrei ucraini a trasferirsi in Israele. La comunità ebraica ucraina censita ufficialmente conta circa 70.000 membri, ma secondo le istituzioni ebraiche sarebbero molti di più, circa 200mila.
Durante la guerra e l’occupazione nazista, gli ebrei ucraini furono sterminati dai nazisti e dai gruppi nazionalisti ucraini filonazisti a cui oggi si richiamano alcune delle organizzazioni ucraine che hanno assunto il potere dopo il colpo di stato.