La studentessa/puttana torna a casa per le feste
Ogni volta che Sara torna a casa per le feste diventa Saretta. I genitori sanno che sta in città per studiare e lei in effetti studia. Il punto è che quei genitori non hanno la più pallida idea di quando studiare costi. Loro pensano che le cose funzionino un po’ come una volta. Dai a tua figlia qualche centinaio di euro e con quelli dovresti pagare casa, tasse, libri, cibo, bollette. Il fatto è che quei genitori non potrebbero davvero darti di più e in quella terra desolata non sarebbe utile neppure consentire ai figli uno di quei prestiti studenteschi che, come avviene altrove, poi ti tengono legata a vita. Allora Sara si è sforzata di fare molte altre cose. Le serviva un lavoro che non le togliesse molto tempo e che le consentisse anche di studiare. Aveva provato a fare la commessa e anche a lavorare in un call center ma perdeva tutta una giornata per pochi euro e in più, comunque, era lì a fare da paramani per gente molesta. Il mondo è quel che è, lo studio è assai importante e l’istruzione non è un bene garantito alle persone come forse lo era un tempo. O è stata sempre una faccenda per ricchi e dato che chi non ha soldi non può più neanche studiare bisogna che si arrangi in qualche altro modo.
Di rinunciare no, non se ne parla. Sara vuole diventare qualcosa d’altro e nel frattempo allora impiega pelle e curve per intrattenere uomini in un club. Spogliata si guadagna più che rivestita e allora per fortuna il locale è riscaldato e lei non ha problemi a mostrare il corpo. Due sere a settimana tanto per non strafare perché altrimenti la mattina poi non si sarebbe alzata per le lezioni. Da lì però le venne l’idea di farsi gli affari in proprio. Il locale imponeva limiti severi. Niente prostituzione. Così Sara si licenzia, raccatta un paio di clienti, mette un bell’annuncio come ha visto fare ad altre colleghe d’Università e inizia una carriera soddisfacente. Con le altre non ne aveva mai parlato ma quando fece coming out con una tipa seduta sul banco avanti al suo seppe che per davvero l’istruzione non gratuita era diventata una fonte di grande ispirazione per quelle che avrebbero iniziato a fare le puttane.
Belle, creative, utili per accompagnare uomini facoltosi e per animare le feste. Più intelligenti e smaliziate di quelle ragazzette che non avevano chiaro dove andare nel futuro e attente a non lasciarsi prendere la mano. E’ divertente, qualche volta, e qualche volta lo è un po’ meno, ma è una realtà dalla quale non si può prescindere e solo chi è cieco, sordo o ideologicamente moralista e bigotto non ha voglia di vederla. Ci sono tante ragazze che iniziano questa professione per scelta. Lo fanno per mantenersi, per studiare, per avere qualche garanzia per il futuro, per avere di che vivere mentre provano a ottenere strumenti per una vita un po’ meno precaria. L’alternativa sarebbe fare lavoretti faticosissimi che non ti lasciano il tempo di respirare e che non puoi autogestire. Perciò Sara ha adesso una stanzetta in affitto lontano da tutti e lì incontra i suoi clienti. A volte parte per accompagnarli, va con loro a cena, è brava, carina, parla bene e gli uomini vogliono quel tipo di compagna per presentarsi anche agli eventi pubblici.
L’unico problema è lo stigma, feroce, che ti colpisce se qualche bigotta lo viene a sapere o se per caso arriva da te un professore che dopo aver consumato ti ricatta e dice che se lo fai pagare svelerà di te all’Università. La privacy è un problema finché la società non accetterà questo lavoro come fa con tutti gli altri. Lo è perché ti resta attaccata addosso una etichetta che non sarebbe uguale se vendessi servizi sessuali uno alla volta, prima a uno, con un fidanzamento lungo, poi l’altro, con un presunto matrimonio, oppure con l’indimenticabile storia d’amore con il cinquantenne professore che nella ventenne vede il riflesso del suo fragile ego. L’alternativa è fidanzarsi con chi ti fa regali e pretende da te perfino l’illusione di un amore, son quelli che non vogliono solo il sesso ma anche la fedeltà assoluta, pensano di possederti per tutta la vita perché ti mettono al dito un piccolo anello o ti portano qualche volta a cena.
Sara ha le idee chiare su quello che vuole e a chi vorrebbe presentarle lamentele potrebbe rispondere che di fare mille lavoretti precari per sopravvivere senza avere il tempo per costruire nulla di più non ha proprio voglia. Non vuole ammazzarsi di fatica per niente. Se qualcuno ha da ridire allora garantissero l’istruzione anche a chi non se la può permettere. Perché le ragazze non ci stanno più all’idea che se sei ricca studi e se non lo sei allora devi sposare qualcheduno. Prima viene l’indipendenza e poi mille altre cose. Prima l’autonomia economica, senza strafare, con l’unico cruccio di non voler ferire i genitori che ti sanno a fare la santa studentessa e pensano che quel che fai è solo grazie a loro.
Cari mamma e papà, la vita è molto complicata e gli unici che non se ne sono accorti siete voi che comprate pane e pasta nello stesso supermercato di sempre, allo stesso prezzo di dieci anni fa, poi riuscite a vivere dignitosamente del vostro lavoro perché ai tempi vostri era un po’ più semplice. A voi è stato permesso costruire. A noi invece no. Ci rubano il futuro. Ci rubano il diritto all’istruzione. La cosa curiosa è che c’è chi immagina che mentre il mondo attorno implode le ragazze dovrebbero voler sempre comportarsi allo stesso modo. Educande che tengono segreta la propria verginità per un marito perché può anche essere un’epoca moderna, tu sei quella che può fare l’avvocato, il medico, il professionista, puoi anche andare a buttare bombe in paesi stranieri in nome delle disgraziate “guerre umanitarie” ma di mollare cliché e veti sulla gestione del tuo corpo e della tua sessualità non si discute. Dovrai sempre fare tutto quel che serve per il bene del padre, del marito, con libertà di licenza da questi contesti solo se vai a fare la guerra per la patria, il che non è affatto una conquista, anzi.
Cari mamma e papà, quando ritorno a casa dalla città mi sento come quell’adolescente che prima di uscire si trucca di nascosto e quando rientra deve lavare via tutto e rifarsi le treccine per lasciare intatta l’idea di una purezza che per i genitori parrebbe fondamentale. Sono loro quelli che ne soffrirebbero perché si preoccupano di quel che pensano gli altri, sarebbero mortificati dagli sguardi dei vicini, non saprebbero come difendersi dalle dicerie e dalla gente stronza che stronza lo è comunque. E’ quella gente che se mandi la figlia all’università dicono che farà la puttana e loro intendono semplicemente che poi lì non darà valore all’imene o che vivrà in maniera un po’ più spregiudicata. Non parlano di quelle che si fanno pagare ma di quelle che, semplicemente, fanno sesso senza chiedere il permesso a nessuno.
Cari mamma e papà, sembra dire Sara mentre arriva lì vicino casa dei suoi, di me voi non sapete niente e questa è la cosa che mi fa più stare a disagio in queste occasioni perché dover recitare un ruolo che non è il mio è brutto. Dover fare finta di essere altro e provare vergogna per quel che fa è la parte che Sara infatti non preferisce. Se loro sapessero. Se fossero in grado di accettarlo. Se Sara non dovesse vergognarsi di quel che fa e se non dovesse temere ripercussioni per via di una mentalità gretta e anacronistica.
Allora Sara entra in casa, porta con se un piccolo regalo, una cosa davvero modesta perché altrimenti non potrebbe spiegarlo, mostra anche il libretto universitario con le materie date, abbraccia mamma e papà e li ringrazia per quello che fanno perché mai vorrebbe umiliarli o farli sentire inutili rispetto alla sua istruzione, e poi siede a tavola con gli altri parenti, tutti lì riuniti a celebrare la festività.
Saretta, tutto bene? Ma come ti sei fatta bella. Lo sai che c’è la figlia della signora Giuseppina che viene alla tua stessa Università? E Sara annuisce perché lo sa. Si che lo sa. Lo sa perché la figlia della signora Giuseppina è una puttana come lei. La differenza è che al paese è fidanzata “ufficialmente”. Bella storia, eh?
Ps: è una storia vera. Si colloca ovunque e in questo tempo. Grazie a Sara per averla condivisa con me.