Lei non è nessuno
Fenomenologia dell’orrore nelle operazioni di Polizia di Cittadella e Verona.
Il violento rapimento di Lorenzo, 10 anni, dalla sua scuola di Cittadella (Padova) per essere consegnato, su disposizione del magistrato, a una casa famiglia ha cambiato la nostra percezione del quoziente di orrore in grado di essere espresso da un’azione di Polizia. Il fermo altrettanto violento a Verona di Pierre, ivoriano autistico di 19 anni, con sedazione e indagine radiologica sotto narcosi senza che magistrato alcuno sia informato, radicalizza il cambiamento e suggerisce nuovi scenari in cui l’attività delle forze di Polizia potrà essere oggetto di valutazione. Con questi due episodi infatti l’orrore con cui siamo periodicamente chiamati a confrontarci in ragione del diritto di Polizia entra definitivamente nella modernità, affrontando in modo compiuto e articolato tematiche sociali che fino a pochi giorni or sono sembravano destinate a essere esclusivo appannaggio del privato. L’attenzione che abbiamo dedicato ai crimini commessi dalla nostra Polizia di Stato sembrava doversi circoscrivere – fuori dalle dinamiche della gestione dell’ordine pubblico nelle quali le giornate di Genova G8 2001 rappresentano il punto più alto di espressione – alla reiterazione di un copione sostanzialmente sempre uguale: fermo arbitrario, percosse incontrollate, morte, occultamento della verità. Con qualche periodica digressione nell’uso delle armi d’ordinanza, come nel caso dell’agente Spaccarotella che assassina un tifoso laziale in un’area di servizio autostradale.
L’attenzione da noi dedicata a questi episodi col tempo ha perpetuato l’impressione di essere davanti a variazioni sempre uguali della medesima partitura e che al di fuori di quella lo sforzo per ricollocare in avanti nuovi confini all’illegalità dell’agire poliziesco sia destinato a non ottenere risultati di rilievo. E’ evidente che ci siamo sbagliati. I nomi Aldrovandi, Cucchi, Sandri (ma la lista è tragicamente molto più lunga) non sono serviti a ridurre le garanzie non scritte di impunità, a mitigare la sensazione di onnipotenza degli uomini – e le donne – in divisa. Al contrario queste ultime nuove linee evolutive e nuove dinamiche di esercizio della forza devono costringere maggiore attenzione per coglierne la specificità e ipotizzare l’edificazione di argini concreti alla loro espansione. Con particolare riferimento alla inquietante sinergia che sempre più spesso viene a realizzarsi tra arbitrio poliziesco e assistenza medica.
Se in un fatto totalmente e dolorosamente privato come la rottura del rapporto tra due coniugi la cultura e il costume – prima ancora della normativa civilistica – ammettono il ricorso alla magistratura è già molto difficile accettare, come nel caso di Lorenzo, che un giudice scriva nella sua ordinanza che il bambino impari a “resettare i propri rapporti affettivi” come fosse un prodotto hardware e che debba farlo in una struttura terza, lontano dai genitori. Se ancora rimane incomprensibile quale livello di sorveglianza terapeutica sia stato esercitato su di lui nella esecuzione di questa sentenza ecco che l’affidamento dell’esecuzione a una squadra di poliziotti, in totale assenza di personale medico o paramedico, sposta in avanti, in modo terrificante, i limiti dell’agire di dipendenti dello Stato il cui mestiere dovrebbe essere la lotta alla criminalità. Uno sconfinamento, meglio: un ridisegnamento dei confini della biopolitica. Perfettamente rappresentato dalla frase rivolta dalla poliziotta alla zia del bambino: io sono un ispettore di polizia, lei non è nessuno. Dove quel “nessuno” poteva essere in tutta sicurezza esteso a chiunque avesse ritenuto di opporsi a quello che con la massima evidenza era un atto di violenza insopportabile commesso ai danni di un minore.
Ancora più grave, anche se meno enfatizzato dalla cronaca, è l’episodio di Verona. In cui, senza riesumare il sadismo di cui si resero complici i medici nella caserma di Bolzaneto, va registrato quantomeno il dato di pericolosa sudditanza psicologica che ha caratterizzato l’approccio dei medici a un fermato per sospetta ingestione di droga, in realtà palesemente affetto da sindrome autistica, terrorizzato e muto. Il percorso terapeutico di Pierre si è brutalmente interrotto per scivolare in una regressione di cui nessuno è in grado di pesare la gravità, non vuole più uscire di casa. Lorenzo ha davanti a sé un anno di casa famiglia, nella quale si spera possa ricevere un trattamento adeguato alle sue necessità, dalla quale comunque uscirà. Per entrambi un trauma difficilmente valutabile, destinato verosimilmente a segnare il resto della loro esistenza, nel caso di Lorenzo un trauma che ha coinvolto tutta la scolaresca. Per gli uomini e le donne in divisa (o in maglioncino di cachemire, non fa differenza) nessuna sanzione e massima solidarietà. Perché a loro tocca l’ingrato compito di costruire progressivamente una nuova futura normalità, che faccia dell’attuale eccezione regola accettata e condivisa. Perché sono loro ad essere chiamati a modificare il teatro del conflitto sociale e della biopolitica modificando quel dettato – evidentemente obsoleto – formulato nell’immediatezza dell’attacco alle Twin Towers dal commissario delle Nazioni Unite e dal segretario del Consiglio d’Europa secondo cui “alcuni diritti non possono essere derogati in nessun caso e tra essi il diritto alla vita, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, il divieto di torture o crudeltà, di trattamenti inumani o degradanti…”. Dell’introduzione del reato di tortura dovremo occuparci ancora. Intanto questi due episodi falsamente eccezionali ci dicono che è il nostro diritto alla vita ad essere messo in gioco. Sta a noi dimostrare di non essere nessuno.