Non chiediamo il presente. Ci prendiamo il futuro.
Riflessioni post elettorali da Senigallia
“Perché a volte la verità non basta, a volte la gente merita di più, a volte la gente ha bisogno che la propria fiducia venga ricompensata”.
(Il Cavaliere Oscuro)
Mentre M5S, PD e PDL studiano le alchimie dalle quali estrarre un abbozzo di governo, mettendo al centro i loro interessi privati e di consenso, a scapito di un intero paese, proviamo a condividere alcune riflessioni postelettorali, concentrandoci sugli spazi di agibilità politica delle realtà di movimento dopo l’affermazione grillina.
Il primo e per noi più importante dato che emerge, è l’insufficienza delle “realtà di movimento”. Il successo del M5S, infatti, nasce anche dall’incapacità di tradurre le lotte in un organico programma politico in grado di operare una ricomposizione delle figure sociali, nuove e vecchie, superando la frammentazione e indicando una concreta alternativa.
In questo il 15 ottobre 2011 rappresenta uno snodo fondamentale. In piazza San Giovanni l’accumulo straordinario di quattro anni di movimento, che ha avuto le sue tappe fondamentali nelle rivolte del 14 dicembre romano e del 3 luglio val susino, si è bloccato a causa di una scellerata guerra tribale e fratricida tra realtà di movimento.
Il non aver compreso che non si era né nella Spagna delle acampade né nella Grecia delle molotov, ha frantumato quell’embrionale ricomposizione di classe, riconsegnando le lotte alla solitudine dello spazio angusto del localismo e quelle centinaia di migliaia di persone, che erano alla ricerca di uno spazio di partecipazione, di nuovo tra le fauci della delega politica dalle quali erano in fuga. Questo va affermato con chiarezza, fuori da ogni retorica sull’autonomia, sul conflitto e sul contropotere.
Grillo era pronto ad accoglierli a braccia aperte.
Da questo momento, con l’eccezione della straordinaria mobilitazione europea del 14 novembre 2012, le piazze e le strade hanno taciuto. Al diminuire della conflittualità ha corrisposto l’ascesa del M5S.E’ necessario un momento di onestà, dire e dirsi che a oggi, le realtà di movimento su un piano nazionale, risultano inattuali, inconsistenti e poco credibili.Quelle che seguono sono alcune questioni che poniamo, con l’unico scopo di riprendere collettivamente e in maniera coesa l’iniziativa politica.
Viva l’ingovernabilità?
Quando si parla d’ingovernabilità è necessario distinguere tra un’ingovernabilità sociale, agita dal basso e organizzata orizzontalmente e un’instabilità istituzionale, agita dall’alto e imposta verticalmente. La prima è causa ed effetto della conflittualità di classe. La seconda è causa ed effetto degli interessi capitalistici.
“La speculazione si nutre delle oscillazioni dei prezzi. Il vero motore della finanza è il fatto che la speculazione è oggi in grado di generare quelle stesse oscillazioni su cui poi andrà a guadagnare. L’instabilità dei mercati non è un indesiderato effetto collaterale dello strapotere della finanza speculativa, è la base stessa del gioco. Più scommesse girano su un dato titolo, Paese o impresa, più i corrispondenti prezzi rischiano di impazzire. E se i prezzi impazziscono le possibilità di profitti a breve aumentano di pari passo”.*
In poche parole è l’instabilità politico-istituzionale ad attirare gli speculatori. Non è un caso che nessuno abbia voluto cambiare la legge elettorale, né è un caso che Jim O’Neill, presidente dell’unità di gestione di Goldman Sachs, plauda alla vittoria elettorale della Grillo-Casaleggio s.p.a.
L’ingovernabilità non è in sé un dato positivo, dipende chi la produce. In Italia a determinarla è il capitale, il nostro nemico. Non capiamo perché se ne debba gioire.
Chi è stato non è
Uno degli elementi determinanti del successo del M5S è lo stato di putrefazione della sinistra e del centro sinistra istituzionale, al di là che sieda in parlamento o meno. I centri sociali sono storicamente nati contro la rappresentanza e sono stati i primi ad analizzarne la crisi, ma sono stati troppo moderati nel tradurla in pratica. Per dirlo con una battuta, Grillo ci ha scavalcati a sinistra, mostrandosi, soprattutto nei confronti di quei soggetti colpiti dalla crisi, completamente altro rispetto ai Bersani, ai Vendola e agli Ingroia di turno.
Per riacquisire credibilità e spazio politico è necessario che i vivi smettano, in ogni forma, di frequentare i morti. Tertium non datur.
I centri sociali, volenti o nolenti, spesso sono percepiti dalle giovani generazioni come reperti archeologici o comunque come espressione della “vecchia politica”. I motivi sono tanti. E’ certo che la mimica degli anni ‘70 e l’estetica antagonista non servono, né aiutano a fare la rivoluzione. Allo stesso tempo il divario generazionale tra chi oggi si affaccia alla militanza politica e chi alle spalle ha cicli e cicli di movimento, non deve trasformarsi in un motivo di ostacolo al rinnovamento delle pratiche, delle istanze e dei linguaggi. Se i primi non iniziano ad assumersi responsabilità e protagonismo, e se i secondi non li lascino fare e quindi non li lasciano anche sbagliare, si rischia di essere conservatori, nel senso letterale del termine.
Scriviamo questo senza alcuna passione rottamatrice, né alcuno slancio giovanilista, ma perché dobbiamo essere in grado di leggere la realtà sociale nella quale ci muoviamo e questa, oggi, è al centro di un processo profondo e radicale di mutamento culturale, sociale, politico e di costume.
Verità e realtà
Il radicamento territoriale e gran parte del programma elettorale del M5S è il furto perpetrato da Grillo e Casaleggio ai movimenti. I centri sociali sono stati tra i principali soggetti, spesso gli unici, che con le proprie lotte hanno tentato di portare al centro della discussione pubblica, a volte riuscendoci a volte no, le lotte contro la precarietà e per il reddito di cittadinanza, la difesa dei beni comuni e la riconversione ecologica, la lotta contro l’espropriazione di democrazia operata dai mercati finanziari e molto altro.
E’ insopportabile che chi si fa capo di un movimento, registrandone il marchio come fosse un’azienda, rivendichi la paternità e la proprietà d’istanze collettive. Questo terreno va immediatamente riconquistato e rivendicato. Se e quando lor signori – M5S, PD e PDL – avranno finito il teatrino delle alleanze e formato un governo claudicante, contro di loro sarà necessario aprire un conflitto, tornare in piazza e farlo con pratiche che rendano impossibile al M5S di atteggiarsi come l’ennesimo partito di lotta e di governo. Il reddito di cittadinanza non può convivere con chi lo baratta con il taglio a stipendi e pensioni, né l’illegalità di massa e l’utilizzo collettivo della forza con i fondamentalisti della legalità e dello sventolar di manette.
Nel movimento-azienda verità e realtà non coincidono.
Evocare? No, organizzare!
Conflitto, potere costituente, istituzioni del comune, democrazia assoluta e molti altri sono concetti fondamentali per l’elaborazione politica, ma, a oggi, risultano difficilmente traducibili nella realtà concreta e quindi, per quanto corretti, non rappresentano nessuna prassi, nessuna prospettiva credibile per quelle vite messe sotto scacco dalla crisi. La conseguenza è l’affidamento di tali figure sociali alle semplificazioni populiste e demagogiche. In questo Grillo, come Berlusconi, è un maestro.
“I movimenti sono stati in grado di costruire, per lunghi mesi, l’unica opposizione credibile ai governi di centrodestra, ma senza mai riuscire a superare l’atavico impasse della trasformazione della lotta in potere costituente, che faccia i conti […] con la necessità di spostare la conflittualità anche dentro e sul Potere stesso, riaprendo una discussione […] su come una società possa governarsi”.**
Ecco, questo ci sembra esattamente il punto fondamentale della questione. Si può essere ottimi analisti, interpretare precisamente la fase, comprenderne la tendenza, essere abili ed efficaci oratori, riempire le piazze o addirittura farle esplodere, ma non esiste alternativa senza istituzione, cioè senza un’architettura comprensibile, credibile e possibile dentro la quale organizzare il vivere collettivo, i suoi rapporti di produzione e di riproduzione.
La politica delle realtà di movimento deve tornare a parlare alla concretezza della vita. Parole come mutuo soccorso, autodeterminazione, solidarietà, cooperazione non devono solo evocare, ma costruire relazioni sociali dentro e contro l’impoverimento che la crisi genera.
Questo vuol dire costruire un movimento antagonista che con lo scontro di piazza costringa i governi a riconoscere diritti e cedere privilegi?
Oppure, porsi il problema dell’autorappresentazione del movimento dentro le attuali istituzioni e quindi porsi anche il problema del consenso tramite il voto?
O ancora, disconoscere nella sua interezza il potere dello Stato e quindi la sua legislazione, proclamando in maniera unilaterale l’autogoverno dei territori?
Queste prospettive sono tra loro inconciliabili o piani da articolare dentro una strategia comune?
Affrontare questi quesiti che non vogliono essere né esaustivi né retorici, significa aprire una riflessione franca e sincera, capace, se necessario, di mettere in discussione anche le certezze e gli assunti che regolano e guidano la nostra azione politica. Vuol dire ragionare su come intendere e pensare la “centralità dei movimenti” in una fase segnata dalla scarsità di questi, dove il dato elettorale ci consegna un quadro tutt’altro che incline ad abbandonare la logica della delega e dove l’astensione sembra essere un ripiegamento nel privato, piuttosto che la rivendicazione di uno spazio politico autonomo e di una partecipazione agita fuori dalle istituzioni.
Infine, vuole anche dire riflettere in termini laici sulla capacità che il M5S ha avuto nel coniugare, tra mille contraddizione molte delle quali preoccupanti, la disponibilità al voto – presente anche nel momento massimo di crisi della rappresentanza – con forme se non di democrazia diretta, almeno di ampia partecipazione. Un mix che dovrebbe stimolare in noi un’analisi attenta sull’autorappresentazione dei movimenti e sulle tecniche di produzione e strutturazione del consenso, fondamentali per la creazione di istituzioni capaci di praticare l’alternativa.
Nessuno ha la soluzione in tasca e, in una società frenetica e segnata dalla rapidità degli eventi quale quella in cui viviamo, siamo consapevoli delle difficoltà, ma crediamo importante dibattere e confrontarci su questi temi per muoverci insieme attraverso questo tempo di rivoluzione.
Spazio Comune Autogestito Arvultùra
Note:
* Da Huffingtonpost.it di Andrea Baranes, “L’incertezza politica deprime i mercati. O li eccita?”.
** Da Dinamopress.it di Simone Famularo, “Rottura!”.