Morte 272 persone. Il giorno prima operai avevano denunciato le crepe. Tra le macerie trovati capi Mango, Primark e Benetton
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha fissato nel 28 aprile di ogni anno la Giornata Mondiale sulla Sicurezza sul Lavoro. E per la circostanza, vengono organizzati in tutto il mondo iniziative ed eventi che riportino in primo piano questa problematica, che anche in Italia determina un lavoratore morto al giorno.
Ora proprio alla vigilia di una data che vede svolgersi manifestazioni in ogni continente sul diritto alla sicurezza sui posti di lavoro, si è verificata una delle più immani stragi di operai degli ultimi decenni, le agenzie portano cifre sconvolgenti: 1000 persone tra morti e dispersi, altri 1500 feriti. Non si ricorda una simile strage nel mondo del lavoro, un modo di produzione che nella sola UE comporta 25 lavoratori morti al giorno: è il tragico ritorno dello sfruttamento criminale del capitalismo locale ed internazionale, nei laboratori, nei cantieri, nelle miniere, nei grandi impianti di ricerca, nelle grandi fabbriche delle multinazionali.
E’ inutile lanciare proclami o invettive contro lo sfruttamento selvaggio e criminale, piuttosto rilanciamo l’iniziativa politica e sindacale nel mondo dei lavori quale unica garanzia per il consolidamento dei diritti di tutti i lavoratori.
Riportiamo qui di seguito alcune notizie riportate dalle agenzie di stampa.
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A DACCA nel Bangladesh è crollato uno stabile in cui prestavano attività 3 mila addetti di un’azienda tessile provocando al momento almeno 340 vittime costrette a sopportare condizioni di sfruttamento disumano per uno stipendio mensile di 35 euro. Questa tragedia si somma alla strage di minatori sudafricani uccisi nei mesi scorsi da gruppi armati nel corso di uno sciopero in cui rivendicavano modesti aumenti salariali. Per arginare simili ingiustizie, l’Unione Europea e l’Italia hanno il dovere di adoperarsi nei consessi internazionali per affermare la cultura dei diritti e della sicurezza sul lavoro con politiche di cooperazione che agevolano chi rispetta le regole e mettano al bando del commercio e degli scambi economici, le imprese che violano le leggi, sfruttano i bambini, le donne e le persone.
Il bilancio provvisorio parla di 272 morti e soltanto 45 superstiti tirati fuori dalle macerie del palazzo di otto piani crollato e che ospitava diversi laboratori tessili a Dacca in Bangladesh. Immediata la reazione di Campagna Abiti Puliti (sezione italiana della Clean Clothes Campaign), che insieme con i sindacati e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori ha chiesto un intervento immediato da parte dei marchi internazionali. Secondo Abiti Puliti nel palazzo, infatti, venivano realizzati prodotti per grandi marchi europei, anche italiani.Il giorno prima del crollo alcuni degli operai che lavoravano nei cinque laboratori tessili nel palazzo avevano avvertito della presenza di crepe nell’edificio, ma i proprietari delle attività avevano ignorato l’avviso obbligando i dipendenti a tornare al lavoro.
Gli attivisti dei diritti umani sono riusciti ad accedere alle macerie del Rana Plaza, dove hanno trovato etichette e documentazione che collega alcuni grandi marchi europei a questa ennesima tragedia: la spagnola Mango, l’inglese Primark e l’italiana Benetton, oltre ad altri marchi italiani. L’azienda veneta ha fatto sapere di non avere nessuna fabbrica all’interno dello stabile.Sul loro sito web, le aziende tessili elencano tra i loro clienti altrettanti noti brand, tra cui C&A, KIK e Wal-Mart, già noti alle cronache per l’incendio nella fabbrica bengalese Tazreen, dove 112 lavoratori sono morti esattamente cinque mesi fa, e, per quanto riguarda la tedesca KIK, per l’incendio della pakistana Ali Enterprises, dove quasi 300 lavoratori sono morti lo scorso settembre.
I lavoratori morti e feriti stavano producendo capi di abbigliamento quando lo stabile che ospitava più fabbriche tessili – con piani costruiti presumibilmente in maniera illegale – improvvisamente ha ceduto generando un enorme frastuono e lasciando intatto solo il piano terra. Questo crollo fornisce ulteriori prove a conferma dell’inefficacia del ruolo delle società di auditing nella protezione della vita dei lavoratori. Gli attivisti impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori sono convinti che tali decessi continueranno fino a quando le imprese e i funzionari di governo non sottoscriveranno un programma per la sicurezza degli edifici indipendente e vincolante.
“Tragedie come questa mostrano la totale inadeguatezza dei sistemi di controllo e delle ispezioni condotte dalle imprese senza il coinvolgimento dei sindacati e dei lavoratori” ha spiegato Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti: “Non possiamo continuare ad assistere ad un tale sacrificio di vite umane dovuto alla totale irresponsabilità di un sistema produttivo basato sulla competizione al ribasso. Le famiglie delle vittime e i feriti rimaste senza reddito e supporto ora hanno diritto a cure adeguate e risarcimento appropriato da parte delle imprese coinvolte per gli irreparabili danni subiti, oltre a giustizia immediata e assunzione di responsabilità da parte di tutti colore che dovevano prevenire questa carneficina”. Per mettere fine a questi incidenti, la Campagna Abiti Puliti esorta i marchi che si riforniscono in Bangladesh a firmare immediatamente il Bangladesh Fire and Building safety agreement.