Il 15 ottobre sarà una giornata di lotta europea. Come ci arriva il movimento napoletano e le realtà territoriali?Penso che il tentativo di tutte le realtà di movimento, a Napoli come in tutto il paese, è quello di provare a costruire i giusti inneschi per stimolare e implementare il conflitto. Non siamo ancora davanti ad un processo reale di indignazione e mobilitazione contro la crisi e la manovra economica. A Napoli, così come altrove, si sta provando a produrre un attivismo capace di costruire attesa e partecipazione per la manifestazione del 15. Un esempio è rappresentato dalle azioni che in queste settimane ha promosso “Reclaim”, la rete urbana contro la crisi nata agli inizi di settembre. Dalla campagna contro il debito indirizzata verso Equitalia all’occupazione di strutture di proprietà degli ordini ecclesisastici sottratti all’uso sociale come la ex scuola Belvedere, stiamo provando ad indicare i soggetti che non pagano la crisi, come la chiesa, o quelli che ne determinano gli impatti, come Equitalia.
In Campania la crisi ha avuto un impatto fortissimo sul trasporto pubblico, soprattutto per la provincia di Napoli. con i tagli delle corse della Circumvesuviana e la Cumana. Dal sindacato di base agli studenti fino alle reti di studenti e precari in tanti ci siamo mobilitati in una campagna contro i tagli agli enti locali. Altre esperienze, stanno provando a costruire relazioni tra soggetti diversi, talvolta anche molto diversi in termini di prospettive di opposizione alla crisi economica, come è stato l’esperiemento di “Precaria” che ha avuto però il merito di contribuire alle mobilitazioni verso il 15 ottobre.Che giornata sarà il 15 ottore? L’inizio di un autunno duraturo o c’è il rischio che si riveli la fine di un autunno precoce?
Gli sforzi di tutti devono essere rivolti all’obiettivo di portare 100mila persone in piazza a Roma. Sarà determinante la partecipazione alla manifestazione. L’augurio è che dal 15 ottobre possa partire una sorta di “big bang” capace di stimolare sui territori ed in tutto il paese un’indignazione vera. Ciò che avviene in questi giorni negli Stati Uniti ci racconta moltissimo. Penso che possa essere per noi in Italia un orizzonte a cui guardare. Il punto, non è quello di rincorrere una semplice “testimonianza” ma stimolare processi reali. Non siamo ancora in una fase di movimento. Chi pensa il contrario commette un errore di lettura. Non serve spingere sull’autorappresentazione di quelle che sono le realtà organizzate, i collettivi, i sindacati gli stessi centri sociali, ma serve provare a far montare l’onda. La ricerca della testimonianza, magari scambiare qualche fumogeno per un’insorgenza sociale reale, ci porta su un piano da ceto politico. Lo sforzo deve essere in direzione contraria. Rompere gli schemi classici, uscire dalla “rappresentazione del movimento” per entrare, ci auguriamo, in una fase di movimento reale. Per fare ciò dobbiamo partire da un dato: siamo insufficienti rispetto alla fase, all’attacco ai diritti ed al futuro di ognuno di noi. Se partiamo da questo forse possiamo essere utili alla costruzione di processi reali. Se invece facciamo la corsa a “rappresentare” il movimento perdiamo la bussola.
Molti stanno agitando per quella data il tema “violenza – non violenza” come centrale. È veramente così dirimente la questione o è il tentativo di spostare l’attenzione sulla portata di quella giornata?
Questa questione inquina il dibattito intorno ai temi posti dai movimenti sociali in questo paese da decenni. Penso che non sia una questione centrale. I movimenti reali trovano le loro forme di espressione da soli. Non esiste un processo di “induzione” alle forme di espressione del conflitto. Gli indignados in Spagna hanno scelto la non violenza, negli Stati Uniti siamo difronte a forme di disobbedienza collettiva, magari qua succederà ancora altro. La rincorsa alla radicalità a tutti costi è il peccato originale del tema violenza-non violenza. Così come lo è, da una prospettiva diversa, la rincorsa a rinchiudere tutto ciò che potrebbe esprimersi in un contenitore “compatibile”. Sono due spinte che stanno dentro l’errore più grande che è quello di accapparrarsi la rappresentazione di lotte che ancora non ci sono. Insomma dovremmo provare a sgomberare il campo da queste questioni.
L’assemblea del primo ottobre contro il debito da una parte, quella di uniti per l’alternativa dall’altra. Due percorsi che guardano al 15 ottobre ma diversi tra loro. Sono concorrenziali o possono coesistere dentro e oltre il 15 ottobre?
Rifiuto l’idea della concorrenzialità perchè riporta al tema dalla rincorsa a rappresentare conflitti che non ci sono ancora. Il percorso di Uniti per l’alternativa non ha l’ambizione di parlare per nome e per conto di nessuno se non per quelle realtà sociali e politiche che lo compongono. Uniti per l’alternativa oggi è l’unico spazio politico nel paese dove insieme al tema dell’opposizione alla crisi ed alla manovra economica proviamo a capire come si costruisce un’alternativa sociale, politica e culturale nel paese. Temi come la rivendicazione del reddito di cittadinanza, la difesa del contratto collettivo nazionale, la riconversione ecologica, i beni comuni proviamo a trasformarli in modelli reali di gestione.
Teniamo conto di ciò che è successo quest’anno, dalla straordinaria vittoria referendaria alle amministrative di giugno, così come la necessità di re-immaginar e un rapporto con la politica che sia fuori dalle caste e dalla rappresentanza fine a se stessa. Proviamo a rompere la semplice alternanza per costruire appunto una alternativa vera nella società. Un esempio riguarda il tema dell’acqua. Dopo la vittoria referendaria non possiamo più parlare di difesa dei beni comuni ma di governo dal basso dei beni comuni, quali sono i modelli, le modalità e come imporli dal basso a cominciare ad esempio da territori e dagli enti locali. Il Comune di Napoli è stato il primo ente pubblico ad adeguarsi al referendum trasformando la vecchia azienda municipale dell’acqua che era una s.p.a. nella nuova A.B.C acqua bene comune che è un ente di diritto pubblico con un comitato di controllo popolare.
Certo che tutti i percorsi potranno coesistere nel 15 ottobre, ma resta un dato che mi pare non tutti colgano: stiamo facendo la rincorsa a rappresentare ciò che non c’è ancora oppure ci sforziamo di trovare delle chiavi di lettura, che possono essere diverse, per stimolare processi reali? Troppo spesso anche i movimenti producono ceto politico.