images (1)1967- 2017: IL “CHE” E’ VIVO!

 

Intervista con 

Harry Antonio Villegas Tamayo (“POMBO”)

 

Gianni Sartori

 

Premessa. Sinceramente non avrei mai pensato di arrivare un giorno a ricordare il 50° anniversario della morte di “CHE” Guevara. A distanza di tanto tempo prevale ancora l’amarezza per la perdita di questo eroe delle lotte di liberazione, una figura dal prestigio insuperato. Senza, beninteso, togliere niente ai milioni di diseredati, oppressi, umiliati e offesi che da allora hanno ripreso in mano, magari solo idealmente, l’arma del guerrigliero nato argentino, ma diventato veramente internazionale, oltre che internazionalista.

Scadendo sul personale, purtroppo mi ricorda anche l’ormai quasi venerabile età del sottoscritto.

Tra l’altro (coincidenza sincronica ?) l’8 ottobre 1967, data infausta della cattura del Che*, rappresenta anche il mio “battesimo del fuoco”, diciamo così. Quel giorno infatti, quindicenne, partecipai, più che altro come spettatore;(l’intenzione iniziale era soltanto di assistere, per curiosità) alla mia prima manifestazione contro le basi statunitensi con cariche, durissime, della Celere 2 di Padova. L’immagine di alcune ragazze scaraventate e terra e picchiate con i manganelli (non ricordo più se sul cavalcavia di San Pio X o addirittura già allo stadio Menti, a oltre un chilometro dalla Ederle) è rimasta nella memoria, indelebile. Era soltanto l’inizio…ma prometteva bene.

Di Ernesto CHE Guevara avevo già letto un libriccino pubblicato da qualche gruppo m-l (“Creare due, tre, molti Vietnam”, copertina rossa, costava, ricordo, 50 lire)** e quindi non mi era del tutto sconosciuto. Ma sicuramente non potevo immaginare che mentre i manifestanti correvano per le vie periferiche di Vicenza gridando contro l’imperialismo, a migliaia di chilometri di distanza, in Bolivia, quello stesso imperialismo stava portava a segno uno dei suoi colpi più azzeccati: mettere definitivamente a tacere una voce autorevole che parlava a nome dei dannati della terra (dannati nel senso di esclusi, chiaro).

Avevo conosciuto Harry Antonio Villegas Tamayo (nome di battaglia “Pombo”) ancora negli anni novanta durante un giro di conferenze organizzate dall’editore Roberto Massari in collaborazione con l’Associazione  di amicizia Italia-Cuba. Il nome di Pombo, uno dei pochi sopravvissuti alla disfatta boliviana, è citato spesso nel “Diario del Che in Bolivia”, in particolare quando venne ferito in combattimento il 26 giugno 1967 (contemporaneamente a Tuma che invece morirà poco dopo nonostante il tempestivo intervento di Guevara).

Nato nel 1940 a Yara (Sierra Maestra) da una famiglia di contadini poveri, conobbe il Che ed entrò nella guerriglia cubana a soli 14 anni. Da allora non smise mai di lottare. Seguì Guevara in Congo al fianco di Mulele (già ministro di Lumumba che era stato assassinato su richiesta del colonialismo) e perfino di un giovanissimo Laurent Desiré Kabila (di cui il Che un po’ diffidava…), in anni più recenti a capo del paese paese africano (dopo la sconfitta del dittatore Mobutu) e in seguito morto in un poco chiaro incidente.

Pombo partecipò al tentativo boliviano e, dopo la morte del Che, andò a combattere in Angola contro il colonialismo portoghese. Poi in Namibia, a fianco dei guerriglieri SWAPO, contro l’esercito sudafricano. Una lotta questa che, in quanto afrocubano, sentiva particolarmente sua dato che Pretoria aveva introdotto anche in Namibia l’apartheid.

 

 

Domanda: Cosa pensi del fatto che a distanza di tanti anni la figura del Che viva ancora

“nella mente e nel cuore” di tante persone, non solo in America Latina?

 

Pombo: Per noi latinoamericani il persistere del ricordo del Che a tanti anni dalla sua scomparsa non è motivo di sorpresa, dato che le ragioni per cui Guevara lottò sono ancora uguali nella sostanza. In America Latina, malgrado si vada pagando il debito estero, la miseria non diminuisce ma aumenta. Le nuove strategie adottate dai governi consistono nel trasferire nelle casse delle multinazionali il patrimonio, le risorse dei popoli latino-americani.

 

Domanda: E il modello di società che Guevara aveva contribuito a costruire è ancora vitale?

 

Pombo: Il modello di società che il CHE aveva edificato a Cuba e che si era venuto consolidando anche dopo la sua partenza, in qualche misura era stato via via abbandonato. Poi, nel 1987, Fidel aveva fatto una valutazione critica della situazione, riconoscendo la necessità di riprendere i valori etici, morali del CHE, la sua concezione economica che con il tempo si era devitalizzata. Attualmente (l’intervista risale agli anni novanta nda) ci troviamo in una situazione molto complessa

e stiamo lottando perché gli insegnamenti del CHE non vadano perduti.

 

Domanda: La grandezza umana e politica di Guevara ha forse messo in ombra (non per colpa del CHE, ovviamente) il fatto che al suo fianco combattevano anche militanti rivoluzionari boliviani di grande statura politica e morale; penso, tra gli altri, ai fratelli Inti e Coco Peredo…

 

Pombo: Sono assolutamente d’accordo sul valore umano e  politico dei fratelli Peredo, avendo avuto modo di convivere con loro in condizioni molto difficili e avverse. Sia in Bolivia che, con Inti, anche in seguito, quando ci preparavamo per riprendere la lotta. Per me sono stati rapporti di valore straordinario. Inti era un uomo di grandi capacità organizzative, molto fedele all’idea rivoluzionaria che non deluse mai i suoi compagni di lotta. Inti non si tirò mai indietro, non si sottrasse al rischio di morire per l’indipendenza e la liberazione del suo paese. La sua memoria merita grande rispetto e considerazione da parte di tutti gli uomini degni e onesti. Nella conclusione del suo diario il CHE aveva scritto che in Inti si andavano evidenziando tutte le doti di un autentico dirigente rivoluzionario e credo non si sbagliasse. Coco ha avuto meno tempo, meno possibilità per sviluppare le sue capacità (venne ucciso nell’imboscata del 26 settembre 1967) ma comunque seppe mettersi in risalto come uomo di grande valore. Il CHE giustamente cercava quel tipo di uomini perché corrispondevano alla sua concezione della conduzione della guerra rivoluzionaria. Riteneva che la lotta dovesse essere diretta dai figli di quella terra, dagli uomini nati in Bolivia. In Inti e Coco vedeva quindi i futuri dirigenti rivoluzionari boliviani.

 

Domanda: A tuo avviso ci sono state precise responsabilità da parte di alcune componenti della sinistra latino-americana nella morte e sconfitta del Che (mi riferisco in particolare al ruolo del partito comunista boliviano di Mario Monje)?

 

Pombo: Naturalmente non si può accusare di responsabilità la sinistra in generale. Personalmente non ho elementi precisi per spiegare le ragioni per cui Mario Monje, segretario del partito comunista boliviano, non fu coerente con gli impegni presi. La sua scelta di non partecipare alla guerriglia ha avuto conseguenze disastrose. Secondo gli accordi avrebbero dovuto integrarsi nella guerriglia più di trentamila uomini (militanti del Partito Comunista Boliviano nda) e questo avrebbe creato le condizioni per poter veramente fare delle Ande la nuova Sierra Maestra, come pensava il CHE. Poi le cose, come ben sai, sono andate diversamente.

 

Domanda: Qualche accenno alla tua vicenda personale. Quando sei entrato in contatto con Guevara? Come sei riuscito a salvarti dalla tragedia di quel maledetto 8 ottobre ’67?

 

Pombo: Penso di essere ancora vivo solo perché il destino ha voluto così. Mi incorporai nella guerriglia a Cuba, con Guevara, all’età di 14 anni e da allora ho sempre lottato: in Congo con Mulele, in Bolivia, in Angola, in Namibia…

 

Domanda: Scusa se ti interrompo. Mi diceva prima un compagno cileno, Rodrigo Diaz, che per un po’ hai anche fatto il dirigente, non solo il guerrigliero…

 

Pombo: A Cuba, a causa della carenza di professionisti del settore, per un certo tempo fui direttore di una fabbrica di ceramiche, ma poi il CHE mi richiamò, quando cominciò a definire il suo progetto di andare a combattere in altre terre oppresse dall’imperialismo.

Tornando alla tua precedente domanda, solo in cinque del gruppo di Guevara riuscimmo a sganciarci e, se pur feriti, sfuggire ai rangers (al momento dell’intervista tre di loro erano ancora in vita nda). Io ero rimasto con la mitragliatrice nella parte alta del canalone per tenere occupati i militari mentre gli altri potevano allontanarsi. Quando cercai di riunirmi al gruppo erano già stati uccisi o catturati. Prima di riuscire ad arrivare in Cile ci toccò sostenere almeno una cinquantina di scontri con l’esercito boliviano. Infine ci consegnammo ai soldati cileni, ad un posto di frontiera. Avrebbero potuto arrestarci perché eravamo entrati illegalmente in Cile e mandarci in galera; oppure  potevano fucilarci sul posto o anche consegnarci ai boliviani, che quasi certamente ci avrebbero fucilato come fecero con gli altri nostri compagni catturati. Per nostra fortuna in quel momento c’erano attriti tra Cile e Bolivia e il tenente che comandava il posto di frontiera (forse perché considerava più nemici i militari boliviani che quei cinque disperati)  decise di consegnarci  alle autorità cilene. All’epoca in Cile il presidente del Senato era un certo Salvador Allende che si precipitò con un aereo militare da Santiago ad Arica (guadagnandosi, vien da pensare, l’inimicizia perpetua degli USA che avevano contribuito alla distruzione della guerriglia in Bolivia e chiesto l’eliminazione del CHE prigioniero nda). Ci portarono a Santiago e, successivamente, con un aereo a Thaiti, poi a Parigi e quindi a Cuba…Dopo tante vicissitudini trovammo una serie di circostanze favorevoli.

 

Domanda: Quello che francamente stupisce è pensare che, dopo tutte queste traversie, sei tornato a combattere in Africa…

 

Pombo: Personalmente sono felice di aver contribuito alla lotta di liberazione anticoloniale del popolo dell’Angola; è per me motivo d’orgoglio che oggi l’Angola sia indipendente, con frontiere riconosciute a livello internazionale. Lo stesso vale per la Namibia che ha potuto liberarsi dal giogo del Sudafrica e dell’apartheid. Abbiamo infatti aiutato la SWAPO ad organizzare la guerriglia e poi anche nella lotta contro le truppe di Pretoria.

 

Gianni Sartori

 

* L’8 ottobre sarebbe poi diventato il “Giorno del Guerrigliero eroico” pensando, erroneamente, che quel giorno il Che fosse stato ucciso in combattimento (o per le ferite riportate). Solo dopo qualche tempo si apprese con certezza che, catturato vivo l’8, era stato assassinato il giorno seguente, il 9 ottobre.

 

 

 

**Doveva invece passare ancora qualche mese prima che mettessi le mani su “La guerra per bande”, una ristampa dell’ottobre 1967 della Mondadori (Oscar settimanali 132 bis, lire 350) di una introvabile edizione del 1961 (Edizioni del Gallo). Da segnalare che la traduzione era di Adele Faccio. Quanto al “Diario del Che in Bolivia”, quello con la prefazione di Fidel Castro,  arrivò dopo (prima edizione: luglio 1968, prima edizione nell’Universale Economica: febbraio 1969) grazie all’editore  Giangiacomo Feltrinelli.

 

***Nell’Esercito cubano, Pombo raggiunse il grado di generale di Brigata e venne decorato come “Héroe de la revolucion”. Il suo libro di memorie (“Pombo, un hombre dela guerrilla del Che”) venne pubblicato nel 1996.