Kobane libera

I CURDI, UN POPOLO RESISTENTE

(Gianni Sartori – marzo 2016)

 

Grazie ad una informazione quantomeno reticente e tardiva, negli ultimi mesi lo stato turco ha potuto bombardare e massacrare impunemente la popolazione curda entro i suoi stessi confini.

Non senza ragione l’Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia (UIKI)

si chiedeva:

L’obiettivo principale della UE non dovrebbe essere quello di proteggere i diritti umani fondamentali, la democrazia e la pace?”.

sollecitando quindi i responsabili politici europei a:

condannare le azioni dello Stato turco e portare questi criminali di guerra davanti ai vostri tribunali”. Speranza vana, presumibilmente, dato che la Turchia, membro della Nato, difficilmente verrà mai giudicata da un tribunale internazionale.

Si calcola che i civili curdi uccisi in sei mesi a Cizre, Silopi, Gever, Sur, Nusaybin e Idil siano oltre 700. Almeno 150 sarebbero stati bruciati vivi all’interno degli scantinati dove cercavano di ripararsi dai bombardamenti. Il 10 e l’11 marzo il Partito democratico delle regioni (DBP) aveva diffuso i risultati dell’indagine svolta a Cizre. La maggior parte delle vittime sono bambini, donne e anziani trattati da Ankara come “nemici combattenti”. Molti di loro (in particolare quelli bruciati) hanno avuto soltanto una sepoltura anonima mentre altri corpi (e parti di corpi smembrati) si trovavano ancora tra le macerie. Sconvolgente lo spettacolo di alcuni cadaveri che apparivano amputati, torturati, tagliati a metà.

A scopo intimidatorio, anche molti animali domestici erano stati uccisi e buttati in mezzo alle strade mentre sui muri i mercenari turchi scrivevano frasi ingiuriose, razziste e sessiste, contro la popolazione curda e contro le donne in particolare. Niente da invidiare, come mentalità, ai fascisti islamici di Isis.Almeno l’80% del distretto risultava fortemente danneggiato dai bombardamenti operati dall’esercito turco che aveva fatto ampio uso di carri armati contro le abitazioni.

A Cizre la maggior parte dei quartieri (Cudi, Nur, Sur, Yasef…) hanno subito 80 giorni di coprifuoco, almeno 500 edifici risultano completamente distrutti e oltre 2000 gravemente danneggiati. I militari, inoltre, si sono accaniti sparando contro mobili, armadi, letti, frigoriferi, condizionatori etc.  Danneggiate seriamente anche la rete idrica e le fognature. Una vera e propria rappresaglia per intimidire e punire collettivamente la popolazione.Ossia, come mi ha spiegato con sacrosanta indignazione un compagno curdo: “intimidire i curdi perché cessino di resistere,  inginocchiandosi davanti allo stato; intimidirli affinché divengano schiavi, perché rinuncino alla loro richiesta di Autonomia democratica o, in alternativa, lascino la loro terra. E per ottenere questo che hanno bruciato le case affinché la gente non possa ritornarvi.Questa è la politica dello stato turco in Kurdistan: svuotare e dominare, schiavizzare il popolo…

 

Quanto alle abitazioni rimaste in piedi, molte venivano occupate dai militari. Tra le richieste immediate del DBP “l’autorizzazione per i comitati nazionali e internazionali di visitare il distretto” e l’avvio di “politiche democratiche allo scopo di evitare che simili catastrofi si ripetano in futuro”. Inoltre la Commissione guidata dal foro degli avvocati dovrebbe “perseguire legalmente e punire gli avvenimenti succedutesi nel distretto”. Gli osservatori del DBP concludevano dicendo di “voler sottolineare ancora

una volta il dolore immenso, la ferocia e la sofferenza che sono stati vissuti a Cizre durante il coprifuoco durato 80 giorni”. E gli effetti umilianti e dolorosi della feroce repressione sono ancora ben “visibili sui volti degli abitanti”. Tuttavia, nonostante tutto quello che è successo, questi appaiono “resistenti e fiduciosi”. Non solo. Molti intervistati si dicono “pronti a tutto, affinché altre persone non debbano affrontare quello che ci troviamo di fronte”. Verso la metà di marzo, mentre la Commissione del DBP rilevava le nefandezze compiute dall’esercito turco contro la popolazione curda di Cizre, alla periferia di Shengal (monte di Sincar, una cittadina a 120 km da Mosul)riprendevano i combattimenti.

Il PKK e i Peshmerga (militari del KRG -Kurdistan regional Government del kurdistan “iracheno”, legati al partito di Barzani)si scontravano nuovamente con le milizie di Isis che avevano riaperto le ostilità lanciando una decina di missili. Ricordo che Shengalera divenuta tristemente famosa nell’agosto 2014 per gli eccidi qui perpetrati dall’Isis contro gli abitanti curdi ezidi poi tratti in salvo dall’intervento di un centinaio di combattenti, donne e uomini, del PKK.

Da segnalare un particolare inquietante: sui resti di uno degli ordigni lanciati da Isis sono state trovate sostanze chimiche proibite dalle convenzioni internazionali.

L’episodio ha riportato alla memoria della popolazione curda la tragedia di Halabja.

 

IERI SADDAM, OGGI ERDOGAN: NIENTE PACE PER IL POPOLO CURDO

Nel 1988, da febbraio a settembre, con almeno otto attacchi chimici consecutivi, Saddam Hussein operava uno sterminio di massa (operazione Anfal) nei territori curdi sotto amministrazione irachena. Utilizzando gas proibiti dalle convenzioni internazionali, il dittatore (che all’epoca godeva del sostegno, anche militare, occidentale) intendeva “punire” una popolazione ritenuta troppo ribelle. I morti furono quasi 200mila e centinaia di località curde scomparvero dalla carta geografica. Un vero e proprio tentativo di genocidio.

Stando ai racconti dei sopravvissuti “le bombe utilizzate dal regime iracheno spandevano un odore di mela”. Molti bambini uscirono in strada gridando “questo è odore di mela, è odore di mela”. Non vedendoli rientrare anche le madri uscivano a cercarli cadendo a loro volta vittime dei gas.

Per questo – mi raccontavano – abbiamo trovato tanti bambini morti abbracciati alla loro mamma”.

 

La strage più nota è quella di Halabja (16 marzo 1988) con oltre 5mila morti.La ricorrenza è stata ricordata anche quest’anno e alcuni oratori hanno voluto

sottolineare l’analogia tra i massacri operati da Saddam nel secolo scorso e l’attuale politica repressiva del capo di stato turco. Anche Erdogan gode oggi del sostegno occidentale e “ha potuto massacrare un migliaio di civili curdi in sei mesi, cacciandone centinaia di migliaia dalla loro casa e distruggendo intere città”. E giustamente si chiedevano: “dopo tutto questo, potrà Erdogan sfuggire al verdetto della storia e alla collera di un popolo decimato soltanto perché curdo?”.

 

Intervenendo alla commemorazione del 16 marzo per il 28° anniversario di Halabja , Emine Omer, ministro del cantone di Cizre, ha dichiarato che “contro la politica del massacro operata nel Kurdistan Nord (sotto amministrazione turca nda) e nel Kurdistan siriano, non può esserci che una sola risposta: resistere”.

E proseguiva: “Noi condanniamo il massacro di Halabja in cui migliaia di persone sono state uccise. Quale era il crimine commesso da

queste persone inermi? Uno stato dittatoriale e fascista voleva annientare i Curdi. I Curdi hanno resistito contro questi massacri nel passato e oggi continuano a resistere. La nostra sola aspirazione è di vivere liberi sulla nostra terra. E’ un nostro legittimo diritto e anche se ogni giorno perdiamo molti di noi, non potranno mai scoraggiarci. Oggi i Curdi si battono contro i poteri sovrani nelle quattro parti del Kurdistan. Tutti gli stati hanno operato massacri contro i Curdi, ma la resistenza continua. Per questo i Curdi alla fine vinceranno”.

Emine ha poi voluto ricordare che la rivoluzione era cominciata nel Kurdistan siriano, a Qamislo, città abitata oltre che dai curdi, da assiri, arabi e armeni (e diventata nel frattempo la capitale di fatto del Rojava).

I Curdi – ha sottolineato – si sono organizzati politicamente, militarmente e socialmente adottando il sistema dell’Autonomia democratica che non è solamente per i Curdi, ma per tutti quelli che vivono in Siria, garantendo l’uguaglianza per tutti i gruppi etnici”. Quanto alle donne che resistono nel Kurdistan siriano e nel Kurdistan del Nord (sottoposto all’amministrazione turca), esse sono diventate “il primo obiettivo del nemico”. Ma questo non potrà né intimidirle né fermarle: “Si, noi donne stiamo

pagando un prezzo elevato, ma non siamo intimidite, resistiamo per un futuro libero. Dobbiamo sollevarci contro un sistema dominato ovunque dagli uomini e continuare a resistere fino alla conquista dei nostri diritti”.

Sempre in merito al ruolo delle donne curde in lotta contro l’oppressione degli stati (e ora anche contro la versione islamica del fascismo, l’Isis) va segnalata la partecipazione, in qualità di “invitate d’onore”, delle combattenti curde delle YPJ alla seconda Conferenza mondiale delle donne che si è tenuta in Nepal (dal 13 al 19 marzo)

 

Alla presenza di 700 delegate provenienti da ogni parte del mondo hanno pronunciato una loro esplicita dichiarazione:

 

Le donne hanno il diritto di educarsi, di prendere decisioni per se stesse e di seguire una formazione ideologica  e militare.  Questo è avvenuto con l’organizzazione di YPJ creata come struttura autonoma. Le donne di YPJ combattono fianco a fianco con gli uomini nella prima linea della resistenza e della guerra. Le donne di YPJ combattono per la libertà di pensiero, la difesa del loro popolo, per esse stesse e per l’umanità”.

Gianni Sartori