IPCC-320x234Clima, ecco il rapporto Ipcc: strada strettissima e negazionisti al lavoro

 

[27 settembre 2013]

di
Gianfranco Bologna

Il complesso processo relativo al lancio del V Assessment Report dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change, vedasi www.ipcc.ch e www.climatechange2013.org ) è stato finalmente avviato: a Stoccolma ha avuto oggi luogo il rilascio del Summary for Policy Makers (il sommario per i decisori politici) del lavoro prodotto dal 1° Working Group, quello relativo alle basi della conoscenza scientifica sul clima mentre è stato chiuso il primo volume dell’Assessment, sullo stesso argomento che sarà presto pubblicato.

Nel 2014 seguiranno gli altri due volumi degli altri due Working Group (sui tre presenti nei rapporti dell’IPCC), quello sugli impatti e gli adattamenti e quello sulle azioni e le politiche di mitigazione necessarie a contrastare gli effetti del cambiamento climatico, nonché il rapporto di sintesi.

La preoccupazione della comunità scientifica internazionale sugli effetti dei cambiamenti climatici e la necessità di spingere, sempre sulla base della conoscenza scientifica l’azione politica, si è organizzata, nel 1988, appunto nella struttura dell’IPCC, voluta dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (World Meteorological Organization,  www.wmo.int ) e dal Programma Ambiente delle Nazioni Unite (United Nations Environment Program,  www.unep.org ), ed è andata fortemente crescendo in questi decenni. L’incremento delle conoscenze scientifiche  ha sempre di più documentato il ruolo dell’intervento umano nella modificazione delle dinamiche del sistema climatico e gli impatti e gli effetti che tali mutamenti provocano negli ecosistemi, nelle specie viventi e negli esseri umani.

Il numero della prestigiosa rivista scientifica “Nature” del 19 settembre scorso, il volume 501, ha dedicato un focus speciale al lancio del quinto Assessment dell’IPCC, con il titolo “Outlook for Earth”, dove si ricordano anche gli avanzamenti della scienza del clima attraverso l’arco dei 25 anni di vita dello stesso IPCC. Nell’editoriale di “Nature” dal titolo “The final assessment” si dichiara con limpida chiarezza: “Most importantly, the panel has increase its confidence in the underlying message – that greenhouse gases are altering Earth’s climate. No serious politician on the planet can now dispute that.”(“Fatto molto importante il Panel ha incrementato la confidenza sul messaggio da sottolineare e cioè che i gas che provocano l’ effetto serra stanno alterando il clima terrestre. Nessun politico serio al mondo può ora disconoscere questo.”).

Il processo di crescita delle conoscenze sul sistema climatico e del ruolo e dell’importanza dell’intervento umano nel causare i cambiamenti climatici, si riflette nelle affermazioni contenute nei diversi rapporti IPCC. Nel primo rapporto dell’IPCC pubblicato nel 1990 relativamente al ruolo umano nel provocare i cambiamenti climatici gli scienziati scrivono :”Le emissioni risultanti dalle attività umane stanno sostanzialmente incrementando la concentrazione nell’atmosfera dei gas ad effetto serra … Questi incrementi rafforzeranno l’effetto serra, provocando in media un riscaldamento aggiuntivo.”

Nel secondo rapporto pubblicato nel 1995 gli scienziati affermano “Il bilancio delle evidenze suggerisce una discernibile influenza umana sul clima globale.” Nel terzo rapporto pubblicato nel 2001 gli scienziati scrivono :”La maggior parte del riscaldamento osservato negli ultimi 50 anni è probabilmente (likely, con una percentuale quindi superiore al 66%) attribuibile all’incremento della concentrazione dei gas ad effetto serra.” Nel quarto rapporto pubblicato nel 2007, gli scienziati scrivono che “Molto dell’incremento delle temperature medie globali che hanno avuto luogo sin dalla metà del 20° secolo sono molto probabilmente (very likely, quindi con una percentuale di più del 90%) attribuibili all’osservato incremento della concentrazione di gas ad effetto serra dovuto all’intervento umano”. Infine in questo ultimo quinto rapporto del 2013 gli scienziati affermano che “è estremamente probabile (extremely likely, quindi per più del 95%) che l’influenza umana sul clima abbia provocato più della metà dell’incremento osservato nella temperatura media della superficie terrestre dal 1951 al 2010.”

In queste affermazioni e nella loro preoccupata crescente evoluzione si comprende anche la crescente angoscia relativa al drammatico gap esistente tra incremento della conoscenza scientifica e inazione politica (fatta di dilazioni, ritardi, deroghe, attese ecc.). Anche a fronte dei dati contenuti nel nuovo rapporto IPCC, la comunità politica internazionale di fatto sta rispondendo con un processo negoziale, in atto da anni nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (www.unfccc.org ), mirato a indicare tagli significativi delle emissioni antropogeniche di gas serra che, se tutto va bene, dovrebbe consentire l’entrata in vigore concreta di un accordo globale, solo nel 2020, perdendo ulteriore tempo preziosissimo.

Inoltre anche i modelli che sono stati utilizzati per le previsioni climatiche si sono molto perfezionati nei 25 anni di vita dell’IPCC. Oggi i modelli utilizzati sono più dettagliati ed includono anche la biologia degli oceani, i processi che si verificano nei suoli e la chimica atmosferica. La loro risoluzione è cresciuta ed anche il numero dei modelli utilizzato è andato incrementandosi. Nel 1990 la risoluzione considerata nei modelli era di 500 km di lato e i modelli utilizzati erano due, nel 1995 la risoluzione era scesa a 250 km ed i modelli utilizzati erano circa 20, nel 2001 la risoluzione era di 180 km ed i modelli utilizzati erano ancora all’incirca una ventina, nel 2007 la risoluzione era di 110 km ed i modelli rimanevano sostanzialmente una ventina mentre per l’ultimo assessment, il quinto, la risoluzione è scesa a 50 km ed i modelli utilizzati sono circa 45.

Gli scenari previsti dal primo volume dell’IPCC per la fine del secolo sono quattro. Nel più drammatico – considerando la media delle previsioni – i mari potrebbero salire di 62 centimetri e la temperatura potrebbe crescere di 3,7 gradi rispetto al periodo 1986 – 2005: potrebbe quindi sfondare il muro dei 4 gradi se confrontata con la temperatura esistente nell’epoca preindustriale, una situazione che gli scienziati definiscono preoccupante e al quale sono stati dedicati specifici rapporti tra i quali, quello che la stessa Banca Mondiale ha prodotto nel novembre scorso, realizzato dal team di scienziati del prestigioso PIK Potsdam Institute for Climate Research Impact.

Nello scenario più favorevole, i mari potrebbero crescere di 24 centimetri e la temperatura potrebbe incrementare di un grado rispetto al periodo 1986 – 2005. E dunque di 1,7 gradi rispetto all’epoca preindustriale, sfiorando così la soglia dei 2 gradi considerata dai governi, sulla base di numerose documentazioni scientifiche, il limite di sicurezza da non superare.

L’IPCC sottolinea ovviamente l’importanza della concentrazione di anidride carbonica (CO2) nella composizione chimica dell’atmosfera, come un elemento molto importante nel guidare le modificazioni climatiche, come è avvenuto altre volte nella storia della Terra. Se riuscissimo a mantenerci, con le azioni concrete di riduzione delle emissioni , sulla strada indicata dallo scenario migliore, potremo giungere entro la fine del secolo, ad un tetto di 421 parti per milione di CO2. Non sono poche: in epoca preindustriale erano 280 e da milioni di anni non si supera il livello attuale. Abbiamo già oltrepassato le 400 parti per milione e l’indicatore continua a salire al ritmo di 2 parti abbondanti per anno.  Se gli andamenti dovessero seguire questo trend entro i prossimi dieci anni potremo essere al di fuori dell’area di sicurezza.

E’ evidentissimo che per fare qualcosa di concreto sarebbe necessario dare tagli significativi e urgenti all’uso di combustibili fossili, che risultano responsabili insieme alla produzione di cemento dell’89 % delle emissioni, e bloccare la deforestazione, che svolge un ruolo dal valore dell’11 %. Ma le tanto volute  riduzioni volontarie decise alla Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici del 2009 a Copenaghen da un mix di paesi molto importanti come emettitori di gas serra, Stati Uniti – Cina -India – Brasile, ha purtroppo prodotto un aumento delle emissioni serra che ormai si muove oltre il 2 per cento l’anno. Anche se si stabilisse un buon accordo globale da far entrare in vigore nel 2020, si prevede che il tetto delle 421 parti per milione venga superato dall’inerzia di un sistema energetico che continua a puntare ancora su carbone, petrolio, gas tradizionale e gas da scisti.

Appare sempre più evidente che le probabilità di imboccare la strada della difesa del clima si stanno riducendo in maniera preoccupante e lo scenario più catastrofico appare purtroppo in linea con quanto si sta verificando.

Nonostante questo il mondo dei negazionisti, che, come è ormai ben noto da una ricchissima e documentatissima letteratura è sovvenzionato e appoggiato dai poteri forti dell’industria dei combustibili fossili, continua ad attaccare chiunque documenta la connessione tra cambiamenti climatici e ruolo dell’intervento umano. Ovviamente con il passare del tempo e l’accumulo delle conoscenze scientifiche il mondo negazionista (ovviamente non nella sua interezza) diventa sempre più abile e furbo nel cercare di far insorgere dubbi e interrogativi.

Subito si sono dati da fare per sottolineare come i dati relativi alle temperature medie superficiali registrate negli ultimi dieci anni non abbiano dimostrato l’atteso incremento e quindi sottolineando che in fondo, ancora non sappiamo bene se vi sono questi cambiamenti climatici e se la specie umana ne sia veramente così responsabile come vogliono farci credere scienziati e ambientalisti (un ampio articolo sul tema è stato pubblicato da Danilo Taino sul “Corriere della Sera” la scorsa settimana).

Bene ha fatto Sergio Castellari, noto senior scientist del Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici nonchè focal point italiano dell’IPCC, a puntualizzare con una lunga nota la realtà scientifica di tali dati e bene ha fatto Greenreport a pubblicare l’intera nota di Castellari. Perché non lo ha fatto il “Corriere della Sera”?

da greenreport.it