Cina – Ambiente, enegia e sviluppo: le contraddizzioni insostenibili della “fabbrica del mondo”

 29 / 1 / 2013

 Con Angela Pascucci analizziamo la complessità della devastazione ambientale prodotta dal turbosviluppo cinese. Le scelte della leadership cinese e il futuro del paese per quanto riguarda la produzione di energia, il modello di sviluppo, la gestione del territorio. I conflitti sociali che emergeno in difesa del futuro collettivo si scontrano con l’idea della produzione della ricchezza a qualsiasi costo.

La situazione allarmante di Pechino come specchio della devastazione ambientale del paese

Pechino in quanto capitale del paese è stata al centro dell’attenzione. In realtà nella nuova ondata di inquinamento metropolitano sono state ben 33 le città che nel centro, nel nord e nell’est della Cina hanno superato i limiti accettabili di particolato, cioè di inquinamento da particelle.

Però a Pechino le punte raggiunte sono state pazzesche, si è arrivati a 400 microgrammi di particolato, secondo i dati ufficiali. Secondo i dati emessi dall’ambasciata americana, che ha un suo sistema di rilevazione, si è arrivati a 800. Bisogna tener presente che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, 25 microgrammi è il livello accettabile, che già a 100 microgrammi l’aria è insalubre e che a 300 bambini ed anziani devono restare a casa. Si capisce dunque quale shock è stata l’irrespirabilità totale dell’aria per gli abitanti di Pechino. C’era una nebbia fumiginosa che copriva il sole. Certo a Pechino già da molto tempo è difficile vedere il suo famoso cielo azzurro, la città è fortemente inquinata (anche se per la qualità dell’aria rilevata in 149 città cinesi la capitale è risultata al 75esimo posto). Una situazione grave emersa anche in occasione delle Olimpiadi quando sono state applicate misure particolari, come la circolazione a targhe alterne o la chiusura o il trasferimento delle fabbriche più inquinanti.

La municipalità di Pechino ha quindi adottato già alcune misure per rispondere all’inquinamento come quella di mettere un tetto all’immatricolazione delle macchine. Il tetto, entrato in vigore nel gennaio 2011, è di 240mila veicoli l’anno, ma bisogna tener presente che nel dicembre scorso a fronte di 20.000 autorizzazioni a disposizione ci sono state 1.200.000 richieste di immatricolazioni.

Non è solo l’inquinamento da auto che opprime la città. In questi periodo di particolare freddo va aggiunto l’inquinamento prodotto dal riscaldamento ed in più anche l’arrivo di correnti di vento sfavorevoli. Tutta una serie di circostanze particolari hanno addensato sulla città questa nuvola pesantissima e letale di smog. In ogni caso a Pechino negli ultimi dieci anni i casi di cancro al polmone sono aumentati del 60% e complessivamente nel paese negli ultimi 30 anni sono quintuplicati. L’Oms già nel 2002 affermava che in Cina 300.000 persone morivano prematuramente per malattie respiratorie mentre secondo altri dati americani, citati da una attenta osservatrice delle questioni ambientali cinesi, Elizabeth Economy, sarebbero 750.000 all’anno i cinesi che muoiono prima del tempo per malattie legate all’inquinamento ambientale. ( Cancer now leading cuase of death in China, Janet Larsen, Earth Policy Institute, 25/5/2011)

La situazione di picco a Pechino, dove non si riusciva più a respirare, è stata come una sirena d’allarme per la città e per il paese. Si è assistito a una sorte di risveglio di coscienza rispetto allo sviluppo del paese.

La domanda di molti, espressa ampiamente dai media ufficiali e non, è stata: dove ci sta portando questo modello di sviluppo?

In questo senso uno degli editoriali che hanno attratto maggiormente la mia attenzione è stato quello di Global Times, giornale per i “falchi” filo-governativi e molto nazionalisti, che ha posto la questione in una maniera molto interessante. Il giornale ha detto in maniera esplicita: “la Cina è la fabbrica del mondo, è il più grande cantiere del mondo, usiamo la metà del cemento che viene prosotto nel mondo e i due terzi dell’acciaio prodotti nel mondo. Abbiamo questo sviluppo ed è quasi impossibile rispetto a questo trand avere un ambiente pulito, come quello dei paesi occidentali. D’altra parte ci stiamo rendendo conto che lo sviluppo così è insostenibile però il popolo cinese vuole sia diventare ricco ed avere questo tipo di sviluppo e al tempo stesso vuole però un ambiente pulito. Bisogna cominciare a riflettere che queste due necessità stanno andando in rotta di collisione”. L’editoriale del Global Times (Society needs fair call to clear air smog, Global Times 15/1/2013) a questo punto si chiede “che cosa fare?”. E suggerisce al governo cinese che da questo punto in poi ponga con molta chiarezza la questione ambientale, senza più celare i dati, visto che uno dei “difetti” del governo cinese è proprio quello di non dare mai l’ampiezza e la gravità dei fenomeni, in particolare quelli ambientali.

Anche se poi i leader cinesi da alcuni anni a questa parte affermano che questo tipo di sviluppo per tutta una serie di ragioni, anche ma non solo ambientali, è diventato insostenibile, scoordinato e va modificato. Hanno anche cercato, non solo dall’ultimo Congresso, il 18esimo, ma anche prima, con l’ultimo piano quinquennale, di imporre delle linee guida che portassero ad una situazione di soluzione dei problemi. (Ancora prima, nei primi anni del 2000, si era aperto un vasto dibattito sul “Pil verde” che non ha portato a grandi risultati, si legga ed esempio “China Debates Green GDP and Its Future Development Model” di Wenran Jiang, in China Brief della Jamestown Foundation, 8 agosto 2007). Come sia, la situazione attuale è grave e loro non hanno mai portato alla pubblica opinione la gravità dei fenomeni in tutta la loro ampiezza.

Il Global Times nell’editoriale scrive che “è ora che il governo lasci che la società partecipi alla soluzione di questi problemi”. Affermando dunque che per una volta tanto bisogna che la soluzione di questo dilemma, che mette in gioco la vita stessa dei cinesi, il loro sviluppo economico ma anche la loro capacità di sostenere un’economia che non porti alla distruzione ambientale, deve essere consegnata alla pubblica opinione. Naturalmente tutto questo non dovrà diventare un problema politico. I cinesi dovranno distinguere la loro partecipazione e discussione su questi temi specifici da quella riguardante questioni più prettamente politiche.

Una questione, a mio avviso, non facilmente dirimibile in questi termini, perchè nella struttura di un certo tipo di sviluppo, come quello che si è creato nel modello cinese, non è per nulla facile lasciar fuori le questioni politiche. Intervenire su questi temi richiama infatti molti altri elementi

La produzione energetica come una delle questioni centrali del paese.

 

 

Il governo cinese ha dunque preso di petto la situazione, rendendosi conto del degrado ambientale cinese e dei limiti che devono essere posti, sia quantitativamente sia qualitativamente, a questo modello di sviluppo.

Per esempio una delle disposizioni che è stata introdotta già da diversi anni è che il 15% dell’energia prodotta deve essere generata da fonti rinnovabili. A questo punto va anche detto che la Cina è al primo posto al mondo per produzione di pannelli solari e turbine eoliche. (Nel 2009 ha investito 35 miliardi di dollari in energie pulite, decuplicando gli investimenti in un decennio, contro I 18 miliardi degli Usa. Si veda: “China surprise leader in clean energy, says study”, Agence France-Presse, 19/10/2010)

Ci sono però dei grandi paradossi. Ad esempio, per quanto riguarda l’energia eolica, sono sttai costruiti in Cina grandi impianti ma rispetto alla potenza installata totale, almeno un terzo degli impianti non viene utilizzato. La ragione è che non ci sono le reti di trasmissione necessarie per fare arrivare l’energia elettrica generata ad esempio dalla Mongolia interna, alle città della costa e del sud del paese dove i consumi sono molto forti. Perchè questo? Perchè i produttori di energia non hanno nessun interesse a fare investimenti sulla rete di distribuzione in quanto l’energia da fonti rinnovabili è considerata ancora troppo cara, non viene incoraggiata con misure appropriate o sostenuta con investimenti dal governo, e dunque alle compagnie (che peraltro sono tutte statali) non conviene investire sul rafforzamento della distribuzione e l’implementazione di questo genere di energia (Si veda China pushes wind power, but no quick payoff for producers, Reuters, 9/9/2012)

Questo indica una questione sostanzialmente strutturale: i cinesi vedono chiaramente i problemi, prefigurano soluzioni ma non riescono a metterle in atto.

Una informazione interessante, in proposito. Nell’ottobre scorso il governo cinese ha reso noto il suo primo Outlook sull’energia. Nel mondo che si occupa delle questioni energetiche ci sono due fonti di riferimento e conoscenza: una americana, l’International Energy Outlook, e una dell’Ocse, il World Energy Outlook. Ebbene, data l’importanza della questione, la Cina ha voluto un proprio Outlook, un proprio rapporto di previsione sulle necessità del mondo ma anche sulle proprie. (“China Energy Outlook: China’s Energy Strategy for the Future”, James Stafford, EconoMonitor, 20/11/2012). Dal primo rapporto sono emersi elementi molto preoccupanti, sottolineati dagli stessi cinesi. Il paese continuerà a dipendere molto dal carbone, uno degli inquinanti più pesanti (basta pensare che la stessa situazione di Pechino è generata in gran parte dal fatto che gli impianti di riscaldamento vanno a carbone ancora oggi.

Le previsioni internazionali affermano che ancora fino al 2035 per la produzione di elettricità la Cina dipenderà per il 59% dal carbone e per quella data, a causa dello sviluppo economico, il consumo di carbone nel paese sarà raddoppiato rispetto a oggi.

Nel rapporto si dice che i cinesi non solo non saranno in grado di liberarsi dal carbone, ma non riusciranno ad avere, per problemi di costo, una produzione e un utilizzo di carbone pulito.Inoltre, è stato anche verificato un limite all’uso delle macchine elettriche, una delle possibilità più importanti di alleggerimento dell’inquinamento prodotto dal traffico. Però è stato verificato che le batterie al cadmio che le alimentano sono molto pesanti, durano troppo poco e sono molto costose (e produrle è anche inquinante).

Ci sono dunque precise scelte e investimenti che il governo cinese non si riesce a fare perché per abbattere gli ostacoli bisognerebbe credere molto in questa nuova strada. Ma soprattutto bisognerebbe cercare di sposare gli investimenti dalle energie più facili da produrre e consumare, come il carbone, che nel paese abbonda, o il gas e il petrolio che si importano, alle energie che si possono produrre all’interno ma che comportano un grande dispendio di soldi , di attenzione e di tempo.

Lo sviluppo forzato dell’urbanizzazione e le sue ricadute ambientali

 

 

Sappiamo che alla fine del 2011 la popolazione cinese che vive nelle città ha superata quella che vive nelle campagne. Oggi 690 milioni di cinesi (il 51,3%) vivono in città e 656 milioni nelle campagne. I piani futuri del governo sono di urbanizzazione intensiva e prevedono che per ogni anno dal 2012 al 2030 non meno di 10 milioni di persone andranno ad aggiungersi ai contesti urbani. Dunque nell’arco di 18 anni, 180 milioni di persone andranno a vivere nelle città . Al di là della forma giuridica di residenza (il cosiddetto hukou) che queste persone avranno. Altri rapporti danno cifre ancora più grandi e che parlano di 350 milioni nuovi residenti urbani entro il 2025, di 210 città che avranno più di un milione di abitanti mentre l’economia urbana produrrà, nel 2025, il 95% del Pil (rispetto al 75% attuale) (Preparing for China’s Urban Billion, Mc Kinsey Global Institute, marzo 2009).

Del resto i governanti cinesi continuano a sostenere che contano molto sull’urbanizzazione per sostenere il processo di sviluppo. (“China to advance urbanization next year, Xinhua, 17/12/2012)

L’urbanizzazione viene vista come un processo che accresce la ricchezza. Un paese che ha una forte caratterizzazione metropolitana viene considerato più forte, più capace di dare ricchezza ai propri cittadini. L’altra faccia della città è che un cittadino consuma tre volte quello che una persona consuma in campagna. In un contesto metropolitano si consuma più acqua, più suolo, più ambiente, più tutto. In questo senso le città fanno da volano ai consumi interni cinesi (quest’ultimo uno dei mantra della nuova leadership cinese che sostiene, del resto come quella precedente, che bisogna spostare l’asse di sviluppo dall’export al consumo interno). Ma nello stesso tempo ci si trova di fronte al fatto che questi mega processi di urbanizzazione, soprattutto nelle città “medie”, dove il processo di urbanizzazione avviene in maniera caotica, rendano per certi versi selvaggia la realtà sociale e insostenibile quella ambientale.

Le proteste sociali contro la devastazione ambientale

 

 

Le cronache offrono molto spesso le notizie di comunità che si ribellano e protestano, anche violentemente, contro la requisizione delle terre fatta per installare impianti industriali, soprattutto quelli chimici (più inquinanti) ma anche nuove fabbriche. (Le proteste ambientali si stanno peraltro intensificando, e ottengono anche l’ascolto del governo. Ricordiamo le più clamorose del 2012. Ai primi di luglio il governo di Shifang, nel Sichuan, è stato costretto a rinunciare alla costruzione di un impianto di produzione di metalli pesanti dopo tre giorni di violente proteste degli abitanti della città. Nello stesso mese, la rivolta degli abitanti di Qidong, nel Jiangsu, ha bloccato la costruzione di un oleodotto. L’ultima rivolta è avvenuta a Ningbo, nella provincia costiera dello Zhejiang, dove le proteste in massa degli abitanti hanno bloccato l’ampliamento di un impianto petrolchimico di proprietà statale).

Rivolte vere e proprie perché i progetti vengono decisi senza interpellare le popolazioni e realizzati in assenza di controlli. Le regole ci sono ma non sono applicate così sia le fabbriche che le raffinerie come qualunque altra entità produttiva usano il territorio in maniera barbara.

Uno dei problemi ambientali più rilevanti che i cinesi devono affrontare, ad esempio, è l’avvelenamento dei metalli pesanti, come il mercurio e il cadmio. Ci sono poi notizie continue di sversamento di rifiuti tossici nei fiumi. Ormai ogni giorno arrivano informazioni catastrofiche di avvelenamenti che impongono la chiusura della distribuzione di acqua in grandi città come è successo ad Harbin nel 2005.

Le comunità e i villaggi nelle zone limitrofe allo sviluppo metropolitano, interessate da questi fenomeni, sono assolutamente attivi nel cercare di bloccare l’installazione di fabbriche e di centri di produzioni nocive. In particolare i contadini sono spaventati perché si vedono avvelenare le bestie e le terre e non possono più produrre. L’acqua non è più potabile ed infatti nessun cinese beve quella che esce dal rubinetto.

C’è dunque una coscienza molto attiva. Con una visione occidentale la chiameremmo “non nel mio cortile”. In realtà i cinesi si stanno rendendo conto che uno sviluppo industriale di questo genere va a vantaggio solo di alcuni mentre non proteggendo gli altri devasta la possibilità di vita dell’intera popolazione.