Report dell’esperienza al confine della staffetta dei centri sociali del nord-est del 24-25 settembre 2015
Nelle ultime settimane il flusso di migranti che si è ammassato al confine serbo-croato è stato incessante, con punti di maggior criticità nelle frontiere di Tovarnik e Bapska.
Sulla strada tra i due check-point di Sid e Tovarnik, una terra di nessuno dove giace un cimitero, la polizia ha fatto stazionare circa 2000 persone in attesa di essere portate al campo profughi di Opatovac. Il trasporto, avvenuto con furgoni della polizia e pochi autobus è risultato assolutamente inefficiente, in più di un’occasione infatti i profughi hanno iniziato a spingere esasperati dai lunghi tempi di attesa, momenti di tensione rientrati in breve tempo soprattutto grazie alla presenza dei volontari che mediavano con la polizia croata. Verso tarda serata ancora diverse centinaia di persone si apprestavano ad affrontare la notte sotto la pioggia battente.
Un migrante proveniente dall’Afghanistan racconta che è al confine di Tovarnik dalle 4 della mattina stessa, stremato, come tutti quelli che gli sono attorno, ci tiene a sottolineare inanzitutto la sua condizione di essere umano in viaggio alla ricerca di una vita migliore, di un’esistenza degna. Una speranza che poco si concilia con la visione europea che etichetta e crea distinzioni tra i vari tipi di migranti.
Situazione simile è avvenuta a Bapska, dove verso le 22:00 le ultime persone si apprestavano ad essere trasportate al campo di Opatovac.
Per tutta la notte sono continuate, sotto la pioggia battente, le operazioni di trasporto dei migranti dalla frontiera si Tovarnik al campo di Opatovac. All’ingresso del campo, dopo una lunga fila, passano attraverso un triage medico, per poi essere fotografati e schedati.
Qui dovranno rimanere alcuni giorni, prima di essere trasferiti in Ungheria
Il giorno seguente alla stazione di Tovarnik dal primo pomeriggio sono iniziati ad arrivare gli autobus carichi di profughi per essere caricati nel treno diretto a Botovo, al confine tra Croazia e Ungheria. Mentre attendono in fila, qualche profugo ci chiede dove li stanno portando. Nessuno fino a quel momento si è preoccupato o ha voluto dare loro indicazioni.
Dopo quasi cinque ore di treno, i circa duemila profughi partiti da Tovarnik scendono dal treno della stazione di Botovo. Ad accoglierli ci sono un paio di equipe mediche e dei volontari che distribuiscono acqua, cibo, coperte. La polizia indica ai profughi la direzione per il confine ungherese. Indirizzati i primi, il fiume umano si incammina lungo la strada che costeggia la ferrovia, attraversa il ponte sulla Drava e dopo circa un chilometro la polizia croata devia la marcia verso un sentiero che attraversa i boschi in quanto la strada asfaltata che arriva al paese di Zákány posto circa a un chilometro in linea d’aria, costeggia la frontiera per svariati chilometri, prima di arrivare alla frontiera di Gola. Lungo il sentiero la situazione è drammatica: dopo due giorni di pioggia il fango rende ancora più difficoltosa la traversata, quasi impossibile per i molti che si ritrovano senza calzature adatte, per i disabili in carrozzina, i bambini e gli anziani. Ai bordi del sentiero la polizia monitora il passaggio, urla di disporsi in due fila ordinate e non permette ai giornalisti e volontari di avvicinarsi, rimandandoli indietro. Arrivati sul confine ungherese, ad accoglierli il filo spinato, un piccolo varco che permette il passaggio di 4/5 persone per volta, il tutto sotto sorveglianza della polizia ungherese. Giunti infine alla stazione dei treni di Zákány i migranti vengono fatti salire su un altro treno, diretto verso il confine austriaco.