Nella fase pre elettorale abbiamo seguito, dallo sbarco in Sicilia in poi, con una discussione aperta e a più voci, la ola politica di Grillo, invitando all’attenzione, alla non sottovalutazione della sua tifoseria elettorale.

di Bz

Siamo stati ad osservare – estranei ma anche interessati al mondo della politica istituzionale paraistituzionale – il post elezioni e le evoluzioni, i contorcimenti, le derive dei principali attori ed abbiamo avuto conferma della distanza lunare tra il portato dell’espressione politica del voto e l’interpretazione che di essa ne è stata data nella formazione dell’esecutivo, nella riconferma alla Presidenza di Napolitano.

Un riconfermare tutto, mutate mutandis, per rassicurare tutti i mercati e le Istituzioni, sotto l’accorta regia di Re Giorgio I°, il Conservatore.

Ora la navicella italiana veleggia, capitanata dal degno nipotino di Gianni Letta, con lentezza ma secondo i piani prestabiliti, eludendo le bonacce e le tempeste, che scaturiscono dall’implosione – attenzione non la fine – del sistema dei partiti, così come li abbiamo conosciuti, e che ha avuto la sua registrazione istituzionale nel nuovo Parlamento.

Nella fase pre elettorale abbiamo seguito, dallo sbarco in Sicilia in poi, con una discussione aperta e a più voci, la ola politica di Grillo, invitando all’attenzione, alla non sottovalutazione della sua tifoseria elettorale, al suo portato nell’immaginario collettivo, nel desiderio, tutto politico, di spazzare via le trivialità, le corrutele, le mistificazioni, le derive autoritarie dalle Istituzioni.

La realtà, pur mediata dal voto e non voto, ha superato le più fervide fantasie, anche quella della nostra interpretazione, nonostante che avessimo imbroccato l’ampiezza  del fenomeno politico grillino. Uno straordinario successone che non si era mai dato nella nostra storia repubblicana, così come ci ricorda lamico Dario Fo’, invitando tutti a bypassare le ingenuità ed intemperanze grillino, e invece pazientare e lasciare che il tempo, il toccasana della politica, maturi una nuova classe politica. Ne è conseguita una corsa ai ripari, agli ammiccamenti, ai sotterfugi, al sottobanco parlamentare, alla compravendita per incorporare l’anomalia grillina: gli imbonitori, i consigliori non richiesti saliti sul carro del vincitore, non ci sono complessivamente riusciti, per insipienza o per incomprensione della fenomenologia politico sociale che sottostà e si riconosce in Grillo.

Una suggestiva chiave interpretativa del tema ci è stata presentata da Marco Bascetta sul Manifesto del 21 giugno, allorquando segnala che l’umore che fa da collante politico nel coacervo grillino e’ il risentimento verso i partiti politici e lo status giuridico ed economico dei cittadini:

“La passione triste che il Movimento di Grillo ha efficacemente mobilitato fin dai suoi esordi è il risentimento. La vita offesa che si affida a un alfiere della propria riscossa e a una rappresentanza del proprio scontento. Ma il risentimento è soprattutto una forte propensione a punire. Il che spiega perchè il M5S abbia tanto in odio le misure di indulto, di amnistia o di depenalizzazione e rappresenti quanto di più lontano si possa immaginare da un atteggiamento e da un punto di vista garantisti, come le sue stesse vicende interne testimoniano con i loro imbarazzanti rituali punitivi. Ma il risentimento è anche il lato oscuro, la deriva impotente e incarognita del lavoro precario, degli esclusi da ogni garanzia e prospettiva, di quel lavoro autonomo senza rete e senza profitto che, cresciuti a dismisura, si scontrano con condizioni di esistenza che la crisi ha reso ancora più intollerabili.”

Ok, ci sta tutta e si attaglia bene alla decrittazione di proposizioni assolutiste del tipo “saremo presto più del 50%” o della blindatura dei meet up, ma non mi basta, non mi soddisfa pienamente, mi resta comunque un sapore amaro in bocca: vorrei farmi capire, ci provo.

Non riesco, ad esempio, a sorvolare sulle dichiarazioni ostili sventolate sullo jus soli, che fanno trasparire un sotterraneo razzismo, già subdorato al tempo dei campi Rom; non riesco più a considerarlo solo una furbata retorica alla caccia di consensi anche dove non piace a noi che si cerchino. Dunque è, per la forza delle cose ripetute, un razzismo costitutivo del M5S, almeno fin tanto che, anche sul punto, non si apre un confronto, una lacerazione, un chiarimento tra gli attivisti grilliferi [i portatori di Grillo], tra i cittadini delegati: lo spero per loro, per i tanti – troppi – che li hanno votati e per evitarmi un aumento dell’amaro in bocca.

Non riesco a giustificare oggi, pur avendo vissuto e praticato ambiti politici che sul punto non hanno scherzato, l’epurazione plebiscitaria del dissenso tramite lapidazione reticolare, che o viene assunta dai cittadini delegati, dai loro attivisti, come problema politico del confronto in quel movimento, o è l’affermazione di un autoritarismo buffone e beffardo, fin che volete, ma sempre autoritarismo da cui rifuggire rimane.

Non riesco a digerire, dopo aver tanto strombazzato contro le Grandi Opere ed averci fatto intravvedere le possibilità che si potevano aprire, con l’anomalia grillina, con il detto e fatto dei prodi cittadini grillini sul Ponte di Messina e in Val di Susa, di non aver sentito e visto alcunché sulle Grandi Navi in quel di Venezia; per non dire su di un Pizzarotti, sindaco eletto contro il business degli inceneritori, che pretende di spiegare ai comitati ecologisti di Parma e dell’Emilia che, ora, va bene farlo partire.

E queste sono alcune preposizioni politiche dei  grilliferi, che mi sono, personalmente, indigeste o meglio indigeribili ma l’elenco potrei allungarlo ad libitum, col rischio, continuando, di farmi salire anche il mal di stomaco: già ora mi serve il Malox.

Deluso? No, ma, essendo inguaribilmente ottimista, speravo in un supporto di un’ anomalia istituzionale, da tenere a distanza e a bada con delle pinze chilometriche, da cui però fosse possibile ricavare un qualche vantaggio per l’agire dei movimenti.

No, non mi basta, che presentino proposte di legge di un qualche interesse in Parlamento, neppure che dicano che con la decretazione d’urgenza si calpesta la democrazia o che la scuola pubblica si difende stornando, un po’, di fondi dalle spese militari oppure che denuncino che il Potere e’ corrosivo e corruttivo anche delle anime pure e candide dei grilliferi: questo non corrisponde “all’aprire il Parlamento come una scatola di tonno”, e’ la pura e semplice azione politica di opposizione, è la constatazione che anche i grillini sono dei comuni e miseri mortali, come tanti altri che sono passati nelle aule parlamentari.

Deflagreranno, lasceranno, migreranno, scompariranno: poco mi importa, anche se voglio continuare a seguirne le evoluzioni, estraneo ma interessato, ma non è questo il problema.

Il nodo sta, irrisolto ancora una volta, nella dinamica lotte, movimenti e rappresentanza istituzionale. Ancora una volta l’esperienza in corso ci conferma che nessuna anomalia, per quanto onesta, democratica, spontanea, reticolare, dal basso può destrutturare un sistema di governance, di gestione del potere, tanto più nella attuale fase di sviluppo delle forze produttive ed di involuzione della democrazia, senza che vi sia un potente movimento di lotte reali, una sperimentazione costituente dei movimenti nel vissuto quotidiano, una dinamica che svuoti le gabbie transnazionali degli spazi geopolitici.

Tutto finito, dunque; no, per niente, anzi, tutto in movimentazione: tante rivoluzioni stanno sconquassando l’ordine costituito, si tratta di non lasciarci abbagliare dall’effimero teletrasmesso dai tubi catodici e dalle reti ma di radicare profondamente nel territorio le esperienze trasformative, destrutturanti e costituenti dei movimenti.

E la rappresentanza istituzionale? Osserviamola, seguiamola, controlliamola, col disincanto utile e necessario; continuiamo a “volere tutto e subito” consapevoli, anche, che i tempi storici delle trasformazioni, ahimè, non si contano a giorni.