Il successo della manifestazione del #19O ci offre una pubblica occasione di discussione, nei movimenti e per i movimenti, interessante e positiva, per certi versi al di là delle attese nei numeri e nella qualità espressa dalla piazza.
Decine di migliaia di occupanti di case (o più correttamente soggetti protagonisti della lotta per la riappropriazione concreta del diritto all’abitare nella crisi) e migliaia di giovani precari e precarie hanno confermato che c’è un ampio spazio per lo sviluppo del conflitto sociale in questo paese, a partire dalle sue dimensioni metropolitane, a Roma innanzitutto.
Non era un dato scontato, né lo è il ruolo importante che hanno avuto anche le soggettività organizzate nel rendere possibile la conferma di questo spazio di agibilità. Per questo lasciamo questa volta sullo sfondo le cronache dei media mainstream, essi sì in estrema difficoltà nel comprendere cosa in piazza si sia espresso, con i loro occhiali incrostati di sporco e le lenti fuori fuoco; ma lasciamo anche per un attimo sullo sfondo le keywords fantasiose che sono state twittate nei mesi di preparazione e che risultano davvero poco utili per leggere composizione sociale e soprattutto esito politico del #19O. E guardiamo invece alla materialità dei corpi che sono scesi in piazza nel cuore di Roma.
La realtà del movimento per l’abitare nella crisi è evidente e potente, e dalla complessa metropoli romana propone a tutti i territori di rilanciare l’iniziativa di riappropriazione di case e spazi contro la rendita fondiaria e la speculazione che producono povertà e debito, negando quel diritto alla città nella cui affermazione si colloca un’importante possibilità di rilancio dell’iniziativa sociale.
Contestualmente, la seconda parte del corteo ha dato corpo e vita al programma potenzialmente ricompositivo della battaglia per il reddito di cittadinanza, che è, fino in fondo, la parola d’ordine agita che può tenere insieme la figure del lavoro vivo sociale, diffuso e distribuito, precario e metropolitano, giovane e senza rappresentanza, né offerta né voluta.
Attorno a queste due direttrici si compone il risultato della giornata e si collocano le ipotesi politiche di rilancio dell’iniziativa.
Nei prossimi mesi vi saranno due decisive scommesse da giocare fino in fondo: la prima è l’estensione nei territori delle pratiche conflittuali di riappropriazione di case e commons, servizi e reddito, da strappare alla rendita; la seconda è nell’incrocio del divenire transnazionale del dibattito e del calendario delle mobilitazioni e nella capacità soggettiva di far lievitare la discussione e l’organizzazione a livello europeo-e-mediterraneo.
Nulla di questo è semplice, nulla di questo è rinunciabile. C’è stata una grande giornata di lotta, certo non ancora una “sollevazione generale”. Tutto vale la pena di essere giocato senza pregiudizi, riponendo occhiali del passato oggi inservibili – come si è visto anche ieri, vi è uno iato tra retoriche ex ante e realtà effettuale ex post -, senza nascondersi i problemi e senza rinunciare alla complessità, e stando con i piedi ben piantati nei conflitti dell’oggi e nella materialità della composizione sociale e politica.
Da ieri siamo tutti un po’ più forti e il futuro non è affatto scritto.