IL PERICOLOSO INTRECCIO TRA CALCIO, SCOMMESSE E GIOCO D’AZZARDO
di David Lifodi e Max Mauro
A guardarla bene, quell’immagine dice tutto. La foto che ha presentato al pubblico l’accordo di sponsorizzazione tra la Federazione Italiana Giuoco Calcio e il gruppo Intralot-Gamenet vede al centro l’allenatore della nazionale maschile, Giampiero Ventura, alla sua destra l’amministratore delegato dell’azienda, Guglielmo Angelozzi, e alla sua sinistra il direttore generale della FIGC, Michele Uva. I tre espongono ai fotografi la maglietta della nazionale con in bella vista il nome dello sponsor, una multinazionale del gioco d’azzardo. Non è un caso che Ventura sia stato scelto come testimonial dell’evento – la nazionale maschile è il patrimonio più prezioso del sistema calcio – ma non pare contento. Ha stampato in viso un’espressione di cera, inafferrabile. Gli occhi esprimono rassegnazione, la bocca è stirata in un tentativo di sorriso, come quelli invocati dall’occasionale fotografo a una festa malriuscita. I due comprimari della foto sono i protagonisti della storia. Sorridono beatamente. Il dirigente della FIGC con ancor più convinzione del manager delle scommesse. A dire il vero, il boss di Intralot sembra incredulo. In effetti, l’accordo tra la FIGC e la multinazionale delle scommesse pare un’uscita improbabile che rischia di compromettere la già fragile immagine pubblica della maggiore federazione sportiva italiana.
Per capire il motivo per cui il gruppo Intralot-Gamenet, tra i primi operatori nel settore del gambling/betting in Italia, sia stato scelto dai vertici della Figc per diventare “premium” sponsor della Nazionale, è utile scorrere il budget 2016della stessa Federazione italiana gioco calcio (Figc), disponibile al pubblico sul sito istituzionale. La voce più alta, peraltro cresciuta nel corso degli anni, è quella relativa a “Ricavi da pubblicità e sponsorizzazioni”: 43.567.500 Euro nel 2016. La seconda voce è quella riferita a ‘Ricavi da manifestazioni internazionali’, 36.943.600 Euro. Nel corso del 2016 l’Italia ha ospitato le due finali di Champions League, maschile (a Milano) e femminile (Reggio Emilia) e l’organizzazione di entrambi gli eventi calcistici è stata affidata alla Figc. Inoltre, si legge nella relazione, nel corso di tutto il 2016 sono stati calcolati 170 eventi a cui hanno partecipato le diverse nazionali (maschili e femminili maggiori, under 21 e giovanili, oltre a calcio a 5 e beach soccer) in un contesto di forte riduzione delle risorse Coni a disposizione.
I tagli del Coni e il potenziale mancato
E’ propria la riduzione dei contributi devoluti dal Coni ad aver aperto una nuova fase nell’esistenza ultracentenaria della Figc. Nell’arco di due anni, tra il 2014 e il 2016, i contributi del Coni alla Figc sono passati da 62 milioni a circa 37 milioni di Euro, un calo di quasi il quaranta per cento. I tagli sono dovuti alla riduzione dei contributi governativi alle federazioni sportive, ma è indubbio il calcio abbia pagato il prezzo più caro. Non è solo la crisi economica a spiegare i tagli. Diversamente da altre federazioni sportive, la Figc dispone di una risorsa potenzialmente ricchissima – la Serie A – ma oggi sfruttata al di sotto delle sue capacità. Come si spiega tutto questo? E può giustificare un’operazione come quella messa in campo dai dirigenti federali? Lontani sono ormai i tempi in cui il Totocalcio sorreggeva lo sport nazionale, e non solo il calcio. Con la liberalizzazione del mercato delle scommesse il Totocalcio ha perso via via terreno di fronte alla competizione di altri “prodotti” e nuovi mercati. Il Coni, e di riflesso la Figc, ne hanno pagato e ne stanno pagando le conseguenze. Tuttavia, il caso del calcio è, come detto, particolare.
Nel suo rapporto annuale, la Figc parte da “un’analisi attenta e approfondita della struttura dei costi e dei ricavi che, come è noto, assume particolare rilievo soprattutto in relazione alla finalizzazione delle risorse riconosciute dal Coni e destinate a finanziare attività istituzionali la cui realizzazione deve comunque essere garantita”. Emerge in maniera evidente la necessità di far quadrare il bilancio per raggiungere e garantire determinati “risultati aziendali” e, a questo scopo, si legge, “resterà fermo l’obiettivo strategico volto al reperimento di ulteriori fonti di ricavo che vadano oltre i risultati commerciali legati all’Advisor federale … le attività progettuali e di sviluppo di particolare interesse strategico che possano attirare fonti di finanziamento esterne quali quelle provenienti dagli organismi internazionali come la Uefa e la Fifa”.
Soldi “sporchi, maledetti e subito”
In parole povere, la Figc ha bisogno di soldi, “sporchi, maledetti e subito”. Per questo motivo Intralot-Gamenet fa perfettamente al caso della Federazione (si tratta di una sponsorizzazione di 2,8 milioni per tre anni) e, nonostante le prese di posizione del mondo politico, di tifosi, ex calciatori e della società civile, una sponsorizzazione del genere rappresenta delle entrate ragguardevoli. Scrive il periodico no-profit Vita.it: “Intralot-Gamenet ha un giro d’affari di 6,3 miliardi di euro e ricavi annui di circa 1 miliardo, una rete distributiva di circa 750 punti scommesse, più di 60 sale da gioco di proprietà, circa 8200 videolotterie e 50mila slot machine, oltre che una crescente presenza nell’azzardo on line”. Inoltre, Intralot-Gamenet fa parte del fondo di investimento Trilantic Capital, gestito da manager ex Lehman Brothers e che ha sede in Lussemburgo, noto paradiso fiscale. Se la sponsorizzazione sulle maglie degli azzurri per il momento non c’è stata (lo scandalo emerse alla vigilia del match giocato a Torino con la Spagna), bisogna ricordare che Gamenet era già comparsa come sponsor sulle maglie della Sampdoria qualche anno fa, all’epoca della presidenza Garrone, prima che la società accettasse l’invito del sindaco Marco Doria (rivolto anche al Genoa per la partnership con IziPlay) a toglierlo dalle maglie “per sensibilità nei confronti della lotta alla ludopatia”.
Sponsorizzare lo sport, e in particolare il calcio, è un’attività redditizia e conveniente per le multinazionali attive nel settore delle scommesse e del gioco d’azzardo (gli operatori del settore sono di solito attivi su molteplici fronti). Basti considerare che metà delle squadre della Premier League, la lega professionistica di calcio più ricca al mondo, è sponsorizzata da società di scommesse, al pari di circa un centinaio di società professionistiche in tutto il continente. Persino la Federazione calcistica inglese (FA) ha tra i suoi sponsor un’azienda di questo tipo, Ladbrokes. L’intreccio tra scommesse e calcio è storicamente molto forte, in Italia come in altri paesi, ma è la combinazione con il gioco d’azzardo e le onnipresenti slot machine che preoccupa gli osservatori. Come detto, le aziende che si occupano di scommesse sportive di solito gestiscono anche sale da gioco, vendono e noleggiano slot machine, offrono una moltitudine di giochi online a chi vuole illudersi di aver un guadagno rapido e “facile”. Il calcio, lo sport più popolare, ha delle responsabilità diffuse nel promuovere la cultura del gioco d’azzardo. Non si contano più i giocatori che vanno in tv come testimonial degli operatori del gambling/betting, e non c’è distinzione tra un’attività e l’altra.
I danni del gioco d’azzardo
Secondo un recente studio pubblicato dall’editore Franco Angeli (Il gioco d’azzardo in Italia. Contributi per un approccio interdisciplinare, a cura di Fabio La Rosa), negli ultimi cinque anni il gioco d’azzardo è cresciuto in Italia di quasi il 90 per cento. Complice la crisi economica, sono soprattutto le classi meno abbienti, e la crescente massa di disoccupati, ad essere attratta dal gioco. D’altra parte, secondo un Rapporto Eurispes del 2009, in Italia sono circa 30 milioni, il 70/80 per cento della popolazione adulta, ad essere in un modo o nell’altro attivi nel gioco d’azzardo. Il crescente problema sociale della ludopatia è un riflesso di questa situazione e il messaggio lanciato dalla Figc difficilmente contribuisce a risolverlo, anzi secondo molti osservatori potrebbe avere l’effetto contrario.
Le società del gioco d’azzardo sono riuscite a penetrare anche nelle serie minori e in altri sport. Solo per fare qualche esempio, in serie B il Bari quest’anno è sponsorizzato da Betaland, società di gaming il cui nome già figura sulle maglie di Capo d’Orlando, squadra che milita nel campionato di basket di A1. Come Intralot-Gamenet, anche Betaland dichiara di condividere la battaglia contro il cosiddetto match fixing, la manipolazione degli eventi sportivi, e cerca di valorizzare il gioco on line come puro divertimento, ma è indubbio che la presenza del logo della società sulle maglie sia comunque un modo per propagandare la cultura delle scommesse e del gioco azzardo. Lo scorso anno, a gennaio, scoppiò un caso intorno alla Reggiana, che milita in Lega Pro, per aver accettato la sponsorizzazione di Macao, azienda di scommesse e gioco d’azzardo che gestisce delle sale di slot machine in città.
La Serie A, la grande silente
Se il caso Intralot-Gamenet ha provocato una levata di scudi soprattutto dal punto di vista etico, il rapporto “Conto economico del calcio italiano”, relativo alla stagione 2014-2015, fa emergere in maniera evidente la crisi del sistema calcio in Italia. Solo 12 società professionistiche hanno fatto registrare un saldo positivo (sette in serie A, tre in serie B e due in Lega Pro), mentre i campionati professionistici hanno inciso per il 70 per cento dei ricavi totali per un equivalente di quasi 2,6 miliardi di euro (i dati sono consultabili qui). Dal rapporto emerge anche un altro dato da non trascurare: nella stagione 2014-2015 il calcio italiano ha fatto registrare una perdita pari a 525,8 milioni di euro. Calano gli spettatori negli stadi, e cala l’interesse internazionale verso la Serie A. Negli ultimi anni la Serie A è scesa al quinto posto per numero di spettatori negli stadi, dietro a Bundesliga, Premier League, La Liga e La Liga MX (Messico). Il calcio italiano rappresenterà anche un “volano per la crescita economica, sociale e occupazionale”, come ha spiegato il dg della Federcalcio Michele Uva, ma di fronte alle perdite registrate nei campionati professionistici e nelle serie dilettantistiche viene da pensare che il primo sport nazionale sia, in realtà, vicino al collasso. In questo scenario, è particolarmente rumoroso il silenzio della Lega Serie A, l’ente responsabile della maggior serie professionistica. A parlare è sempre e solo la Figc, in una sovrapposizione di ruoli e competenze che è singolare rispetto a quello che accade negli altri paesi leader del calcio. Nella confusione generale, non sorprende, allora, la rincorsa con ogni mezzo agli sponsor, anche quelli più impresentabili come le società di gambling/betting.