di Andrea Fumagalli.
Il 4 febbraio 2015 la Bce ha deciso di non accettare più come garanzia “collaterale” i titoli di stato greci per fornire la liquidità necessaria al sistema creditizio greco per far fronte alle normali operazioni bancarie. Si tratta di una misura drastica che rischia di ricreare quella situazione di crisi di liquidità (cash crunch) che aveva sconvolto l’Argentina nei momenti topici della crisi del 2000, con corsa agli sportelli, bancomat inutilizzabili e sviluppo di nuove monete alternative e nuovi sistemi di pagamento.
L’agenzia statunitense Bloomberg stima che la liquidità bancaria in Grecia sarà sufficiente sino a fine febbraio. Rimarrà in vigore invece il fondo di ultima istanza: Emergency Liquidity Assistance (ELA). Bontà sua, la Bce ha, infatti, autorizzato, a mo’ di compensazione, la Banca Centrale Greca a erogare alle banche in difficoltà sino a un massimo di 60 miliardi di euro all’anno (5 mld al mese), una cifra che tuttavia rischia di essere insufficiente a garantire quella liquidità monetara necessaria per la sopravvivenza quotidiana.
La decisione è decisamente politica. Avviene nel corso del tour europeo di Tsipras e del ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, poco dopo che quest’ultimo aveva incontrato lo stesso Draghi, e il giorno prima dell’appuntamento con il ministro dell’economia tedesco, il falco Wolfgang Schaeuble. È un chiaro segnale che ci conferma da che parte tira il vento e dove stanno i poteri forti.
Tuttavia c’è chi si trincera dietro a motivazioni squisitamente tecniche, adducendo la motivazione che la Bce non aveva alternative, di fronte al calo dei depositi presso le banche elleniche (- 21 miliardi di euro in due mesi) e conseguente aumento del ricorso al credito Bce, come scrive sempre l’agenzia Bloomberg.
In concreto, la decisione della Bce, che entrerà in vigore l’11 febbraio, è stata presa dopo una lunga riunione del Consiglio Direttivo, nella quale i rappresentanti di diverse banche centrali (tedesca e olandese in prima fila) hanno insistito per il provvedimento, quasi a riparazione e vendetta della decisione di ufficializzare la manovra di Quantitative Easing la scorsa settimana. La Bce accetta normalmente in garanzia per le sue operazioni di rifinanziamento delle banche dei Paesi dell’eurozona i titoli del debito pubblico dei Paesi che godono di un rating superiore alla tripla B. Le uniche due eccezioni sono Grecia e Cipro, ai quali però era stata finora accordata una deroga in virtù del programma economico in corso, che prevede una serie di impegni, spesso capestro, in termini di risanamento dei conti e riforme economiche in cambio di aiuti. A questo punto, come scrive Il Sole 24 ore “vista la posizione negoziale del nuovo Governo greco, che tra l’altro ha fatto marcia indietro su alcune misure contenute nel programma( imposto dalla troika, ndr), la Bce ha giudicato che il programma fosse praticamente decaduto”.
Un atto quindi dovuto?
Non facciamoci confondere le idee: questo è un atto niente affatto dovuto. Per varie ragioni:
1. In primo luogo perché le trattative per definire un piano di restituzione del debito greco in modo che non strangoli – come successo finora – l’economia e la società greca sono ancora in corso, con possibili esiti positivi, come sottolineano gli ambienti della City londinese e lo stesso Financial Times. Con questa decisione si vuole dunque imprimere una precisa direzione alle trattative in corso, condizionandone l’esito a vantaggio delle posizioni rigoriste al fine di ribadire il primato politico ed economico della troika.
2. In secondo luogo perché le proposte greche di Tsipras e Varoufakis non sono state ancora ufficialmente rese note. Ciò di cui parlano i giornali sono semplici illazioni, sulle quali torneremo più avanti.
3. Infine, perché (alla faccia della supposta “autonomia” della Bce ) nel consiglio della Bce è prevalsa la paura che un trattamento preferenziale alla Grecia avrebbe potuto: a. sostenere indirettamente le ragioni dei movimenti anti-europei dando di fatto ragione alle varie critiche (provenienti da ambiti politici assai diversi) secondo le quali l’architettura dell’Euro è come minimo da ripensare se non (per il populismo xenofobo e nazionalista) da abolire; b. spaventare i creditori del debito greco, che, come sappiamo risiedono non a caso nei paesi più restii a fare concessioni.
Sicuramente è vero che da un punto di vista tecnico, sic rebus stantibus, alcune proposte del neo-governo greco cozzano con le norme sancite nel Trattato di Maastricht. Ma ciò, lungi dal rappresentare un ottuso impedimento, potrebbe costituire un’opportunità per una loro ridiscussione, esattamente come chiede la Grecia quando propone una convenzione europea sul debito e sulle politiche d’austerità.
Ma quali sono le possibili proposte greche che tanta paura fanno alle tecno-oligarchie economiche europee?
Due sono le linee propositive su cui si sta muovendo il governo greco, tra loro non del tutto complementari ma comunque non in contrapposizione e che i colloqui di questi giorni con i partner europei dovrebbero consentire di delineare meglio, se non ci fossero di mezzo i ricatti posti dalla Bce.
La prima è più tradizionale. Si tratta di chiedere un riesame delle scadenze delle rate del debito, allungandole e chiedendo per i primi anni (si parla sino al 2020) una moratoria al pagamento degli interessi per consentire che i soldi risparmiati possano essere finalizzati alla crescita economica, intervenendo così sul denominatore del rapporto debito/pil. Si tratta di una manovra che poteva avvantaggiarsi proprio della politica di QE varata settimana corsa dalla Bce per consentire di mantenere sotto controllo i tassi d’interesse. È evidente che la decisione di chiudere i rubinetti alle banche greche pone una grave ipoteca sull’efficacia di questa proposta. Infatti, è presente il rischio che i benefici che potrebbero essere guadagnati dall’allungamento delle scadenza e dalla moratoria temporanea sulle rate siano più che abbondantemente persi dal rialzo dell’onere del debito. Da questo punto di vista, gli interessi dei creditori sono pienamente salvaguardati e i mercati finanziari, una volta scontata nel breve periodo l’incertezza che la decisione della Bce ha prodotto, potranno solo brindare ai futuri guadagni.
La seconda proposta è invece molto più innovativa e intrigante. Il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, in un’intervista rilasciata al Financial Times (la notizia in italiano, per la verità assai snobbata dai media nazionali – 12 righe sul Corriere della sera – è riassunta qui: ) ha proposto – come riportato da Il Sole 24 ore (che ha dedicato almeno un articolo) – di scambiare gli attuali titoli di stato con due tipi di nuovi bond (di fatto degli swap): il primo indicizzato alla effettiva crescita economica greca, da scambiare con i crediti erogati dai paesi e dalle istituzioni europee. In questo caso il pagamento delle cedole o del capitale viene subordinato alla crescita del Pil o al calo della disoccupazione. Il titolo di stato si trasforma così in una sorta di azione che paga dividendi solo se il Paese debitore va bene. Il creditore viene così coinvolto nel destino del debitore e ne partecipa al rischio. L’altro tipo di scambio sarebbe, invece, costituito da un titolo di stato di durata perpetua che servirebbero a sostituire quelli detenuti dalla Bce, con il passato piano anticrisi SMP (Securities Markets Programme). Si tratta di titoli che pagano una cedola all’anno e non vengono mai rimborsati avendo scadenza infinita. Da questo punto di vista, è un grande vantaggio per il debitore. Non si tratterebbe comunque di una novità, dal momento che sono stati concessi, ma indirettamente, al Portogallo per quanto riguarda il programma di ristrutturazione del debito o possono essere usati per far fronte ad eventi bellici. La proposta di Varoufakis è che tali “bond perpetui” siano gestiti direttamente dalla Bce ma è difficile che tale ipotesi possa essere accettata dalla stessa Bce, in quanto assomiglia molto alla monetary financing, cioè al finanziamento del debito da parte della Banca centrale e ad un’azione di prestatore di ultima istanza, azioni vietate dai Trattati europei. Il fatto che una Banca Centrale non possa svolgere l’azione di prestatore di ultima istanza (una delle ragioni dell’esistenza delle Banche Centrali, visto che detengono il monopolio di emissione della moneta legale) la dice lunga sull’idiozia dei meccanismi che hanno generato l’Euro.
La vera posta in palio
Ed è proprio su questo terreno che si gioca lo scontro in corso. L’ortodossia ordo-liberista (quella neo liberista la lasciamo agli Stati Uniti, dove il ruolo della Federal Reserve non è irrigidita dai divieti che bloccano oggi la Bce) non può rischiare di mettere in discussione i principi monetaristi che sono alla base della stesso Euro e della Bce. Da questo punto di vista, Draghi non è altro che un servizievole impiegato ai comandi della valorizzazione finanziaria, che però non ha alcun scrupolo a compiere un atto di vero e proprio terrorismo economico.. Un recente dossier della Caritas Italia denuncia le gravi condizioni economiche, abitative, sanitarie in cui versano le famiglie greche – e in particolare i bambini, molti dei quali restano senza cure sanitarie essenziali: la mortalità infantile è aumentata del 43 per cento dall’inizio della crisi. Inoltre è del 336 per cento l’aumento del numero dei bambini abbandonati in cinque anni. È in corso anche la più grande fuga di cervelli della storia recente da un’economia occidentale avanzata: oltre 200 mila giovani dallo scoppio della crisi. Sono dati di una vera e propria guerra condotta con le armi del terrorismo economico. Un terrorismo che va oltre il semplice ricatto, perché, impedendo alla popolazione greca di poter accedere ai propri depositi (con il rischio di accelerare la situazioni di crisi non solo della Grecia ma anche di altri Paesi), sottrae la possibilità di accedere alla moneta, che oggi è la condizione primaria per poter sopravvivere.
È, per di più, una situazione paradossale, direi quasi kafkiana, se pensiamo che oggi la moneta, sganciandosi completamente da qualsiasi rapporto con una merce di riferimento (oro) e quindi totalmente smaterializzata – pura moneta segno – non è soggetta, al pari della conoscenza, a vincoli di scarsità. La Bce la rende scarsa per la Grecia perché rinunci a mettere in discussione il primato delle oligarchie finanziarie e dei creditori istituzionali così come fanno i diritti di proprietà intellettuali per garantire lauti profitti a chi ne ha il monopolio.
In questo scontro, l’Italia sta brillando per la sua assenza o meglio acquiescenza ai diktat della troika. E così pure la Francia. Nella guerra di repressione in atto, sia Renzi che Hollande giocano – come ci ricorda Bifo – il ruolo dei poliziotti buoni a differenza della cancelliera Merkel e del ministro Schaeuble che invece fanno le veci dei poliziotti cattivi. Ma sempre poliziotti sono!
Se infatti le dichiarazioni del ministro Schauble sono chiarissime (“la Grecia deve riconoscere la troika“, “siamo d’accordo nel essere in disaccordo”), quelle di Renzi sono più ambique e viscide (anche se altrttanto chiare): “La decisione della Bce è legittima e opportuna dal momento che mette tutti i soggetti in campo attorno ad un tavolo “. “In un confronto diretto e positivo – aggiunge il premier italiano – che, andando oltre una concezione burocratica tutta rivolta all’austerità, sia capace di rispettare e far rispettare gli impegni presi e di guardare con maggiore fiducia e determinazione ad un orizzonte europeo fatto di crescita e investimenti“. E’ evidente che il tavolo che immagina Renzi non è uguale per tutti.
Anche il presidente francese Hollande ha espresso in queste ore una posizione simile, affermando che la decisione della Bce è più che legittima ma astenendosi, almeno, dal dire che è pure “opportuna”.
Di fronte a questo quadro, le manifestazioni indette il 18 marzo da vari movimenti sociali europei riuniti sotto la sigla Blockupy, in occasione dell’inaugurazioni a Francoforte della nova sede della Bce, acquistano un significato fondamentale per la lotta e la sconfitta delle politiche di austerity. È questa la vera lotta al terrorismo.