Salvacondotti giudiziari, sindacalismi & diplomazie.
di Marco Rigamo
28 / 3 / 2013
C’è un filo nemmeno tanto sottile che lega la vicenda dei due lagunari costantemente in viaggio tra Italia e India e il sit in del Coisp in davanti al comune di Ferrara. Si chiama salvacondotto giudiziario. Che, in entrambi i casi e per meccanismi diversi, si è almeno parzialmente inceppato. E però gli inceppamenti rischiano di offuscare il centro effettivo delle questioni.
La pagliacciata dell’avanti e indietro dei due marò segna oggi il suo punto più alto di teatralità, dopo l’inopinata riconsegna dei due fucilieri al governo Indiano, con il ministro degli Esteri Terzi e quello della Difesa Di Paola nel ruolo rispettivamente di Schettino e De Falco: manca solo un sonoro “torni a bordo, cazzo!” per completare la farsa. Mentre stiamo a chiederci cosa ci sia dietro l’irrituale gesto di Terzi, quali obiettivi si dia nella carriera politica e se effettivamente la domenica Brunetta dorma o meno, ci si spreca sulle interpretazioni del diritto internazionale secondo cui i due andrebbero giudicati da un tribunale del loro paese perdendo di vista alcune questioni fondamentali.
Proviamo a sintetizzare. La petroliera italiana Enrica Lexie si trova in acque internazionali al largo del Kerala quando avviene l’”incidente”, la guardia costiera intima l’atterraggio, il comandante acconsente. Questo, che è il peccato originale, tutela gli interessi dell’armatore che in questo modo non incrina i propri rapporti con le autorità indiane e preserva le servitù di passaggio, ma dà agli indiani un vantaggio politico e negoziale assoluto. Da qui tutto il casino a seguire in cui la nostra diplomazia si muove in modo apparentemente dilettantesco. Per finire a riconsegnare (forse definitivamente) i due, nuovamente in nome della tutela di interessi economici. Che sono molti, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Salvo che la questione vera è un’altra. Quella relativa alla normativa che istituisce i Nuclei di Protezione Militare – a tutela dei beni e degli equipaggi di navi private che solcano rotte commerciali in acque potenzialmente pericolose – che lo Stato mette a disposizione. A pagamento. In altre parole lo Stato riscuote il premio di ingaggio di contractors in divisa e contrabbanda questo servizio a pagamento come segmento di non meglio precisate determinazioni Onu. Così che quando
due cecchini graduati scambiano un peschereccio per un’imbarcazione pirata, vi scaricano sopra almeno venti colpi dei loro fucili d’assalto (altro che in aria o in acqua), assassinano un pescatore di 42 anni e uno di 18, se li possono serenamente riportare a casa e insabbiare facilmente tutta la faccenda. Salvo che il comandante – su indicazioni della proprietà – non combini una cazzata. Morale: stanno cercando di contrabbandare come eroi due esponenti di uno dei corpi militari maggiormente intriso di cultura fascista perché qualcosa nel salvacondotto che consente loro di vestire una divisa e fare fuoco impunemente su persone inermi non ha funzionato a dovere. Per motivazioni squisitamente economiche. E’di questo e non di altro che si dovrebbe discutere.
Stesso scenario attorno all’infame provocazione messa in scena dal Coisp, il più destro sindacato di polizia, ai danni della madre di Federico Alrdovandi. Lo striscione dice: “poliziotti in carcere, criminali fuori”. Il suo segretario generale Franco Maccari lo conosciamo bene. Da quando, nei giorni immediatamente successivi al G8 di Genova 2001, appariva in tutte le trasmissioni televisive a ribadire che tutti i diritti erano stati rispettati, che alla Diaz erano stati catturati i terroristi e i violenti, che a Bolzaneto si erano gestiti gli arresti nel massimo rispetto della dignità, che Carlo Giuliani era solo un piccolo delinquente e un sacco di altre balle che la Storia e i processi hanno abbondantemente smentito. Ora il pezzo di merda dice che non sapeva che la signora lavora in Comune (sic) ma, esperto di denunce e querele, la accusa di aver dato vita a una “contro manifestazione improvvisata e non autorizzata, abbandonando con altre persone il posto di lavoro” e contesta la foto di Aldro in quanto “non veritiera”. Fantastico assist alle autorità di Stato che al gran completo, partendo dalla ministra dell’Interno Cancellieri, possono “stigmatizzare”, badando bene però a non dare “giudizi sommari” (parole della ministra).
Anche qui ci sono alcuni elementi da mettere in evidenza. La storia di Aldro la conosciamo. Dalla chiamata al 118 alle sei di mattina al suo cadavere ammanettato, dalle menzogne e intimidazioni poliziesche al manganello spezzato contro le sue ossa, dalla disperata ricerca della verità da parte della sua famiglia alla condanna penale per i suoi quattro torturatori. Ma dobbiamo tenere a mente che quello Stato che oggi stigmatizza è lo stesso che tre anni fa ha offerto alla famiglia poco meno di due milioni di euro per far sì che recedesse dalla determinazione a costituirsi parte civile. Per capirsi: è lo stesso Stato che spende circa due milioni di euro al giorno per mantenere la nostra missione”di pace” in Afghanistan. E’lo stesso Stato in seno al quale viene amministrata una giustizia che condanna i quattro poliziotti assassini a solo tre anni e quattro mesi per omicidio colposo contro i quindici rifilati ai dimostranti accusati di aver danneggiato degli oggetti. Lo striscione dei fascisti del Coisp, debitamente supportati da fascisti doc in quota Fli, trae ragione di esistere solo dalla intransigenza del Tribunale di Sorveglianza presieduto da un giurista democratico quale è Franco Maisto, che in controtendenza (episodio più unico che raro) ha rigettato la richiesta di applicazione delle misure alternative alla detenzione in carcere per i sei mesi che, al netto dei benefici, residuano come pena effettiva da scontare. Anche se l’unica donna della squadra è riuscita in seguito ad ottenere la detenzione domiciliare.
Ma stiamo trattando di un’eccezione. Che, come sempre, conferma la regola. La regola è contenuta in quel pacchetto non scritto di norme che governa il Diritto di Polizia, che nessuna compagine governativa intende rivedere e che costituisce di fatto e da sempre un salvacondotto di impunità per i nostri killer in divisa. Per gli agenti delle nostre quattro polizie così come per i militari dei corpi scelti destinati a proteggere con le armi gli interessi privati. Vale la pena di non scordare l’atteggiamento bipartisan della politica parlamentare davanti alla richiesta di norme certe da anni vanamente formulata dai movimenti in ordine all’uso della forza da parte dei poliziotti, alle regole d’ingaggio, alla mancanza di qualsiasi elemento identificativo sulle divise, all’uso delle armi, al reato di tortura che giace da anni in commissione giustizia e da anni viene sistematicamente affossato. Nell’esprimere tutto il nostro affetto e la nostra solidarietà a Patrizia Moretti e ai suoi familiari siamo però consapevoli che di questa porcheria organizzata da Maccari e camerati presto ci dimenticheremo. Del prossimo assassinio che dovesse verificarsi per mano di qualcuno che indossa la divisa del servitore dello Stato dovremo invece ricordarci.