L’AUSTERITÀ FA DEBITO

[di Antonio Tricarico]

L’applicazione di ricette draconiane di austerità nei paesi europei non solo genera sconquassi sociali e blocca la ripresa economica, ma provoca ancora più debito, specialmente in quelle realtà, come l’Italia, che hanno già accumulato un fardello significativo rispetto al loro Pil.

A certificare questa verità assoluta è il Fondo monetario internazionale, che per decenni è stato l’evangelizzatore del mondo sui benefici dell’austerità e degli aggiustamenti strutturali liberisti in economia.

Per il Fondo e i mercati internazionali conta il fatidico rapporto debito su Pil. L’austerità fa diminuire il primo meno di quanto avvenga per il secondo, cosicché nel complesso il valore relativo del debito aumenta.

Non c’è bisogno di leggere il lungo studio del Fmi per capire la questione. Basta guardare all’Italia, dove le ricette Monti hanno portato il nostro debito al tetto storico del 127%. Vista l’imperante recessione anche nel 2013, un taglio significativo alla spesa pubblica non servirà a far diminuire il rapporto tra i due fattori. E’ indubbio che dietro l’ennesimo sorprendente richiamo dell’Fmi ci sia l’amministrazione Obama, preoccupata che l’impasse europeo nel 2013 possa portare nuove turbolenze sui mercati internazionali e impattare negativamente sulla tenue ripresa a stelle e strisce.

Ma perché i governi europei continuano a non ascoltare le mille voci che chiedono altre vie di uscita dalla crisi e si incaponiscono in ricette fallimentari? E non si tratta solo dell’arcigna Germania della Merkel. Gli esecutivi più a rischio e che dovrebbero contare qualcosa sbraitano prima di partire per i vertici di Bruxelles, ma poi agiscono in ordine sparso e si accontentano di vaghe dichiarazioni di intenti alla fine degli incontri.

Si pensi all’Italia, oggi al vertice del Consiglio europeo ancora rappresentata da Monti, e alla Francia di Hollande, ognuno preso da ricette minimaliste per ammorbidire temporaneamente il patto di stabilità, invece di avviare una vera iniziativa politica con tanto di pugni sul tavolo per creare una volta tanto una vera crisi diplomatica che abbia senso in Europa e apra un nuovo spazio politico.

Perché i paesi Piigs non ci danno una mano e sfidano il centro germanico o la fallimentare Commissione Barroso? Si potrebbe almeno chiedere le dimissioni dello stesso Barroso, o del Commissario Rehn? Qualche settore dei sindacati e del movimento alter-mondialista l’ha capito e ieri a Bruxelles ha inscenata un’occupazione degli uffici della Commissione europea incaricati di questione finanziarie e di bilancio.

E’ ormai finita la stagione delle parole che ha portato al naufragio del sogno europeo. Servono fatti per rompere l’impasse, a prescindere se ci si dichiari ancora europeisti o se si voglia rimettere in discussione l’integrazione regionale. Nelle ultime settimane il Parlamento europeo ha lanciato segnali importanti sulla regolamentazione finanziaria e del sistema bancario, nonché ha coraggiosamente rispedito al mittente il bilancio “al ribasso” approvato dal Consiglio.

E’ uno spazio politico fragile e molto stretto, ma si intravede lo stesso la possibilità di lavorare per un cambio di rotta immediato. Servono però governi coraggiosi, se si vuole ribelli, e non replicanti di destra e di sinistra impegnati a emendare marginalmente l’immarcescibile dottrina liberista.