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Dopo la strage di Lampedusa l’Europa cambia faccia, per rilegittimare le sue politiche

di Nicola Grigion da globalproject.info
  
10 / 10 / 2013

 Passano poche ore dal volo che riporta il Premier Letta da Lampedusa a Roma, dopo la giornata di contestazioni sull’Isola insieme a Barroso ed Alfano e l’operazione restyling europea spinge sull’accelleratore.

Il primo annuncio, affrettato e fumoso, arriva da un Twitt dell’On. Cosimo Ferrari: via l’articolo 10bis del Testo Unico sull’immigrazione, quello che con il pacchetto sicurezza del 2009 ha introdotto il reato di ingresso e soggiorno irregolare, quello, per capirci, che ha fatto tanto discutere nei giorni scorsi dopo che la procura di Agrigento aveva iscritto nel registro degli indagati i superstiti del naufragio dell’Isola dei Conigli.

Contemporaneamente viene messa sul piatto la bozza di strategia europea per rispondere alla strage di Lampedusa, che con le sue 300 bare messe in fila nell’hangar dell’Isola,fa scricchiolare vent’anni di politiche europee in materia di immigrazione ed asilo: “distribuzione” dei richiedenti asilo tra nove Stati Membri, recepimento nell’ordinamento italiano delle Direttive UE, nuovi finanziamenti, rinnovamento delle operazioni di Frontex e degli accordi bilaterali con i Paesi Terzi.

Meglio di niente si dirà. Ma davvero l’Europa sta invertendo la sua tendenza? Cerchiamo di fare chiarezza. Perché la differenza tra forma e sostanza in questo caso è abissale.

La paventata abrogazione del cosiddetto “reato di clandestinità” non può che essere accolta con favore. Sappiamo quanto la sua approvazione abbia avuto un valore simbolico eccezionale nell’era dei pacchetti sicurezza e della “cattiverisa” contro gli “invasori” inaugurata da Maroni. Quel reato, marchiava la biografia dei migranti come criminali non tanto per aver commesso un fatto, me invece per la stessa condizione del loro essere. Dal punto di vista pratico invece l’art. 10 bis che nella sua formulazione iniziale prevedeva l’incarcerazione, fu poi approvato con la sola previsione di un’ammenda da 5 mila a 10mila euro di fatto inesigibile da parte di chi, indigente, non avrebbe certo mai potuto pagare. Lo stesso articolo dispone poi al comma 6 la sospensione del procedimento per chi presenta una domanda di protezione internazionale. In sostanza il grande risultato dell’introduzione del 10 bis fu l’intasamento degli uffici delle produre ed un’enorme quantità di decisioni nel senso del “non luogo a procedere”.

Contemporaneamente sono stati offerti alla stampa altri due annunci: quello del recepimento della Direttiva UE n. 51, quella che permette ai titolari di protezione internazionale di superare parzialmente le “gabbie” del regolamento Dublino attraverso il rilascio di un Permesso di Soggiono UE di lungo periodo, il cui termine di recepimento era già coolpevolmente scaduto da luglio, e di due direttive che riformano le precedenti norme in materia di asilo. La direttiva qualifiche e la direttiva procedure. Un obbligo già previsto per gli Stati Membri. Di contro si è parlato della disponibilità da parte di nove stati membri di accogliere i richiedenti asilo approdati in Italia. Diecimila persone, cioè poco più di mille per stato, un’inezia.

Meglio di niente si dirà. Certo. Ma di cosa si tratta?
Di un nuovo corso dell’Europa che si è aperto su questo come su altri terreni, a partire dalle elezioni tedesche e dalla crisi italiana risoltasi con la vittoria dell’asse Alfano-Letta sui diktat di Berlusconi. Lo stesso rinnovamento che, accellerata dalle morti di Lampedusa, rimette in gioco la necessità delle istituzioni europee e nazionali, anche sul terreno finora inattaccabile del controllo dell’immigrazione, di abbandonare i simboli e l’immaginario che le hanno finora caratterizzate.
Una nuova governance che anche sull’immigrazione ricerca consenso per riaffermare in fondo l’Europa Fortezza, i suoi pattugliamenti, la legittimità dei suoi accordi in materia di rimpatrio, il suo sistema detentivo, il lavoro dei suoi confini, la sua vorace sovranità.

Più lacrime e commozione, più inchini di fronte alle bare, più umanitarismo e compassione per rinnovare, suffragati dal consenso dell’opinione pubblica, l’Europa dai diritti gerarchici.
Sarà sufficiente? Non siamo indovini, ma non è difficile ipotizzare che “i viaggi della speranza” non si fermeranno, visto che nulla, proprio nulla è cambiato se non nella simbologia.
Ma se da un lato, come è logico, questo processo si è messo in moto, dall’altro questo stesso momento di trasformazione apre per tutti noi la possibilità di dare un’altra direzione alla sua rotta.
Se dopo la strage di Lampedusa sapremo metterci in cammino insieme per affermare la nostra Europa, per abbattere colpo dopo colpo la legge Bossi-fini, le gabbie del Regolamento Dublino, la politica dei respingimenti in qualsiasi loro forma, per aprire canali di ingresso legale per chi fugge dalla morte. Per salvare insieme a loro anche il destino dell’Europa. il nostro.