L’acqua pubblica e il Patto di stabilità
di Luca Martinelli da Imbrocchiamola!
La “Legge di stabilità” sottomette al pareggio di bilancio e alla riduzione dei costi anche le aziende speciali e le spa pubbliche che hanno ricevuto l’affidamento diretto di un servizio pubblico, tra cui la gestione degli acquedotti. Rischia di vincolare la qualità del servizio a criteri meramente economici, anche se -spiega Oddi del Forum dei movimenti per l’acqua– “non mette in discussione i processi di ri-pubblicizazione”
Si allargano i confini del Patto di stabilità: anche le società partecipate, le aziende speciali e le istituzioni degli enti locali che hanno avuto l’affidamento diretto di un servizio pubblico dovranno concorrere “alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di efficienza”.
Se l’articolo 15 della “Legge di stabilità” -quello da cui abbiamo ricopiato il virgolettato sopra- dovesse “attraversare” indenne il passaggio per le aule di Camera e Senato, cioè, le società per azioni in cui soggetti pubblici detengano una maggioranza azionaria, e quelli che gestiscono servizi in affidamento diretto -anche quelli oggetti del referendum del giugno 2011, come il servizio idrico integrato- dovranno sottostare ai vincoli del Patto di stabilità interno.
Secondo Corrado Oddi del Forum italiano dei movimenti dell’acqua, se ciò avvenisse si andrebbero a “penalizzare queste forme di gestione, e in particolare le aziende speciali e le società per azioni a totale capitale pubblico, rispetto alle Spa a capitale misto che abbiamo scelto il proprio partner privato tramite gara e alle società quotate”, e per questo il “giudizio del Forum non può che essere negativo”, anche se -rispetto alla prospettiva originaria d’introduzione di questa forma di “controllo” sui bilanci delle partecipate, paventata durante il governo Monti , “è saltato il meccanismo che avrebbe posto il bilancio delle aziende speciali o delle società pubbliche all’interno di un ‘bilancio consolidato’ dell’ente locale, per cui se un Comune aveva una situazione critica, questo avrebbe inciso immediatamente sulla capacità di spesa e d’investimento per garantire l’accesso ai servizi essenziali”.
Quella che appariva, né più né meno, come una norma volta a “favorire” la vendita delle azioni delle società partecipate, muta radicalmente oggetto: “Se l’articolo 15 della ‘Legge di stabilità’ rimarrà quello uscito dal consiglio dei ministri, resta perfettamente plausibile affidare il servizio a un’azienda speciale, avviare quei percorsi di ri-pubblicizzazione verso cui spinge il Forum italiano dei movimenti per l’acqua. E nel dire questo -aggiunge Oddi- ribadisco che anche per noi è fondamentale una riflessione relativa alla sostenibilità economica del soggetto gestore, anche perché quando una società è in perdita è evidente che viene meno anche la possibilità di realizzare gli investimenti per garantire un miglior servizio”.
La differenza tra l’impostazione del Forum e quella del governo, in merito alPatto di stabilità interno, è che per i primi “l’economicità e il pareggio di bilancio dovrebbero sempre essere associati a finalità sociali e alla sostenibilità sociale. È un discrimine importante -secondo Oddi-, perché il Patto di stabilità continua ad essere ispirato solo a una logica di pareggio di bilancio, che di certo è un vincolo di cui tenere conto, ma non è la finalità. La finalità è produrre servizi per i cittadini. Eppure si scambiano i vincoli con gli obiettivi.
Secondo Oddi, tuttavia, “l’indicazione contenuta nella legge di Stabilità, che non modifica il nostro giudizio di fondo, negativo, ‘ritaglia’ il vincolo sulle singole aziende, e non è troppo penalizzante, perché si chiede in buona sostanza che le aziende speciali e le spa pubbliche chiudano i bilanci in pareggio. È nel momento in cui c’è una perdita che scattano le limitiazioni, che sono il blocco delle assunzioni, una riduzione dei costi operativi e l’elaborazione di un piano di rientro”. Tutto questo, dovrebbe partire dal 1° gennaio 2015, prendendo in esame i bilanci 2013 delle aziende, quelli che verranno depositati nelle prima metà del 2014.
Una possibile aggravante, per quelle aziende che chiuderanno il bilancio di quest’anno in perdita, e che forse non l’avevano messo in conto (visto che siamo ormai a fine ottobre), è che quando un soggetto è in perdita, o non rispetta il piano di rientro, “quel dato negativo viene traslato in automatico sul bilancio del Comune socio”, su cui grava -recita il comma 8 dell’articolo 15 della Legge di stabilità- “la responsabilità del mancato raggiungimento dell’obiettivo”. Tradotto in termini più semplificati e grossolani, ciò significa che se un azienda speciale presenta un margine operativo lordo negativo per 100mila euro, allora tale cifra va ad abbassare la disponibilità di spesa dell’Ente locale per un importo corrispondente.
“Questo è un elemento peggiorativo per la situazione dell’ente locale stesso -commenta Oddi-, che arriva in una fase che sappiamo essere già molto faticosa per i Comuni”. Che potrebbero, così, scegliere di vendere. Anche perché non si può nascondere che il governo di Enrico Letta sta cercando di “rilanciare una logica di privatizzazione, e in particolare il ministro dello Sviluppo economico, l’ex sindaco di Padova Flavio Zanonato, ha annunciato un provvedimento, che poi non è entrato nel Patto di stabilità, che avrebbe permesso ai Comuni che vendono le proprie quote azionarie all’interno di aziende che gestiscono servizi pubblici locali di utilizzare quelle risorse al di fuori del Patto di stabilità”. Come se privatizzare fosse un merito.