Nuova sentenza a sorpresa per il processo sull’omicidio di Vittorio Arrigoni a Gaza: pena ridotta a 15 anni per i due assassini.
di Irene Masala
Mahmoud Salfiti, 23 anni, e Tamer Hasasnah, 25, condannati all’ergastolo e ai lavori forzati per l’omicidio dell’attivista italiano Vittorio Arrigoni, sono ricorsi in appello alla corte di Gaza, ottenendo lariduzione della pena a 15 anni. La sentenza emessa dal Tribunale Militare di Gaza City il 17 settembre 2012, che riconosceva i due gazawi come colpevoli di rapimento e omicidio premeditato, è stata così ribaltata. Il giudizio è stato espresso la mattina del 19 febbraio 2013, senza preavviso e senza spazio per ulteriori dibattimenti. ”Lo abbiamo saputo tramite fonti di stampa mentre il nostro avvocato, Gilberto Pagani, si è messo in contatto con i referenti dell’associazione Palestinian center for human rights, che sin dall’inizio sta seguendo il processo. Anche loro erano sconcertati e non si sono saputi spiegare il perchè di questa sentenza, quasi come se tutto fosse già stato deciso” ha dichiarato Egidia Beretta, madre di “Vik”, amareggiata e in attesa di qualche valida motivazione del verdetto.
Secondo i giudici dell’Alta Corte Militare che hanno accolto il ricorso, i due salafiti non sarebbero colpevoli di omicidio, ma solo del rapimento del cooperante italiano. Nella ricostruzione fatta in sede di appello, Vittorio Arrigoni sarebbe stato ucciso dal salafita giordano Abdel Rahman Breizat e dal palestinese Bilal Omari. Entrambi persero la vita durante uno scontro a fuoco con la polizia nel 2011, mentre Salfiti e Hasasnah, seppur a conoscenza del rapimento, non potevano prevederne il tragico risvolto poiché convinti che si trattasse di un mero atto intimidatorio. Come se non bastasse, il 24 febbraio la stessa Corte si è espressa anche sul ricorso in appello del terzo imputato, Khader Jram, 25 anni, condannato in primo grado a dieci anni di carcere e lavori forzati per favoreggiamento, per aver fornito ai rapitori le informazioni circa spostamenti e abitudini dell’attivista, dimezzandone la pena.
Non si vuol certo negare il diritto al ricorso degli imputati, assolutamente inviolabile, ma di certo questa repentinità di giudizio, carente delle dovute tempistiche nelle comunicazioni alle parti in causa, non può che lasciare sgomenti. Al momento, il legale della famiglia Arrigoni attende che le motivazioni del ricorso vengano depositate e tradotte, così da poter essere messe a confronto con quelle del primo grado, nella speranza di trovare una ratio alle varie incongruenze dei giudizi. Ad incidere sull’esito del processo pare siano state anche le pressioni fate dalle famiglie dei condannati.
Per ora, l’unica vera certezza è che questo ricorso non sia servito per fare chiarezza sugli unici punti oscuri del processo: chi era e qual era il vero obiettivo di Breizat, artefice, secondo la prima ricostruzione degli inquirenti, della creazione di una cellula salafita con l’obiettivo di rapire uno straniero nella Striscia di Gaza, così da poter richiedere in cambio la liberazione dello sceicco al Maqdis, arrestato da Hamas. Nessuna chiarezza è stata fatta sulla figura del giovane giordano, sui referenti o sui mandanti. La senzasione sembra quella di una giustizia sommaria che, da lontano, mette la parola fine ad un processo sul quale pendono ancora parecchi questi irrisolti. Sentenza che non fa che giocare a favore della dialettica israeliana, impegnata a far passare Hamas come una forza politica irrazionale, incapace di governare con metodi democratici, e irriconoscente persino nei confronti di chi, in nome della causa palestinese, è stato disposto a sacrificare la propria vita.