Dalla Prefettura alla Questura, fin sotto il Consiglio Comunale. Il Sindaco non li riceve, i Carabinieri caricano. Loro a gran voce: allora arrestateci tutti!
Ancora i rifugiati in mobilitiazione, per chiedere diritti, accoglienza, permessi di soggiorno.
Cinque di loro non possono però esserci, arrestati a seguito delle denunce presentate dal presidente, il direttore e due operatori della Casa a Colori, dove si è consumata la la rivolta dello scorso 7 gennaio.
Sono accusati di sequestro di persona e per questo sono in attesa della decisione del GIP dopo gli interrogatori di garanzia di lunedì 4.
Il Presidio di Piazza Antenore si trasforma subito in corteo.
Immediatamente i rifugiati si dirigono verso l’ingresso della Prefettura lanciando finte banconote alle spalle dei reparti dei Carabinieri schierati a difesa di Palazzo Santo Stefano.
Il corteo si sposta, blocca le Riviere, il traffico va in tilt, autobus e tram non si muovono mentre imanifestanti si muovono verso la Questura. In testa portano uno striscione che non lascia spazio a dubbi: “siamo tutti colpevoli di chiedere diritti“. Vogliono la libertà per i loro fratelli, o altrimenti, dicono,“arrestateci tutti”.
Siamo quasi all’epilogo di un anno e mezzo di quel malsano esperimento chiamato “emergenza nordafrica” dove sotto le mentite spoglie dell’accoglenza migliaia di enti gestori, in larga parte cooperative e albergatori in Italia hanno costruito fortune. A Padova i migranti “ospitati” sono stati circa 260, poco piùdi 160 sono ancora in città, milioni di euro sono arrivati dal Ministero senza senza che nulla più oltre al vitto e l’alloggio, qualche corso di italiano e qualche ricorso contro i dinieghi sia stato offerto. Nessuna traccia dell’inserimento abitativo, nessuna traccia della formazione professionale, l’avviamento al lavoro, di un disegno che permettesse ai rifugiati di avere di fronte a loro qualche opportunità.
Lo scorso 7 gennaio la tensione è così esplosa per la mancanza del permesso di soggiorno, del titolo di viaggio, della carta d’identità, della garanzia di una somma per uscire dal “sistema”. La Casa a Colori ha subito diversi danni causati dalla rabbia degli ospiti, mentre cinque di loro hanno trattenuto alcuni operatori in una stanza. L’accusa è grave, sequestro di persona, ma di sequestro non si è trattato.
Nonostante questo gli operatori del centro hanno sporto denuncia sancendo così, oltre al fallimento del loro lavoro, anche l’arresto dei rifugiati.
Dopo la tappa in Questura il corteo dei rifugiati si è diretto verso Palazzo Moroni, dove era in corso la seduta del Consiglio Comunale. Chiedevano di essere ascoltati, che qualche esponente volesse sentire le loro ragioni. Hanno bloccato gli ingressi rendendo difficile per consiglieri ed assessori raggiungere la sala dell’assemblea cittadina, ma per loro, nessuna risposta. Cancelli chiusi e silenzio per oltre un’ora fino a quando dall’interno arriva la notizia di una delegazione composta da tre consiglieri comunali e la rapporesentante della commissione stranieri pronti a scendere per riceverli. In pochi minuti però arriva anche la smentita. Il Sindaco Zanonato, responsabile nazionale immigrazione dell’Anci ha vietato categoricamente al gruppo di scendere per incontrare i manifestanti. Loro fanno dietro front e così si consuma l’ennesima pagina vergognosa per la politica cittadina: per il sindaco non tutti i cittadini sono uguali; in Consiglio Comunale i diritti non trovano posto; l’assemblea cittadina non gode di autonomia, supina agli ordini dell’arrogante Sindaco.
Dopo ore si conclude la mobilitazione, intorno ad un Comune sotto assedio e senza che la politica abbia voluto ascoltare la voce dei rifugiati, che è però risuonata tra le strade ed i portici della città, di quella città che vuole ascoltare.
Nei prossimi giorni, garantiscono i rifugiati insieme agli attivisti dell’Associazione Razzismo Stop, torneremo a farci sentire, fino a quando tutti i ragazzi in carcere non saranno liberati, fino a quando non arriveranno i nostri documenti, aspettando l’avvicinarsi del 28 febbraio, data in cui finirà la proroga del piano di accoglienza.
Sono emigrati dal loro Paese, sono fuggiti dalla Libia, hanno sperato nelle “democrazie europee” e si sono ritrovati a Lampedusa, nelle tendopoli del Sud, abbandonati dalle istituzioni per un anno e mezzo ed ora non vogliono dover fuggire ancora… con buona pace di chi proprio il 28 febbraio pensa di potersi liberare della loro istanza di dignità e democrazia.