Ma perché gli USA entrano nell’ennesima guerra sulla base di evidenti pretesti, come in Vietnam, Iraq, Yugoslavia, senza nemmeno attendere la fine dell’inchiesta degli ispettori dell’ONU sui presunti attacchi chimici, e con un’opinione pubblica interna assolutamente contraria (solo il 9% dei cittadini USA è favorevole, mentre il 60% è contrario, come da attendibile sondaggio Gallup)?
Come mai Obama sfida la comune intelligenza quando persino buona parte degli ossequiosi giornalisti occidentali si chiede come sia possibile che il governo Siriano abbia deciso di lanciare missili contenenti gas nervini sotto gli occhi degli osservatori internazionali appena giunti a Damasco proprio per indagare sull’uso di armi chimiche (che secondo molte fonti, e ragionando sul “cui prodest”, sarebbero state invece lanciate proprio dai cosiddetti “ribelli”)?
In realtà, la decisione dell’attacco militare in Siria nasce da un senso di frustrazione e dalla necessità di riprendere in mano una situazione che sembra portare alla frantumazione del progetto egemonico USA nel Vicino Oriente (una tesi che ha molti punti di contatto con questa, è stata sostenuta anche in un intelligente articolo di Sergio Cararo pubblicata da Contropiano) .
Ed infatti si deve ricordare innanzitutto che finora in Siria il governo Assad, dato ripetutamente per isolato e spacciato già due anni e mezzo fa, ha resistito all’offensiva di Jahadisti e mercenari finanziati, armati e manovrati dall’esterno ed è addirittura passato alla controffensiva. L’esercito siriano è rimasto compatto e la gran parte della popolazione, e persino molti ex oppositori liberali o democratici, spaventati dall’ondata integralista e terrorista, si sono stretti intorno al governo.
Uno degli episodi chiave è la cacciata dei Fratelli Musulmani in Egitto, con cui gli USA avevano sottoscritto un patto strategico. Come hanno rivelato autorevoli giornali americani, come il “Whashington Post”, febbrili trattative tra alti funzionari USA, governo egiziano, Fratelli Mussulmani e inviati del Qatar si sono susseguiti nei giorni precedenti l’intervento dell’esercito per trovare un compromesso e salvare la posizione dei FM. Ma poi l’esercito è intervenuto per deporre il presidente Morsi non tenendo conto delle indicazioni USA.
Giorni fa a Roma è stato presentato un libro della giornalista dell’Ansa Luciana Borsatti (“Oltre Tahrir”) che ha svolto un’inchiesta in Egitto nei giorni immediatamente precedenti le grandi manifestazioni contro il governo dei Fratelli Musulmani ed il conseguente intervento dell’esercito Dal libro risulta che la stragrande maggioranza degli Egiziani condannava l’azione politica dei Fratelli Mussulmani ed era a favore di un intervento dell’Esercito. L’azione dell’esercito, massima istituzione egiziana, in cui permangono istanze nasseriane-nazionaliste , è stata mal compresa in occidente anche da molti gruppetti di sinistra. Certamente essa è avvenuta non con il consenso, ma contro il parere degli USA. Ora per l’Egitto si apre una fase incerta, che però secondo il leader della sinistra nasseriana Sebbahi e secondo il segretario del Partito Comunista Egiziano, potrebbe riservare sviluppi positivi.
Per capire bene questa situazione e comprendere bene le alleanze bisogna risalire ai tempi della prima guerra in Afghanistan, quando gli USA si allearono con Al Queda, Bin Laden ed i più estremisti integralisti islamici (compresi i Talebani) per cacciare Comunisti e Sovietici e controllare l’Afghanistan. Questa alleanza non è mai venuta meno, salvo incidenti di percorso locali. I Jahadisti sono stati utilizzati in Bosnia, in Libia, poi in Siria, ogni volta che serviva.
La “lotta contro il terrorismo” è stata una specie di teatrino, di specchietto per le allodole, per giustificare leggi eccezionali, programmare interventi armati e spaventare i benpensanti. Anche il famoso episodio dell’11 settembre 2001 (che ufficialmente sarebbe stato programmato da una ventina di integralisti per di più Sauditi, tutti ex agenti CIA) presenta molti aspetti oscuri su cui non è stata detta tutta la verità (quasi il 40% degli Statunitensi ha espresso dubbi in proposito).
Quali sono gli obiettivi immediati dell’imperialismo USA oggi (e dei loro alleati, Francia e Gran Bretagna, paesi entrambi dal vergognoso passato colonialista e neo-colonialista)? Quali sono gli obiettivi del loro principale alleato, Israele, che attraverso le “lobbies” sioniste locali manifesta la sua influenza sia sul governo USA che su quelli di Francia e Gran Bretagna? Vediamo che l’Afghanistan è un paese distrutto dove infuria la guerra. L’Iraq è un paese a pezzi, dove la zona kurda se ne va per i fatti suoi e le zone miste sunnite-sciite sono impegnate in una guerra civile strisciante che causa 50-60 morti al giorno. In Libia bande tribali e confessionali si disputano il territorio con continui scontri ed attentati. Anche le bombe esplose in Libano fanno parte di una strategia della tensione, atta a riaccendere la guerra civile in quel paese dove il movimento Hezbollah è alleato della Siria. Anche la Siria, in caso di vittoria dei Jahadisti sprofonderebbe nel caos più completo con la formazione di mini-stati in lotta tra loro.
Per concludere, il vero obiettivo immediato dell’imperialismo e dei vecchi e nuovi colonialisti nel Vicino Oriente ed Africa Settentrionale è il caos. Tutti quei regimi che, sia pure autoritari, assicuravano comunque la laicità e la sovranità dello stato ed un certo sviluppo economico e civile basato sulle risorse locali nazionalizzate (come l’Iraq e la Siria baathisti, il regime di Gheddafi, ecc.) nonché la resistenza palestinese che contesta Israele, vanno spazzati via perché costituiscono un ostacolo al dominio occidentale ed a quello sionista di Israele. I fatti della Siria e dell’Egitto che vanno controcorrente, e l’azione di sostegno alla Siria da parte di Iran, Hezbollah e Russia, fanno perdere la testa all’imperialismo che mostra il suo volto più feroce e mostruoso. Speriamo che anche la sonnolenta ed ignorante opinione pubblica italiana (ed occidentale) prenda coscienza di questi problemi che hanno ricadute finali su tutti, e trovi il coraggio di indignarsi.
Vincenzo Brandi