Veneto e morte. Storia transnazionale di una filiera locale
di CAPRIMULGUS
La notizia dei quattro operai morti ad Adria (Rovigo) è già stata seppellita dai telegiornali sotto le necessità politiche contingenti. Lo stesso è accaduto qualche tempo fa per la morte inopportuna di sette cinesi a Prato. Quanto meno dopo la morte esiste evidentemente un’uguaglianza tra lavoratori migranti e italiani. Molto meglio parlare di mercato del lavoro che di morti sul lavoro. I tre operai e il camionista sono deceduti in un impianto di trattamento di fanghi industriali a causa di una miscela di ammoniaca e acido solforico che ha provocato una nube tossica. Difficile dire se si tratta di un errore umano o se gli evidenti problemi di sicurezza della ditta, sottolineati dal Pm incaricato, siano stati decisivi. Ma non è da escludere che le sostanze dichiarate non fossero quello che poi hanno prodotto la reazione. Certo è che la decina di occupati della Co.im.po conosceva il lavoro e sapeva bene qual era la situazione fuori di lì. Il Polesine è rimasto meno colpito del resto del Veneto dalla crisi economica, ma perché qui il benessere è sempre arrivato di striscio. Si prende quello che c’è, perché da queste parti non c’è molta discussione sulle condizioni di lavoro, anche a costo di usare delle vasche inadeguate, di lavorare senza maschere protettive e in fretta. Gli operai non sono ancora stati ingaggiati né in serie A né in serie B.
Il presidente Giorgio Napolitano, subito prima o subito dopo aver dichiarato che bisogna essere coraggiosi e deregolare fino in fondo il mercato del lavoro, ha espresso il suo cordoglio ai familiari degli operai morti, così come il Governatore Luca Zaia e il Sindaco. Dopo morti gli operai sono tutti da ricordare. Il sindaco Massimo Barbujani dice che si tratta di un’impresa controllata dall’Arpav che ha dato molto alla città e con la quale non c’erano mai stati problemi. Barbujani, un passato da corridore di rally e nuova stella della destra locale farebbe bene a chiedere qualche informazione ai vicini per capirci qualcosa. Che l’impianto emanasse un odore nauseabondo è il segreto di Pulcinella. La gente del posto non solo si lamentava, ma aveva chiamato a più riprese le autorità perché svolgessero adeguati controlli. D’altra parte se nel 1997 la ditta era autorizzata a trattare 3000 tonnellate di fanghi di depurazione palabili, un decennio dopo era arrivata a quasi 100 mila tonnellate. La richiesta di raddoppiare il volume aveva trovato qualche intoppo, compreso qualche centinaio di firme contro quell’impianto che sprigionava odore acre nel bel mezzo della campagna. Ma la Co.im.po sapeva come rompere il fronte critico di un piccolo borgo di cinquecento anime, sostenendo con qualche centinaio di euro la squadra di calcio locale.
La ditta fondata trent’anni fa è conosciuta e chiacchierata in paese proprio per questa attività di gestione dei rifiuti e per quello che ne è stato a lungo il proprietario, Mauro Luise, un uomo con il fiuto degli affari. Passare dal trasporto del latte a quello dei rifiuti è stato il suo colpo di fortuna e gli ha permesso di girare con il ferrarino. Uno dei tanti cresciuti nel capitalismo sfrenato degli anni Novanta. Qualche traversia giudiziaria l’ha anche avuta, per la sua attività di gestione e trasporto di rifiuti, arrivando fino alla Corte di Cassazione. Mentre il rinvio a giudizio nell’ambito di un’inchiesta della procura di Forlì è poi finito nel nulla. Il Luise aveva buone conoscenze e, fanno notare in paese, qualche frequentazione chiacchierata con chi avrebbe dovuto vigilare.
Dal 27 dicembre 2012 la ditta ha cambiato proprietà, sebbene pare rimanga un affare di famiglia: ora è amministrata da Gianni Pagnin, mentre nel consiglio di amministrazione troviamo la figlia trentottenne Alessia Pagnin e Glenda Luise, la figlia del Mauro di venticinque anni. Brutto anno il 2012, quando l’azienda dichiarava una perdita di esercizio superiore ai 900mila euro. Ma per quanto i bilanci possano raccontare, le cose alla Co.im.po non vanno male, anche se la crisi si è sentita e gli affari sono un po’ in calo: nel 2013 il fatturato si è fermato a 6,7milioni di euro con una perdita di 45.743 euro.
Come molti altri imprenditori veneti il Pagnin non ha solo quest’azienda: è amministratore unico della Immobiliare G. & G. Srl di Noventa Padovana, che ha fatturato di 24mila euro nel 2012, e soprattutto è consigliere di amministrazione in Ecologia Noventana, che nel 2013 denunciava ricavi per 411mila euro e utili per 91mila euro. In Ecologia Noventana ritroviamo Alessia Pagnin in qualità di presidente del consiglio di amministrazione. Il Pagnin risulta poi amministratore di Imobiliaria Timis, con sede a Timisoara, e – pare insieme al Luise – della ditta La Fazenda, che opera nel settore agricolo, sempre a Timisoara. Complice una fidanzata rumena e qualche traversia finanziaria in Italia, il Luise vive ormai nel paese di Dracula e pare gestisca qualche affare in loco. Insomma, società transnazionali di piccolo calibro, che sostengono business che forse si incrociano e si accavallano tra il basso Veneto, da un lato, e la solita terra promessa rumena, dall’altro. Filiere del capitale che risparmiano attraverso i confini, spostando lodevolmente soldi e investimenti e mostrando – come immaginiamo direbbe il Presidente Napolitano – quell’imprenditorialità degli italiani della quale tutti dobbiamo andare fieri. Soprattutto se si tratta di piccole imprese che, come tutti sanno, sono la vera spina dorsale della nazione, veneta o italiana che sia. Se poi muoiono casualmente quattro operai veneti o sette cinesi, basta il cordoglio e avanti con il prossimo affare.
da: connessioniprecarie.org