A31: AUTOSTRADA, DISCARICA O INFRASTRUTTURA MILITARE?

(Gianni Sartori – 2012)

 

Tempi duri per l’ambiente e il paesaggio tradizionale del Basso Vicentino, il territorio a sud di Vicenza, Colli Berici compresi. All’orizzonte si intravedono ulteriori devastanti escavazioni e cementificazioni. La A31 (Valdastico Sud), infilandosi tra le colline di Monticello, Albettone, Lovolo e Lovertino ha rappresentato il colpo di grazia.

Le piccole alture costituiscono (o meglio, costituivano) il trait d’union naturalistico tra due aree geologicamente diverse, i vulcanici Euganei e i carsici Berici. L’ultima cattiva notizia riguarda i materiali utilizzati per il fondo autostradale. Già individuati nel tratto di Albettone, i rifiuti tossici (presumibilmente provenienti da fonderie) potrebbero essere stati utilizzati per buona parte della tratta di circa 50 chilometri che attraversa il Basso vicentino arrivando a Badia Polesine. Centinaia di tonnellate depositate nottetempo con il fondato sospetto di infiltrazioni mafiose. 

A scoprire l’ulteriore misfatto, un archeologo dilettante, Marco Nosarini che conserva pezzi di materiale raccolti lungo la “grande opera” in costruzione. Nella zona di Albettone finora aveva rinvenuto resti sia preistorici che romani. Ma di fronte alla “cosa nera” individuata nell’agosto 2010, ha capito immediatamente che si trattava d’altro. Allertati i carabinieri di Campiglia dei Berici, ha presentato il primo esposto. “Passato a Vicenza -racconta- l’esposto è rimasto in questura per undici mesi” forse perché il materiale raccolto non era stato analizzato. Nell’aprile 2011 un nuovo indizio. Il cane di un abitante del luogo beve l’acqua di un fossato vicino all’autostrada e nel giro di due giorni muore. L’ipotesi è che l’acqua penetrando nel materiale proveniente dalle fonderie produca un  micidiale “percolato”. Si teme la presenza di nocivi minerali pesanti. Nosarini ricorda che all’epoca del suo primo esposto “probabilmente il tratto utilizzato era di un chilometro o due” mentre ora potrebbero essere già una trentina. “Da 120mila a 300mila metri cubi” ipotizza. E senza calcolare le decine di raccordi stradali. Intanto l’inchiesta passava alla procura di Brescia (v. quella già in corso sulla Brescia-Milano, v. la ditta Locatelli) e poi, d’ufficio, all’Antimafia di  Venezia (DIA).  Va sottolineato che “se fosse stata un’inchiesta normale, sarebbe stata trasferita a Vicenza”.

Al momento (2012 ndr) si sta ancora indagando . Ovviamente sono indagini lunghe (con carotaggi e analisi fatti, probabilmente,  dagli stessi esperti della Brescia-Milano) e gli interessi in gioco sono molto alti, dell’ordine di miliardi di euro.

ne avevamo parlato con Maria Chiara Rodighiero, esponente di Medicina Democratica e dell’AIEA (Associazione italiana esposti amianto) “La cosa è grave” -ci ha spiegato- anche se probabilmente gli eventuali effetti si potranno vedere solo tra qualche anno, dato che i minerali pesanti hanno la tendenza ad accumularsi nell’organismo”. In teoria i materiali provenienti dalle fonderie dovrebbero venir resi inerti prima di essere utilizzati. Dopo una temporanea sospensione, i lavori per la prosecuzione dell’A31 sembrano già riavviati. Insufficienti, purtroppo, le mobilitazioni. Il 17 marzo 2012 Rifondazione Comunista (a cui si devono anche alcune interrogazioni a livello regionale) ha organizzato nel vicentino una manifestazione regionale contro la Pedemontana, la A31 e i previsti impianti della Despar. Invece la amministrazioni comunali dei paesi interessati sembrano defilarsi. Eppure, sia nel caso della A31 che in quello della Pedemontana, appare evidente come il Veneto sia sempre più esposto ai rischi di infiltrazioni di ogni genere. Sia di sostanze tossiche che di tipo mafioso, soprattutto in tempo di crisi. 

Chi voleva il “progresso” è accontentato. Colgo l’occasione per rendere omaggio al militante comunista Arnaldo Cestaro che da anni sta portando avanti una dura (e talvolta solitaria) battaglia contro la A31 denunciando lo stupro paesaggistico e ambientale. Un degno erede, moralmente parlando, del compianto Antonio Verlato, esponente di Italia Nostra che alla difesa di questo territorio dedicò l’intera vita.

Oltre all’autostrada, preoccupano gli effetti collaterali: nuove zone industriali, caselli, svincoli, cavalcavia, raccordi stradali, le “voci” (regolarmente smentite, ma ricorrenti) di un futuro “villaggio americano”, la prospettiva di circa 200 campi, 600mila metri quadri, divorati dal progetto Despar ai Casoni di Ponte di Lumignano (tra Longare e Montegaldella) e un “parco industriale” di un milione di metri quadrati, aumentabile fino a due milioni, dalle parti di Badia Polesine (provincia di Rovigo, verso l’Adige). 

E poi la ciliegina avvelenata dell’annunciato poligono di tiro ad Albettone (presumibilmente a uso anche militare). Scampato pericolo, almeno per ora, a Nanto dove si prospettava la realizzazione di un “villaggio americano”. A chi contesta, l’accusa di “talebani ambientalisti”. Oppure, più benevolmente, di “romanticismo bucolico”.

In base al piano territoriale regionale, un’area di due chilometri di raggio attorno ai caselli verrebbe considerata “zona speciale” e quindi cementificabile senza possibilità di opporsi da parte di comuni, cittadini e comitati. Forse bisognava pensarci prima. Un convegno di tre giorni contro la nuova autostrada, organizzato da alcuni ambientalisti (oltre all’ottimo Arnaldo Cestaro, Francois Bruzzo e Margherita Verlato, sorella di Antonio) a Cà Brusà nel 2006, vide una significativa partecipazione di comitati provenienti da ogni parte della penisola (No Tav, No Mose, No Ponte di Messina) accogliendo anche i primi vagiti del No Dal Molin, ma venne quasi ignorato  dalle popolazioni locali. Per non parlare delle amministrazioni, entusiasticamente a favore della devastante “grande opera”.

Finora la cosa sembra passare inosservata, ma va segnalato che visto dall’alto il tracciato definitivo dell’autostrada (dal progetto originario ha subito varie modifiche) suggerisce un possibile utilizzo militare. La nuova base statunitense al Dal Molin (talvolta denominata “Ederle 2”) sarà ottimamente servita dalla Valdastico Nord, così come la vecchia “Ederle 1” si trova in prossimità del casello di Vicenza est.  Restava defilata soltanto la base sotterranea di Longare “Pluto”, in passato deposito nucleare (solo “in passato”? E’ una coincidenza che in zona i casi di leucemia siano superiori alla media?). Ma ora, con il nuovo tratto, è previsto un comodo casello. Ben servito dall’A31 (con relativo casello) anche il futuro poligono di tiro ad Albettone. Senza dimenticare che non lontano da dove l’autostrada finisce, esiste una base militare semi-abbandonata. Niente di strano se a qualcuno venisse in mente di ripristinarla. A questo punto anche l’ipotesi di un “villaggio americano” a Nanto, già ventilata e sbrigativamente definita “fantasiosa”, diventa plausibile dato che sorgerebbe in “posizione strategica”. Gli abitanti del ridente paesello erano stati premurosamente tenuti all’oscuro, ma qualche incontro tra amministrazione locale e militari statunitensi sembra proprio esserci stato. 

C’è qualcosa di sconcertante nel modo in cui questa popolazione sta svendendo la propria Terra. Eppure siamo tra il territorio de “La Boje” e quello della Brigata partigiana Silva, nella stessa provincia che ha dato i natali a Luigi Meneghello (“I Piccoli Maestri”), a Rigoni Stern, ai fratelli Ismene e Ferruccio Manea (il mitico comandante Tar). Senza dimenticare Antonio Giuriolo e Dino Carta… 

Accusata di far la “Cassandra”, l’ambientalista vicentina Elena Barbieri aveva paragonato l’A31 al Cavallo di Troia “un regalo astuto e malefico, creato apposta per distruggere definitivamente quel territorio”. I sindaci dell’Area Berica avevano “promesso ai loro cittadini mirabilie e l’inizio di un glorioso avvenire di prosperità, ma mentre parlavano di modernizzazione nel rispetto della sicurezza del paesaggio, nei loro occhi si intravedeva il luccichio delle colate di cemento. Un cavallo di Troia donato dagli astuti politici, imprenditori e palazzinari agli abitanti del luogo. Un cavallo dentro cui si nascondevano agricoltura disastrata, impermeabilizzazione del suolo (un incentivo a future alluvioni), scomparsa del piccolo commercio, colate di cemento per la grande distribuzione (v. Despar), devastazione del paesaggio tradizionale e del contesto delle ville venete, svilimento ulteriore della biodiversità”. A futura memoria.

Gianni Sartori

 

P.S.  La stesura di questo articolo risale all’inizio del 2012. All’epoca non venne preso in considerazione da alcune testate cui venne proposto (tra gli altri, Il Fatto quotidiano e La Voce dei Berici) forse perché l’ipotesi di un “corridoio industriale-militare” (concetto che ho preso in prestito dai compagni zapatisti) risultava inquietante o destabilizzante. 

A conclusione dell’inchiesta (estate 2013) alcuni esponenti politici della Provincia risultavano, se non incriminati, per lo meno indagati (ma, si precisava, quasi a scusarsi, era un “atto dovuto”). Peccato che questo sia avvenuto dopo che il casello di Longare era ormai aperto e funzionante da qualche mese e quello di Albettone da una quindicina di giorni. Tempismo perfetto o soltanto coincidenza sincronica? A voler pensare male, sembrerebbe quasi che si sia voluto mettere l’opinione pubblica di fronte al “fatto compiuto”.

Se era concepibile una bonifica finché i detriti tossici erano ricoperti soltanto dal terreno, ora che il tratto incriminato è operativo e funzionante tutto risulterà molto più difficile. Altra “chicca”. Il sindaco del territorio in cui si trova uno dei tratti maggiormente sospetti, quello di Albettone, avrebbe (il condizionale è d’obbligo) riconosciuto di essere stato a conoscenza dell’utilizzo di materiale proveniente dalle fonderie, ma anche di aver avuto assicurazioni che questo era stato reso inerte (cosa alquanto improbabile viste le dimensioni dei reperti raccolti dal benemerito Marco Nosarini). Altra coincidenza, il primo cittadino sarebbe alle dipendenza di una nota fonderia vicentina.

Si parva licet, girando peri campi mi è capitato di raccogliere le lamentale (tardive) di alcuni contadini i cui campi sono stati tagliati in due dall’autostrada. Qualcuno si stupiva del fatto che venissero eseguiti frequenti controlli (un evento inedito in precedenza) ai pozzi artesiani presenti sulle loro proprietà, anche prima dell’apertura al traffico automobilistico del tratto autostradale. Di sicuro non cercavano solo tracce di idrocarburi nelle falde acquifere…

G.S. (agosto 2013)