La scuola torna al centro dell’agenda politica

Precariato strutturale, privatizzazione, contrattazione, meritocrazia, mobilitazioni studentesche. Molti i problematici nodi di discussione da rivisitare.

da adlcobas

 

Chi lavora nella scuola sa per esperienza che questo è il periodo in cui va a conclusione il confronto tra RSU e Dirigenza per definire il contratto integrativo d’istituto. Sono pochi denari che vanno a riconoscerel’enorme mole di lavoro non retribuito che, quotidianamente, viene erogato in tutte le scuole, da tutto il personale, dai collaboratori, dagli impiegati, dai tecnici e dagli insegnanti.

La vertenza delle pulizie nelle scuole, nel Veneto, in Puglia, ovunque dove il servizio di sanificazione e pulizia è stato appaltato a questo o quel consorzio di cooperative, che ha unito genitori e lavoratori, ha dimostrato che esternalizzare quel servizio rappresenta un costo per l’Amministrazione ben più pesante di quanto lo era, quando era svolto dal personale interno. Questo non significa che i lavoratori delle cooperative non lavorino adeguatamente, piuttosto quanto lavoro non riconosciuto sia svolto ordinariamente nelle nostre scuole e, quanto si ingrassino i boss delle cooperative.

Quest’anno i fondi a disposizione per il contratto d’istituto, già una miseria, si sono ristretti di circa un 50% perché sono stati trasferiti in un altro capitolo di spesa del bilancio MIUR per far fronte ai buchi che si sono aperti a seguito dei pateracchi sindacali sugli scatti di anzianità.

Quindi bisogna far parte del club degli inguaribili ottimisti per poter solo pensare di contrattare qualcosa, oggi, nella scuola, così come è opportuno ricordarci che non appena si è concluso il triennio di tagli a tutto il settore scuola, messi in atto dalla Moratti – Gelmini, siamo ricaduti nel vortice della spending review, che non è altro che la prosecuzione di quella impostazione con pronuncia inglese. Le stesse economie di bilancio nel settore, che dovevano essere usate per investimenti nello stesso, cioè nella scuola, hanno preso il volo e sono stati adoperati per misure tampone, per rattoppare i buchi degli scatti di anzianità, di questo e quello, in una girandola infinita, tale da perderci la testa.

Il dato politico è che i nostri governi, con una miopia testarda, hanno perseverato nella politica dei tagli, della riduzione delle risorse, del disinvestimento in tutto il settore dell’istruzione, andando, solo in ciò, contro la tendenza e le indicazioni degli altri paesi europei, dando voce a tutti quei gufi che, sui giornali e nelle tv, hanno vomitato inchiostro e fiele contro la qualità e la quantità del lavoro erogato nella scuola, monopolizzata dai figli del 68, dalle sinistre.

Intanto vengono drenate risorse alle famiglie con un aumento spropositato delle ‘tasse scolastiche’, che vengono mascherate da contributi volontari, che rimangono tali solo sulla carta: chi non mette mano al portafoglio, anche in tempi di crisi profonda, per l’istruzione dei propri figliuoli?!! Un ricatto sociale vergognoso. Accompagnato dal costante aumento del costo dei libri di testo, che, con le tecnologie a disposizione, si potrebbe facilmente calmierare e bypassare. Altro che pippe sul registro elettronico o il monitoraggio delle presenze on line.

Oggi, quando tutti compiangono le povere sorti degli insegnanti italiani, scesi nella scala sociale e in quella del riconoscimento economico e professionale rispetto a tutti i propri colleghi europei, ecco chel’imbonitore Renzi cava dal cilindro del programma di governo la centralità dell’istruzione. Ma, nei fatti, abbiamo assistito ad una giostra mediatica con le visite, di persona personalmente, come dice il Catarella della penna di Camilleri, di dubbio gusto e cattiva memoria; abbiamo sentito annunciare una somma di circa 4 miliardi per la messa a norma degli edifici: ben vengano, ma ricordandoci che assolvono a circa il7% del fabbisogno stimato a livello nazionale per mettere in sicurezza le scuole. Abbiamo visto laneoministra Giannini rilasciare interviste a raffica sulla necessità di premiare il merito e punire gli insegnanti scansafatiche, insistere sulla liberalizzazione del reclutamento, battere sulla riduzione a quattro anni dei licei con l’obiettivo di portare a 12 anni il ciclo scolastico complessivo, difendere a spada tratta le scuole paritarie e il loro finanziamento da parte dello Stato e, dulcis in fundo, ammettere che gli insegnanti sono sottopagati ma solo per colpa della mancanza di una progressione della carriera legata alle competenze da incentivare anche mediante le attività di aggiornamento.

Una scalata nella professionalità dei docenti parametrata al risultato dei quiz INVALSI delle proprie classi e scuole, nonostante tutti i bachi e le carenze, nel sistema di rilevazione, segnalati, a malincuore, anche dalla Fondazione Agnelli: il prossimo 6, 7 e 13 maggio i Cobas della Scuola hanno indetto losciopero nelle giornate di effettuazione delle rilevazioni; i coordinamenti degli studenti stanno rilanciando ilboicottaggio dei quiz. È importante sostenere queste iniziative che inceppano la trasformazione in banale meccanicistico nozionismo e che difendono la didattica, la produzione di capacità critiche, e di sapere, la cooperazione culturale, la qualità della scuola.

Sta di fatto che ora siamo nella condizione di avere un contratto scaduto nel 2009, cinque anni fa, perdurando il blocco economico imposto da tutti i governi succedutesi. Di tanto, in tanto, si ventila di unrinnovo della parte normativa, da cui, escono notizie allarmanti circa il prolungamento dell’orario di servizio, l’assunzione diretta, con un estensione nazionale del modello Aprea già in vigore in Lombardia e giù declinando. Intanto i precari rimangono trattenuti in un caravanserraglio da cui escono col contagocce, continuando ad alimentare un florido mercato di corsi di abilitazione e ricorsi ai tribunali che non sortiscono effetti se non marginalissimi. Per l’11 aprile è indetta, da parte di alcune associazioni di precari e sigle del sindacalismo di base, una giornata di sciopero e mobilitazione sui nodi di questa condizione lavorativa che, segnalata nei suoi grandi numeri [300.000] dalla relazione parlamentare del ministro Giannini, è diventata strutturale e su cui, quindi, dovrà essere ripensato un percorso di lotta non emergenziale.

Ma ritornando al punto di partenza, alle povere RSU che in tutto questo hanno smarrito, anno dopo anno, la loro funzione originaria, e a cui non rimane, quasi, più nulla da contrattare: la parte normativa è stata sottratta, ope legis, dalla legge Brunetta; quella economica si è rinsecchita come abbiamo detto; rimane la funzione di parafulmine nei ritagli sull’organizzazione interna del lavoro. Uno svilimento politico e uno svuotamento sindacale. Vale la pena farsi il sangue amaro in queste condizioni? non si potrebbe pensare a un segnale forte verso il Ministero e verso il Sindacato, al rifiuto di firmare il rinnovo del contratto d’istituto, alle dimissioni in massa da RSU?

Firminino i rappresentanti sindacali territoriali la miseria del contratto, si assumano loro la responsabilità della incresciosa realtà a cui ci hanno condotto, rifiutiamoci di continuare a svolgere la funzione della foglia di fico. È giunto il momento di fermarci e di ripensare, sindacalmente e politicamente, a quello che, nostro malgrado, facciamo.

Giuseppe Zambon

ADL cobas