In vista della manifestazione di sabato 5 novembre a Mason, pubblichiamo alcuni approfondimenti sul tema delle autostrade e dello sviluppo

UNO
A partire dagli anni sessanta del secolo scorso c’è stato, in Italia, un modello di sviluppo basato sull’espansione continua dell’economia ed in particolare dell’industria. Si produceva di più, per esportare di più ed acquistare di più in modo da poter produrre di più per poter acquistare di più ed esportare di più. Si è ragionato come se l’iterazione di questo ciclo potesse perpetuarsi all’infinito. Sull’altare dell’industrializzazione (ossia della disponibilità di grandi quantità di beni consumabili) sono stati sacrificati, come minimo, la qualità dell’ambiente, del territorio, ma anche della vita e delle relazioni umane e sociali. In quel periodo, le infrastrutture, sono state un aspetto importante e sottovalutato da parte di chi avrebbe dovuto pianificare lo sviluppo del paese. Infatti tra gli anni 60 e 80 sono state realizzate le principali infrastrutture (autostrade, ammodernamento delle ferrovie, elettrodotti, linee telefoniche ) che tuttora attraversano il nostro paese, senza però che dietro di esse ci fosse un disegno organico proiettato verso un futuro a media-lunga distanza temporale. Spesso l’infrastruttura è arrivata in ritardo rispetto alla struttura alla quale avrebbe dovuto erogare servizio, altre volte non è mai arrivata. In altre parole e semplificando al massimo, la mancanza di pianificazione ha fatto si che prima nascessero le fabbriche e poi le strade per collegare le fabbriche al territorio. Se vogliamo declinare quanto detto sopra nella realtà veneta, dobbiamo partire da due evidenze: a) la galassia di capannoni ed edifici industriali più o meno grandi spuntati come funghi nel veneto per almeno 30 anni (parzialmente attenuatasi negli utlimi dieci); b) la costellazione di centri logistici ma soprattutto commerciali e direzionali cresciuti negli utlimi dieci anni e tuttora in espansione. Tutti questi agglomerati sono affogati nel territorio senza collegamento tra loro e senza un piano logico che non sia quello della mera speculazione edilizia.

DUE
Qesto modello di sviluppo del territorio, ha generato un progressivo intasamento delle vecchie strade che collegavano i piccoli e medi centri attorno e dentro ai quali sono stati costruiti gli edifici di cui sopra: il traffico generato dallo spostamento di merci e dall’indotto delle attività industriali, artigianali e commercial , ha trovato sbocco su strade concepite in altri periodi e destinate a supportare un traffico più ridotto e di altra natura. Da qui nasce la famosa frase che ci sentiamo ripetere come un mantra ad ogni piè sospinto : “le strade le ghe vole”. Questa frase ce la sentiamo ripetere sempre da chi in quegli anni e su quel modello ha fondato il proprio “benessere”. Si tratta in genere di persone di una certa età che pensano che il modello che loro conoscono sia l’unico proponibile e realizzabile e che ad esso non vi sia alternativa.

TRE
Noi partiamo da un altro punto di vista. Noi pensiamo che occorra pensare tutto il territorio come una grande risorsa da non saccheggiare e violentare con ulteriore asfalto e cemento. La globalizzazione dei mercati che è in atto da almeno dieci anni e la crisi di sistema che attraversiamo dal 2007 ci dovrebbe far capire che il futuro non è più nella crescita illimitata, ma nella ricerca di alternative rispettose del pianeta e delle generazioni che stanno crescendo e che verranno dopo di noi. Noi non torneremo ad essere la Cina d’Europa. Chi produceva merci dozzinali che non hanno bisogno di tecnologia e di manodopera altamente qualificata, ha già da tempo delocalizzato all’estero. Noi dobbiamo tornare a fare due cose: a)quello che sapevamo fare prima dello sviluppo industriale, ossia agricoltura tipica e di qualità b) quello che alcuni (quelli che non hanno delocalizzato) hanno imparato a fare durante lo sviluppo industriale, ossia manufatti di altissima qualità.

QUATTRO
In questo contesto, col calo di merci circolanti e conseguentemente del traffico, la costruzione di nuove autostrade, oltre a sottrarre risorse economiche pubbliche a tutti noi (nonché strade pubbliche che vengono regalate ai privati come aad esempio la S.P. 111 Gasparona Nuova), è evidentemente inutile e dannosa per il bene comune, ma invece molto utile a chi dalla costruzione e gestione delle stesse trae vantaggio e a chi può disporre dei terreni adiacenti. Oggi la tendenza è di sostituire le strade gratuite con autostrade a pagamento costruite col metodo del progetto di finanza che apparentemente fa pagare al privato i costi per la realizzazione, ma che in realtà pesa sulla comunità e sul singolo cittadino sia che esso fruisca dell’opera finita, sia che non ne fruisca. E’ un fatto risaputo che chi utilizza l’autostrada, paga il pedaggio. E’ meno risaputo invece, che anche chi non la utilizza paga. Per la precisione, nel caso della A.P.V. il cittadino che non la utilizza paga dapprima la quota con la quale il soggetto pubblico (ossia la regione) finanzia l’opera (una parte del costo totale), e successivamente paga i finanziamenti erogati dall’ente pubblico al concessionario (la società che costruisce e gestisce l’opera in concessione) con meccanismi meno evidenti , in caso i flussi di traffico siano inadeguati a garantire le entrate minime al privato. Infatti, se i flussi di traffico saranno inferiori ai 24.000 veicoli al giorno, la Regione Veneto interverrà con denari propri (ossia pubblici, ossia nostri) ed erogherà un contributo pari a 14 milioni di euro anui (per 39 anni), fino al raggiungimento della soglia dei 40.000 veicoli al giorno. I calcoli effettuati ci dicono che dei 2 miliardi e mezzo di euro di costo dell’autostrada, la regione pagherà un miliardo di euro (di cui una parte attualmente fuori bilancio) , mentre il rimanente lo pagheremo noi atraveso i pedaggi. Il rischio d’impresa (caposaldo del sistema liberale e liberista) per il privato concessionario è pari a zero.

CINQUE
Il progetto che avrebbe dovuto alleggerire il tratto pedemontano tra Bassanoe Treviso, è diventato una grande opera lunga 94 km a 6 corsie più complanari una galleria di quasi 7 km a doppia canna (in Europa, l’unica galleria a doppia canna più lunga è il traforo del Gran Sasso) lungo i quali correrà la Pedemontana Veneta, vi sono 17 aree (quelle attorno ai caselli) ognuna di 12.500.000 mq (per un totale di oltre 200 milioni di mq) che sono sottratte alla pianificazione locale e sono demandate alla pianificazione della sola giunta regionale attraverso i cosiddetti progetti strategici (art. 38 norme tecniche di attuazione del PTRC) In questi territori potrebbero nascere ulteriori poli logistici e centri commerciali senza che le popolazioni locali possano dire la propria opinione. Alcuni tentativi ci sono già stati ad esempio a Breganze con la vicenda Pengo. Potrebbe essere la Autostrada Pedemontana Veneta un altro modo di fare speculazione, visto che il terreno agricolo è sempre più scarso e il terreno costruito sempre di più, e ciononostante ancora il terreno agricolo vale meno del terreno costruito e inutilizzato? Quello che la risposta evoca, dovrebbe farci paura.

SEI
E proprio per vincere questa paura, noi dobbiamo porporre l’alternativa, ossia una visione diversa del futuro e dei modelli di vita. Possiamo immaginare un modello di sviluppo e di mobilità alternativo, dove la grossa parte delle merci viaggiano su rotaia e su acqua, dove la banda larga permette ai lavoratori della conoscenza di lavorare da casa propria almeno tre giorni su cinque, dove non si mangiano le ciliegie in inverno facendole arrivare dall’altro lato del pianeta, ma si aspetta la stagione giusta per mangiarle, dove si tende al km zero non solo per l’agricoltura ma anche per il manifatturiero, dove non si comperano tre telefonini all’anno e così via. La lettura della realtà, oggi ci dice che questa è la strada da imboccare. Quelle di asfalto non ci porteranno da nessuna parte.

Comitato Difesa Salute e Territorio Altovicentino-Malo-Valle Agno -Bassano
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