Dodicidicembre
Nella giornata di sciopero generale dalla parte delle piazze precarie e indipendenti
Venerdì 12 dicembre sarà il giorno dello sciopero generale. La CGIL lo aveva osato, timidamente e in solitudine, contro il Governo Berlusconi: quattro tristi e inutili ore nel maggio del 2011; coinvolta obtorto collo nella mobilitazione Ces del novembre 2012, lo ha poi messo completamente da parte nei confronti della macelleria sociale operata dal Governo Monti – do you remember legge Fornero? – quanto dal Governo Letta.
Lo sciopero generale è contro il Jobs Act? Sì nella forma, ma non nella sostanza, poiché la riforma renziana si limita a consolidare, strutturare e formalizzare ciò che già c’è, ovvero la precarietà come forma di sfruttamento generalizzato nei confronti della forza-lavoro, e ciò che già c’è, a partire dal pacchetto Treu fino ai giorni nostri, è stato tutto concordato, gestito e applicato con la complicità delle grandi confederazioni sindacali.
Venerdì 12 dicembre, la CGIL sciopera contro la fine della concertazione imposta dal Governo Renzi, ritrovandosi così a dover maneggiare uno strumento, quello del conflitto, che non conosce più e di cui vorrebbe utilizzare solo il fantasma per recuperare il proprio ruolo di mediazione sociale e di referente privilegiato delle politiche concertative.
Lo sciopero generale però non lo ha solo imposto il “convitato della Leopolda” in ossequio ai dettami dell’Unione Europea, ma, dall’altro lato della barricata, ancora di più lo hanno invocato a gran voce tutti quei lavoratori del pubblico impiego che da anni vedono i propri contratti bloccati, quegli operai cassaintegrati dalle ristrutturazioni aziendali, quegli studenti che della scuola ormai vedono solo le crepe di infrastrutture fatiscenti in classi pollaio, quei precari e quei disoccupati su cui si esercita quotidianamente quello sfruttamento e quel ricatto chiamato lavoro.
Tra questi ci siamo anche noi. Ecco perché chiunque miri a rovesciare “lo stato di cose presente”, non può che attraversare in maniera conflittuale ed autonoma quella giornata di sciopero.
Esserci non per comunicare, ma per cospirare insieme a tutte quelle figure sociali che scenderanno in piazza perché il welfare è stato demolito, i salari sono da fame, gli affitti alle stelle e le povertà – economiche, sociali e culturali – aumentano, e con esse aumenta quell’insicurezza sociale su cui le destre xenofobe stanno costruendo un pericoloso blocco sociale.
Esserci perché il Jobs Act insieme alle leggi fiscali, alla “buona scuola” e allo “sblocca Italia”, esprimono in termini compiuti l’attacco alle vite, ai diritti e ai territori.
Esserci per riprenderci lo sciopero, sottraendolo alla sua dimensione simbolica e testimoniale, riportandolo ad essere ciò che è; uno strumento atto a far male ai padroni, tramite il blocco e il sabotaggio della produzione e del profitto.
Esserci perchè ogni evento che attraversa l’esistenza di milioni di lavoratori e precari è, a prescindere da noi, parte della storia materiale della nostra quotidianità e dei nostri territori, quella stessa storia che non riusciamo mai a guardare dalla finestra ma che ci impone sempre di interrogarci sulle modalità attraverso le quali esserne parte attiva, conflittuale ed autonoma.
Esserci perché non abbiamo nulla da difendere, ma tutto da conquistare, a partire da un reddito sociale e da un salario minimo europeo. Sì, europeo, perché l’Europa – e non la U.E. – è lo spazio politico minimo in cui ricostruire cittadinanza, partecipazione e diritti. Questo andremo a dire il 18 marzo a Francoforte, quando le élite capitalistiche si riuniranno per festeggiare il nuovo grattacielo della BCE, e il 1 maggio a Milano, quando quel paradigma dello sfruttamento chiamato Expo2015, aprirà i battenti.
Esserci perché il passato e le sue sovrastrutture ormai sono una terra desolata e straniera.
Abbiamo solo un presente da sovvertire e un futuro da conquistare.