Si potrebbero ottenere 800 milioni di euro.  Eliminare l’esenzione dal pagamento dell’Ici, anzi dell’Imu, per gli immobili di proprietà ecclesiastica? «È una questione che non ci siamo ancora posti», ha ammesso il premier Mario Monti presentando la manovra «salva Italia», ma che bisognerebbe chiamare anche «salva Chiesa». «Non abbiamo avuto il tempo di pensarci», gli ha fatto eco il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Catricalà. Del resto era prevedibile che in un Consiglio dei ministri dove siedono, fra gli altri, il rettore dell’università Cattolica di Milano nonché vicepresidente del Consiglio di amministrazione del quotidiano dei vescovi Avvenire, Lorenzo Ornaghi, e il fondatore della Comunità di sant’Egidio, Andrea Riccardi, la priorità non sarebbe stata l’abolizione dell’esenzione. E così gli immobili di proprietà ecclesiastica (e degli enti «senza fini di lucro») continueranno a non pagare tasse per una cifra che, secondo i calcoli dell’Anci, si aggirerà – considerando anche la rivalutazione al 60% degli estimi catastali – attorno agli 800 milioni di euro l’anno. Un privilegio che ora, con l’imposta che graverà anche sulla prima casa, in precedenza esclusa, risulta ancora più intollerabile.

Il patrimonio immobiliare della Chiesa cattolica, attraverso una miriade di enti, diocesi, istituti religiosi, confraternite, è enorme: il Gruppo Re – che non è un’associazione anticlericale ma una società finanziaria nata a metà anni ’80 «al servizio della Chiesa cattolica» – calcola che sia pari al 20 per cento del patrimonio immobiliare italiano. Solo a Roma il radicale Maurizio Turco ha contato 23mila immobili di proprietà di 2mila enti ecclesiastici, alcuni appositamente creati per mimetizzarli meglio: la Congregazione vaticana per l’evangelizzazione dei popoli, più nota come Propaganda Fide, con sede in piazza di Spagna, per esempio, utilizza 48 diverse denominazioni sociali per coprire le sue proprietà. Il sindaco Alemanno ha valutato che il Comune, a causa dell’esenzione, non incassa 25 milioni di euro l’anno.

Non tutti gli immobili ecclesiastici sono esenti dal pagamento, ma quasi. All’esenzione tombale introdotta da Berlusconi nel 2005 – anche per neutralizzare l’effetto di una sentenza della Corte di cassazione che aveva dato torto a un istituto di suore dell’Aquila che non versava l’Ici nonostante la casa di cura e il pensionato per studentesse che gestivano fossero a tutti gli effetti attività commerciali -, Prodi e Bersani l’anno dopo precisarono che gli immobili continuavano a essere esenti purché non avessero «esclusivamente» natura commerciale. Con l’avverbio «esclusivamente», un po’ di pulizia è stata fatta – sempre Alemanno, a marzo, ha detto che in 5 anni sono stati recuperati oltre 10 milioni di euro illecitamente non pagati dagli enti ecclesiastici – ma tanta ne resta ancora da fare. E l’Europa sta ancora indagando, in seguito a un ricorso dei radicali: deve accertare se la legge italiana è contraria alle direttive comunitarie sulla concorrenza, la sentenza è attesa per giugno.

L’ambiguità della normativa resta, e i margini di manovra rimangono ampi, come dimostra il trucchetto messo in atto dalla stessa Cei lo scorso anno, documentato dall’agenzia Adista: la proprietà del mega complesso immobiliare romano in via Aurelia 796, dove hanno sede alcuni organismi di solidarietà della Cei, come Caritas e Fondazione Migrantes, ma anche la televisione e la radio dei vescovi (Tv2000 e Radio InBlu), è passata dall’Immobiliare aurelia sostentamento srl – organismo commerciale controllato dall’Istituto centrale per il sostentamento del clero -, alla Fondazione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, controllata direttamente dalla Cei e proprietaria anche della maggioranza di Avvenire. La Fondazione è ente ecclesiastico senza scopo di lucro, e questo consente alla Cei un risparmio fiscale, non solo dell’Ici, di 2 milioni e 700mila euro l’anno, spiegò allora il segretario della Cei mons. Crociata, precisando che l’operazione è «in piena conformità con le norme vigenti» e «con i permessi autorizzativi e di destinazione d’uso rilasciati dal comune di Roma». Insomma tutto regolare.

Fonte: il manifesto | Autore: Luca Kocci