Nel secondo incontro sui femminismi ci siamo occupatə di autrici che hanno ragionato sulla connessione sistemica tra patriarcato e capitalismo, opponendo una dura critica al sistema in cui ci troviamo. 

Di SILVIA FEDERICI abbiamo discusso la distinzione tra lavoro produttivo (maschilizzato e retribuito) e lavoro riproduttivo (femminilizzato, svalutato e non monetizzato). Tale distinzione è funzionale al capitalismo, nella misura in cui esso si poggia esattamente sulla gratuità del lavoro riproduttivo (cura di bambinə e anzianə, gestione della casa). A tal proposito scrive: “Dietro ogni lavoro di fabbrica, scuola, ufficio o miniera c’è il lavoro nascosto di milioni di donne che hanno consumato la propria vita e il proprio lavoro per produrre e riprodurre la forza lavoro occupata in queste fabbriche, scuole, uffici o miniere”.
Ma com’è potuto avvenire ciò? Come costringere le donne al ruolo di angeli del focolare? Secondo Federici è stato necessario un processo che parallelamente ha dequalificato il lavoro riproduttivo e di cura, e costruito le donne come soggetti atti a svolgerlo, come angeli del focolare. Ciò è avvenuto tramite la caccia alle streghe, tassello fondamentale (unito alle enclosures) dell’affermazione del capitalismo. In Calibano e la Strega (2004) Federici individua il tentativo da parte del capitalismo nascente di eliminare tutte le possibili devianze rispetto alla norma che voleva imporre: la strega è la donna sessualmente libera, con conoscenze proprie (es. erbe medicinali) che le conferiscono dignità e autorevolezza. In questo si inserisce la critica di Federici alla teoria di Marx rispetto all’accumulazione del capitale, che egli aveva individuato come corrispondente all’espropriazione delle terre ai contadini, ma che per Federici si afferma anche sui corpi delle donne.
Una possibile via per svincolarci dalle pretese del capitalismo ci viene da Reincantare il mondo. Femminismo e politica dei commons, nel quale Federici descrive la possibilità di costruzione di una società egalitaria, basata sulla gestione comune dei beni (come la terra e l’acqua): una gestione orientata in senso anticapitalista e femminista.

Un’altra stoccata durissima al sistema capitalistico in cui viviamo, e parallelamente al “femminismo” che vi si adegua, arriva da EMMA GOLDMAN: pensatrice anarchica che vive a cavallo tra ‘800 e ‘900, nata nell’impero zarista ma trasferitasi negli Stati Uniti. Nella sua elaborazione riesce sempre a sfuggire ad una visione standardizzata e restrittiva: “Rinunciare all’amore, alla sessualità e a tutti i valori tradizionalmente associati alla femminilità in nome di una presunta emancipazione significa al contempo trasformarsi in detective morali, in carceriere dello spirito umano, tutti ruoli che imprigionano le donne fra i poli opposti, ma speculari, delle “sante” o delle “meretrici”. In tal senso si ha una rivendicazione dell’amore libero, cui si collega una profonda riflessione sulla prostituzione. Quest’ultima secondo Goldman è problematica non tanto in base ad un giudizio moralista e vittoriano, quanto piuttosto perchè si tratta di lavoro sfruttato: nella prostituzione, come nel matrimonio, Goldman individua il vertice di istituzioni oppressive che costringono le donne a legarsi ad uno o più uomini per sopravvivere: Il passaggio successivo che Goldman compie è chiedersi quale sia la causa ultima dello sfruttamento delle donne “non solo delle bianche, ma anche delle gialle e delle nere. Lo sfruttamento, è chiaro; lo spietato Moloch del capitalismo che si ingrassa di lavoro sottopagato, spingendo migliaia di donne e ragazze alla prostituzione”. Si arriva dunque ad una durissima critica anticapitalista, ma anche ad una riflessione su come venga normata la sessualità femminile: Goldman sostiene che la donna è “oversexed“, completamente identificata con il suo sesso, ma allo stesso tempo assolutamente ignorante (più tardi MacKinnon scriverà “La sessualità è per il femminismo quello che il lavoro è per il marxismo: la cosa che più ci appartiene e più ci è sottratta”). 

Altrettanto dura nella critica del sistema è un’altra donna: HE ZHEN, anche lei anarchica, che vive però nell’800 tra Cina e Giappone. La sua riflessione si concentra in particolare sullo Stato e su come il femminismo dovrebbe porsi rispetto a questo tipo di esercizio del potere:In questo ci può ricordare le parole di Peggy Kornegger “Femminismo non significa né donne capitaliste né donne presidenti: significa nessun sopruso aziendale e nessun presidente“.

He Zhen, Goldman e Federici ci indicano la strada verso un femminismo che sappia essere anticapitalista e sappia interrogarsi in modo critico ad ogni forma di potere. Quello che possiamo trarre dai loro ragionamenti è un potente antidoto contro la possibilità che il femminismo si trasformi in mero elitismo o, peggio ancora, si coniughi con una visione liberista. In un’epoca in cui l’elezione di una donna alla carica di presidente è spesso presentata come una liberazione per tutte le donne e in cui il “femminismo” stesso rischia di trasformarsi solo ed esclusivamente in un marchio alla moda, il messaggio fondamentale delle anarcafemministe del passato diventa più urgente che mai: “Femminismo” non significa né donne capitaliste né donne presidenti: significa nessun sopruso aziendale e nessun presidente. In tal senso il femminismo si configura come una pratica che mira non ad ottenere per le donne pari diritti rispetto agli uomini, ma piuttosto a sovvertire alla base un sistema che si basa su disparità di potere.
Contro una gestione centralizzata del potere queste autrici propongono delle modalità collaborative e condivise, che mettono al centro un reinventato concetto di cura (delle altre persone, di noi stessx ma anche della natura).


CONSIGLI DI LETTURA…

  • Calibano e la Strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Silvia Federici
  • Reincantare il mondo. Femminismo e politica dei Commons, Silvia Federici
  • Living my life, Emma Goldman
  • Femminismo e anarchia, Emma Goldman

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