NON SONO FORSE UNA DONNA IO?

“Non mi ha aiutata mai nessuno a salire su una carrozza e nessuno mi ha mai offerto un posto speciale. […] Guardate le mie braccia! Ho lavorato nelle piantagioni ed ho coltivato i campi mettendo il fieno nei fienili e nessun uomo mi ha mai aiutata! […] Ho dato alla luce tredici bambini e visto la maggior parte di loro essere venduti come schiavi […]”.
Convegno per i diritti delle donne, Ohio, 1851

È con questa domanda che Sojourner Truth – predicatrice nera, nata schiava in America ad inizio ‘800- irrompe nel femminismo bianco e borghese degli Stati Uniti di metà Ottocento, scuotendo dalle fondamenta un concetto di donna costruito in maniera monolitica, senza tenere conto delle differenze materiali che dividono le donne secondo la linea del colore, dell’orientamento sessuale, della classe ecc. 
È una frattura netta, che verrà ampliata ed elaborata da pensatrici successive, le quali intrecceranno la linea del sesso e la linea del colore innalzando il singolare collettivo ‘donna’ a concetto che possa far luce su tutti gli angoli bui, dar voce a tuttə lə oppressə, facendo del femminismo una pratica di liberazione universale.

Un secolo più tardi è ANGELA DAVIS ad inoltrarsi negli spazi di possibilità aperti da Sojourner Truth; da militante delle Black Panther e professoressa, nel 1981 scrive il libro Donna, razza e classe, nel quale legge in ottica di genere la vita dell* schiav*, intrecciando così la lotta femminista con quella antirazzista. Osserva come nel contesto della schiavitù i bianchi abbiano “trasformato un uguaglianza negativa in un uguaglianza
positiva”, per sottolineare come di fronte alla frusta e allo sfruttamento fossero tutt* uguali; ciò non toglie che le nere fossero soggette ad un ulteriore livello di violenza, per quanto riguarda gli abusi sessuali e l’obbligo di fungere da “allevatrici”.

Nello stesso anno bell hooks
pubblica il suo primo libro, Ain’t I a woman?, nel quale riprende e approfondisce il ragionamento portato da Sojourner Truth. Analizza la condizione della donna nera e giunge alla conclusione che essa vive su di sé violenze e oppressioni di matrici diverse, che si articolano in quello che lei chiama patriarcato capitalista suprematista bianco. Tale sistema istituisce gerarchie, nelle quali la donna nera si trova sempre al margine, ed è proprio questa condizione di marginalità che hooks rivendica come ‘spazio radicale di possibilità’, come luogo dal quale si possono meglio osservare e quindi comprendere i meccanismi della società (in particolare di quella americana a lei contemporanea). È l’esperienza di questa identità impossibile che ai suoi occhi squalifica ogni storia della schiavitù e del razzismo che non dia conto del sessismo, e ogni teoria femminista che non si misuri con il problema della razza. Così parlando hooks si pone in contrasto non solo con il femminismo bianco della sua epoca, ma anche con il movimento antirazzista che in quegli anni “cercava di combattere gli stereotipi razziali rafforzando invece quelli sessisti”.

Quasi in risposta alla parzialità tanto dei movimenti antirazzisti quanto di quelli femministi, negli anni ’70 in America viene costituito il COMBAHEE RIVER COLLECTIVE, formato da donne nere, lesbiche e non, tutte lavoratrici. Nel suo Statement del 1977, il collettivo inaugura la politica dell’identità, sostenendo che “la più profonda e potenzialmente più radicale politica emerga direttamente dalla nostra identità, in contrapposizione all’idea di lavorare per porre fine all’oppressione di qualcun altro“. 

Per dare un nome a questo complesso meccanismo che varie donne nere -da Sojourner Truth, al Combahee River Collective, a bell hooks e Angela Davis- hanno svelato, è necessario aspettare il 1989, quando la giurista KIMBERLE’ CRENSHAW conia il termine INTERSEZIONALITÀ. Il contesto è quello del processo intentato contro la General Motors da cinque donne nere licenziate nel 1976, che accusavano la fabbrica di discriminazione razziale e sessuale; la corte respinge l’accusa ma ciò non impedisce a Crenshaw di ragionare sul caso. Il termine intersezionalità sta dunque ad indicare quella lente che ci permette di capire come il potere si esprime sui diversi soggetti, intrecciandosi, sovrapponendosi e venendo a collisione. Uno sguardo intersezionale porta a vedere le diverse oppressioni non come una sommatoria ma come piani che si intrecciano e che come tali vanno affrontati.


La ricchezza che possiamo cogliere dalla comprensione di questo termine e dalle autrici che hanno portato alla sua produzione sta nel assumere il femminismo come prassi di liberazione globale e nel concetto di donna un singolare collettivo nel quale possono trovare spazio tutte le differenze

QUALCHE CONSIGLIO DI LETTURA…

  • Sister Outsider, Audre Lorde
  • D’amore e di lotta. Poesie scelte, a cura di Women in Translation
  • Non sono una donna io. Donne nere e femminismo, bell hooks
  • Elogio del margine, bell hooks
  • Donne Razza e Classe, Angela Davis

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