Uno sciopero del mondo della scuola che ha superato la sua stessa convocazione

da Globalproject

 

Chi l’avrebbe mai pensato? Uno sciopero del comparto scuola con un’altissima adesione e cortei in 10 città italiane. Una data di mobilitazione lanciata senza tantissimo preavviso, che visto la convergenza delle sigle sindacali più variegate – dai confederali fino ai Cobas. Sotto la scure dell’ennesima riforma sulla scuola, il corpo docente, gli studenti ed i lavoratori del mondo della formazione hanno manifestato il proprio dissenso, in faccia al “democratico” Renzi che ha sostenuto di aver avviato in autunno una fase consultiva per la stesura del testo della “Buona Scuola”. Evidentemente, la falsa apertura al dialogo non è servita per nascondere un progetto autoritario  – come,del resto, hanno dimostrato le cariche di domenica pomeriggio a Bologna -, su cui non è possibile avviare un dibattito parlamentare: non è un caso che Renzi abbia posto la fiducia alla Camera sul disegno di legge, giusto per silenziare le già traballanti minoranze interne al partito.

Lo spirito innovativo della manovra, lo sblocco di esigui posti per la stabilizzazione dei precari, non sono bastati per annichilire una fermentazione che da questo autunno stava iniziando visibilmente a muoversi sia tra gli studenti che tra i docenti. Sebbene la riforma riguardi principalmente l’amministrazione scolastica, l’assunzione e l’avanzamento di carriera dei docenti, la sinergia dell’intero corpo sociale della scuola non è mancata. A conferma di un progetto complessivo di disciplinamento (competizione, meritocrazia), precarizzazione (con le facoltà di giudizio del preside-manager, intensificazione degli stage e tirocini) che si vuole affermare fin dall’età della formazione secondaria, le piazze del 5 maggio sono state costruite su di una piattaforma comune. La stessa piattaforma che, in tutta continuità, ha animato uno scambio nell’opposizione al Jobs Act e alle grandi opere inutili in moltissimi territori durante l’autunno.

Certo, la giusta indizione dello sciopero da parte dei sindacati ha favorito la partecipazione e l’allargamento di questa giornata; ma senza la mobilitazione delle realtà autorganizzate o non riconducibili al mondo sindacale si sarebbe persa la massificazione della sua portata. Le persone stanche e sfiduciate dell’incapacità dei confederali di rispondere alle esigenze della scuola o alla questione della precarietà, patologica da circa un decennio, hanno organizzato degli appelli autoconvocati per attraversare i cortei già chiamati oppure per lanciare vere e proprie manifestazioni autonome. Nel Nord-Est, a Padova come a Trento, migliaia di manifestanti hanno dato vita a cortei partecipatissimi senza aver bisogno delle sigle sindacali tradizionali e affermando la centralità del territorio, su cui le riforme nazionali agiscono di concerto a situazioni locali diversificate che vanno dall’edilizia scolastica agli interventi di ciascun provveditorato. Non è un caso che proprio in queste due città si siano aperti questi spazi: laddove esistono realtà politiche che vivono e stanno a contatto con una base sociale di riferimento, non è difficile cogliere la costellazione giusta per attivare la mobilitazione ed avere la forza per portarla avanti in modo indipendente. Una vera e propria riappropriazione dello sciopero, al di là di qualsiasi cappello sotto l’egida dei sindacati confederali, colpevoli per anni della concertazione politica e dell’immobilismo.

Essere inseriti nei propri contesti è essenziale per comprenderne le tendenze, saper sfruttare gli strumenti che possono provenire da altri e volgerli verso una direzione politica che abbia la capacità di coinvolgimento: non basta essere “soggetti inchiestanti”, cioè osservatori esterni che partono da una posizione di alterità netta e identitaria rispetto a ciò che si muove di fronte a loro. Un tale punto di vista non è in grado di vedere l’eccedenza di oggi, che ha travalicato i paletti della convocazione sindacale, o peggio la confonde con altro.

Per questo il 5 maggio guarda ai giorni successivi di sciopero nelle scuole primarie e al 12, durante il quale gli studenti reagiranno agli inutili e omologanti standard delle prove Invalsi con un boicottaggio di massa. E’ stato un primo momento che ha iniziato a scandire un possibile ritmo – ancora da comporre bene, da scrivere, da suonare su certe note e non su altre – per il mondo della scuola. L’inizio ha comunque avuto una risonanza che non si vedeva dall’Onda del 2008.