Tratto da Micromega

Il vuoto del blocco sociale e l’alternativa che non c’è

di Antonio Musella

 10 / 5 / 2012

Le elezioni amministrative ci hanno regalato un quadro politico tutto sommato pronosticabile. Certo la dimensione del boom dei consensi dei grillini ed un Pdl ridotto al di sotto delle due cifre, probabilmente stupiscono su una tendenza che restava prevedibile.
Un quadro che da un lato ci conferma un dato, confortato anche dalla dimensione territoriale delle amministrative, quello della volontà dei cittadini di recarsi alle urne e di esercitare il diritto di voto. Come spesso si è sottolineato questo resta un dato ineluttabile. Lo tsunami astensionista non c’è stato, ed il dato del non voto resta sui livelli standard.
Il sentimento di rigetto per i partiti decotti e commissariati dalle banche e dalla troika provoca il dilagare dei consensi del M5S.

Fiumi di inchiostro in questi giorni si spendono sull’analisi del voto e tutte, da una prospettiva o dall’altra, restano ancorate al dibattito intorno al voto verso il movimento del comico Beppe Grillo. Fiumi di inchiostro utili, in una fase, come quella che viviamo nel paese, dove le analisi non sono mai sufficienti e l’estendersi degli interrogativi giova più delle ricette pronte.

Senza dubbio, non si possono che sottolineare due aspetti che riguardano il senso politico del risultato del M5S. Da un lato, come il sentimento di indignazione non trovi sbocco in una idea complessiva di società alternativa, ma nella pericolosa approssimazione politica di Grillo, che sembra puntare ad una pancia del paese a cui viene fornita una propaganda che sembra legata più al marketing che ad una idea alternativa del sistema paese. Una critica feroce alla dimensione dello Stato-Mafia che non si accompagna per nulla ad una idea di modello sociale. Dall’altro, questo fenomeno porta, come sottolinea Giuliano Santoro su Micromega, ad una riaffermazione di quel sistema partitico screditato e rappresentativo solo di se stesso oltre che di alcuni interessi particolari. Gli umori di Napolitano e D’Alema su questo, sembrano essere una cartina di tornasole. L’irritazione suscitata dall’affermazione del M5S non è solo nei volti dell’ancién regime, ma rischia di tramutarsi anche in un sentimento più generalizzato.

Ma se da un lato il partito di Berlusconi è ormai alla deriva e dall’altro si afferma il populismo demagogico di un comico, viene da chiedersi qual è l’elemento del tutto assente dalla scena. Resta, inesorabilmente, quello dell’assenza di un blocco sociale capace di esprimere un modello alternativo di società. Un blocco sociale che tramuti in discorso politico complessivo la miriade di focolai di conflitto che pure esistono nel paese. Uno spazio pubblico, sociale e politico, in grado di guardare ad una uscita dalla crisi fuori dal populismo, dal nazionalismo xenofobo (come in Grecia e Francia) e dall’ineluttabilità della dittatura finanziaria.

I partiti della sinistra sono evidentemente insufficienti o poco credibili. Oppure privi di connessione con un blocco sociale che a sua volta stenta a definirsi. I risultati per nulla esaltanti di Sinistra Ecologia e Libertà e quelli mortificanti della Federazione della Sinistra ne sono la testimonianza. La stessa Italia dei Valori, fatto salvo il particolarissimo dato di Leoluca Orlando a Palermo, sembra essere ritornata al suo peso elettorale originario fermando il trend di ascesa. Non saranno certo questi partiti, visto lo stato dell’arte, a poter interpretare il malessere diffuso di un paese dove ci si spara alla testa per una cartella esattoriale di Equitalia, a testimonianza di come la solitudine sia prevalente rispetto al comune, di come l’assenza di una parte sociale con cui identificarsi resta una realtà che assume toni drammatici.

Non è il tempo della demagogia, così come non è quello della mitezza. Davanti alla drammaticità quotidiana della crisi non si può pensare che la sola idea di buon governo possa di per sé essere salvifica. Non basta. Non serve. E’ roba vecchia. E’ difficile pesare chi, a sinistra, in questa competizione amministrativa non c’era ed invece ambisce a misurarsi con le politiche del 2013, ma resta sul campo l’assenza complessiva di un legame tra un blocco sociale fatto delle lotte del mondo del lavoro e di quelli che il lavoro non ce l’hanno. Un legame vero e non costruito sulle dichiarazioni ad affetto e qualche passerella nelle manifestazioni.

In molti si sono soffermati come detto sul M5S, oppure sull’analisi dei flussi elettorali a Genova, Verona, Palermo, Parma, diventate per un giorno il centro del paese. Le amministrative restano comunque un test elettorale che deve tener conto dei territori.

Ed allora vale la pena di parlare di un altro comune dove si è votato ed a cui pochi hanno prestato attenzione. E’ una città che circa 3 anni fa è stata distrutta. Non dal malgoverno e dalla corruzione. Quelli sono arrivati dopo. L’Aquila è stata distrutta da un terremoto devastante che ha causato la morte di oltre 300 persone e la distruzione dell’intera città. In questi tre anni la crisi economica, l’assenza di case, il ritorno della pressione fiscale hanno fatto sprofondare nell’abisso una città già devastata dal terremoto. Gli scandali della cricca sul progetto c.a.s.e., gli affari di Bertolaso e degli imprenditori che alle 3 e 32 del 6 aprile del 2009 se la ridevano pensando ai soldi della ricostruzione, hanno ridotto ai minimi termini la credibilità del centro destra.

Massimo Cialente, sindaco uscente del centro sinistra, è stato costretto al ballottaggio. La coalizione “Appello per l’Aquila”, con in lista gli attivisti dei comitati aquilani del post terremoto, che in questi anni hanno prodotto esperienze importanti dal Comitato 3 e 32 all’occupazione delle Case Matte, hanno raccolto il 5% dei consensi con una coalizione fuori dal centro sinistra fatta di due liste civiche. Ettore De Cesare, attivista dei comitati e candidato sindaco, entrerà in consiglio comunale.

Ecco la dimostrazione di come, in una esperienza legata comunque ai territori come quella delle elezioni amministrative, la costruzione di un blocco sociale sia assolutamente indispensabile, non solo per catalizzare il voto di chi oggi esprime rigetto per il sistema dei partiti, ma anche per chi invece vuole misurarsi con una idea di alternativa che proprio sui territori è un dato di grande concretezza e poca astrazione. “Appello per l’Aquila” si è affermato senza avere nessun famosissimo comico a suo sostegno, senza nessun imprenditore illuminato della comunicazione alle spalle, senza nessuna invettiva demagogica da raccontare ai cittadini aquilani, senza nessuna rigurgito giustizialista, semplicemente raccogliendo quello che in questi anni si è seminato in un blocco sociale che oggi vuole una città diversa.

L’esempio de L’Aquila ci dice come proprio la formazione di un blocco sociale, culturale e politico sia la centralità su cui oggi devono muoversi i movimenti, i sindacati conflittuali, le espressioni di conflitto sociale nel paese.
Davanti alla violenza della crisi non ci si può aspettare né mitezza per il bene comune né una delega in bianco ai partiti della sinistra persi tra personalismi asfittici e nostalgie del passato. La centralità ancora una volta è il conflitto.